Sentenza n. 427 del 1989

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SENTENZA N.427

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, secondo e terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1989 dal Tribunale di Vicenza nel procedimento civile vertente tra Taccon Giancarlo e la Pellicceria T.G. di Toniolo Graziano, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Considerato in diritto

 

Il Tribunale di Vicenza dubita della legittimità costituzionale dell'art. 7, secondo e terzo comma, della legge n. 300 del 1970, ove interpretata alla stregua della giurisprudenza della Corte regolatrice, nel senso della sua inapplicabilità all'ipotesi di licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro con meno di sedici dipendenti, in quanto risulterebbe violato l'art. 3 della Costituzione perché le garanzie procedimentali previste dalla norma censurata sarebbero applicate a lavoratori delle dette aziende per sanzioni di minore entità, mentre il licenziamento c.d. disciplinare oltre a produrre la perdita del posto di lavoro lede la dignità professionale e personale del lavoratore.

La questione é fondata.

Questa Corte ha affermato (sentenza n. 204 del 1982; ordinanza n. 345 del 1988) che le garanzie di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970 si applicano ai licenziamenti qualificabili come sanzione disciplinare secondo la legge o l'autonomia collettiva; il relativo accertamento e la relativa qualificazione spettano ai giudici remittenti e possono essere effettuati secondo l'indirizzo giurisprudenziale affermatosi in materia.

Nella fattispecie il Tribunale di Vicenza ha qualificato il licenziamento intimato di carattere sostanzialmente disciplinare.

Principi di civiltà giuridica ed innegabili esigenze di assicurazione della parità di trattamento garantita dal precetto costituzionale (art. 3 della Costituzione) richiedono che a favore del lavoratore, colpito dalla più grave delle sanzioni disciplinari, quale e quella espulsiva, con perdita del posto di lavoro e lesione della dignità professionale e personale, siano assicurate le garanzie previste dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori specificamente a favore di colui al quale e stata inflitta una sanzione disciplinare.

Il lavoratore deve essere posto in grado di conoscere l'infrazione contestata, la sanzione ed i motivi; deve essere, inoltre, posto nella condizione di difendersi adeguatamente, di fare accertare l'effettiva sussistenza dell'addebito in contraddittorio con l'altra parte, cioè del datore di lavoro.

Queste ragioni attengono alle specie del licenziamento e ai motivi che lo determinano e prescindono dal numero dei dipendenti impiegati nell'impresa, il quale (numero) condiziona le conseguenze che derivano dall'eventuale declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Sicché le garanzie di cui all'art. 7 dello Statuto dei lavoratori devono essere riconosciute anche ai lavoratori di imprese che occupino meno di sedici dipendenti e non possono essere omesse in alcun caso a tutela del lavoratore.

Non vi é dubbio infatti che il licenziamento per motivi disciplinari senza l'osservanza delle garanzie suddette può incidere sulla sfera morale e professionale del lavoratore e crea ostacoli o addirittura impedimenti alle nuove occasioni di lavoro che il licenziato deve poi necessariamente trovare. Tanto più grave é il pregiudizio che si verifica se il licenziato non sia posto in grado di difendersi e fare accertare l'insussistenza dei motivi <disciplinari>, peraltro unilateralmente mossi e addebitati dal datore di lavoro.

Del resto la sfera di operatività dell'art. 2118 del codice civile, dopo gli interventi del legislatore in tema di licenziamento (leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970) ispirati anche a raccomandazioni internazionali (sessioni della Conferenza internazionale del lavoro) (sentenza n. 2 del 1986), ed i numerosi accordi sindacali che sono intervenuti e continuamente intervengono in materia, si é molto ridotta e la norma non é più quindi, una regola del nostro ordinamento di efficacia generale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 7, secondo e terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui e esclusa la loro applicabilità al licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 25/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE