ORDINANZA N.479
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 403 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 29 dicembre 1988 dal Pretore di Orvieto nel procedimento penale a carico di Manciati Eloisa, iscritta al n. 184 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 1989 il Giudice relatore Giovanni Conso.
Ritenuto che, nel corso del procedimento penale a carico di Manciati Eloisa, imputata del reato previsto dall'art. 403, secondo comma, del codice penale, il Pretore di Orvieto ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 21, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 403, secondo comma, del codice penale, in forza del quale si applica la reclusione da uno a tre anni a chi offende la religione dello Stato mediante vilipendio di un ministro del culto cattolico;
e che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata perché sostanzialmente già dichiarata tale con la sentenza n. 188 del 1975.
Considerato che la questione viene proposta muovendo dall'indimostrato presupposto che la fattispecie all'esame del Pretore, integrata com'é da espressioni ritenute offensive nei confronti del Capo della Chiesa cattolica, il quale e anche il Capo dello Stato della Città del Vaticano, sia riconducibile nell'ambito dell'art. 403, secondo comma, del codice penale (norma da porre, se del caso, in relazione all'art . 406), anziché nell'ambito dell'art. 297 del codice penale, come si ricaverebbe dalla giurisprudenza della Corte di cassazione;
che a tale premessa si accompagna l'erroneo rilievo che, con la sentenza n. 925 del 1988, questa Corte avrebbe < riconosciuto... il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato>, mentre nella citata decisione e stato, invece, sottolineato <l'innegabile venir meno del significato originario dell'espressione "religione dello Stato">, cosi da averne <acquistato uno diverso>, <cioè, il significato di "religione cattolica", in quanto già religione dello Stato, qualificazione il cui superamento risulta formalmente sancito con l'entrata in vigore della legge 25 marzo 1985, n. 121>;
che la legittimità costituzionale della norma denunciata viene posta in dubbio in base alla constatazione che nelle <manifestazioni integranti vilipendio> il soggetto non sarebbe <in grado di distinguere con sufficiente certezza il confine tra manifestazione di pensiero consentita e manifestazione di pensiero non consentita e quindi di valutare a priori la liceità o meno della propria condotta>, e ciò in quanto <la progressiva riduzione della sensibilità della pubblica opinione soprattutto in materia religiosa... ha indotto Giudici di merito ad espungere dall'ambito del vilipendio comportamenti che vi rientrano a pieno titolo>;
che, comunque, la lamentata indeterminatezza della fattispecie criminosa, donde il denunciato contrasto dell'art. 403, secondo comma, del codice penale, con i principi costituzionali invocati (alcuni, peraltro, senza la minima motivazione: cosi si dica per gli artt. 2, 3, 1° e 2° comma, e 27), non sembra conciliarsi con la precedente affermazione che <il concetto di vilipendio ricomprende etimologicamente come pure nell'interpretazione giurisprudenziale ogni manifestazione pubblica di disprezzo o anche semplicemente di scherno nei confronti dell'oggetto di tutela penale, a prescindere dalla volgarità o meno delle espressioni dei gesti o dei disegni utilizzati per manifestarla, rimanendone cosi escluse soltanto la critica e la censura esposte in termini corretti>;
che, di conseguenza, la questione prospettata risulta manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 403, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 21, 25, secondo comma e 27, primo e terzo comma, della Costituzione dal Pretore di Orvieto con ordinanza 29 dicembre 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 31/07/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Giovanni CONSO, REDATTORE