Ordinanza n. 590 del 1989

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ORDINANZA N.590

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 20 giugno 1989 dal Tribunale militare di Padova, nel procedimento penale a carico di De Felip Fabio, iscritta al n. 412 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 novembre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza 20 giugno 1989, il Tribunale militare di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 codice penale ordinario, e con riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, comma secondo, 27, comma primo e 52, comma terzo, della Costituzione;

che dalla narrativa dell'ordinanza si rileva che tale De Felip Fabio, della classe 1963, e imputato del delitto di mancanza alla chiamata aggravata, di cui agli artt. 151, comma primo, e 154 n. 1, del codice penale militare di pace, perchè, essendosi trasferito con il padre a Berlino-ovest nel 1979 per svolgervi attività di gelataio, ma essendo poi rimpatriato definitivamente il 5 febbraio del 1983, aveva omesso di rispondere alla prima chiamata alle armi successiva al suo rientro, disposta con pubblico manifesto, non presentandosi-come avrebbe dovuto-il 12 settembre 1983 al Distretto militare di appartenenza, ma soltanto cinque anni dopo;

che il De Felip si era discolpato assumendo che, avendo occasione di accedere al Consolato d'Italia in Berlino-ovest per ottenere permessi di temporaneo rimpatrio in occasione del periodo annuale di ferie (art. 104 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237), aveva attinto informazioni circa il suo obbligo militare quando fosse cessata la residenza all'estero, apprendendo dal funzionario preposto che, al suo definitivo rimpatrio, l'autorità militare, informata del suo rientro, avrebbe provveduto a chiamarlo alle armi mediante cartolina precetto;

che, a seguito di tale informazione, egli aveva, perciò, ritenuto di non avere alcun obbligo fino a quando non fosse stato individualmente chiamato, essendo del tutto ignaro dell'esistenza di pubblici manifesti di chiamata alle armi;

che, ad avviso del Tribunale, e, questa, situazione che rispecchia l'ignoranza della norma contenuta nell'art. 543 del Reg. Es. (regio decreto 24 febbraio 1938, n. 329) che fa obbligo alle reclute, che non ricevessero la cartolina precetto, di presentarsi al Distretto militare nei giorni stabiliti dal manifesto, rispecchiando conseguentemente l'ignoranza del precetto, contenuto nel manifesto, di presentarsi alle armi entro un certo termine;

che-prosegue il Tribunale-la detta norma regolamentare essendo integratrice del precetto penale contenuto nell'art. 151 del codice penale militare di pace, all'ignoranza di essa dovrebbe essere riconosciuto rilievo scusante ex art. 5 codice penale comune, cosi come modificato dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, se l'applicabilità dell'art. 5 codice penale ordinario non fosse esclusa dalla speciale disposizione ex art. 39 codice penale militare di pace che nega l'ingresso dell'errore scusante dovuto a ignoranza dei doveri inerenti allo stato militare;

che, peraltro - ad avviso del Tribunale - le discolpe presentate dall'imputato "potrebbero effettivamente presentarsi con i tratti della non evitabilità incolpevole secondo i parametri costituzionali individuati con la citata sentenza n. 364", nel qual caso sarebbe rilevante conoscere se l'art. 39 del codice penale militare di pace conservi ancora legittimità costituzionale una volta intervenuta così importante modifica dell'art. 5 codice penale: di qui la riproposizione della questione in riferimento ai numerosi parametri indicati;

che si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha, fra l'altro, negato che il tipo di informazioni generiche assunte dal militare costituisca, nella sua fragile caratterizzazione, schermo alla inescusabilità di un errore, agevolmente prevenibile ove si fosse correttamente e adeguatamente adempiuto ai doveri strumentali di informazione e conoscenza sicché, anche sulla base di altre considerazioni in ordine al più alto grado di ineludibilità dei doveri attinenti allo stato militare, concludeva chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;

Considerato che, anche prescindendo dagli apprezzamenti dell'Avvocatura generale sul merito delle informazioni che il militare avrebbe - a suo dire - assunte, resta pero evidente comunque che ne l'ufficio del pubblico ministero ne, allo stato, il Tribunale militare, hanno condotto alcuna indagine sulle allegazioni dell'imputato, ne questi ha offerto di esse la minima prova, ne ha spiegato perchè mai abbia visto andare alle armi per cinque anni consecutivi numerosi scaglioni di giovani senza tentare nemmeno un chiarimento presso il Distretto di appartenenza, sicchè la questione viene allo stato proposta in forma ipotetica ed eventuale senza che possa esservi ancora alcuna certezza della sua rilevanza;

che, pertanto, in tali condizioni la proposta questione appare manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 5 del codice penale comune, con riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, comma secondo, 27, comma primo, e 52, comma terzo, della Costituzione, sollevata dal Tribunale militare di Padova con ordinanza 20 giugno 1989.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 29/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE