SENTENZA N.374
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1987 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Cappugi Giuseppe e il Ministero dei Trasporti, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di costituzione di Cappugi Giuseppe nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
uditi l'avv. Giulio Correale per Cappugi Giuseppe e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.-La Corte dei conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non prevede che spetti anche al dipendente statale di sesso maschile dimissionario, coniugato o con prole a carico, ai fini del compimento dell'anzianità stabilita dal secondo comma dello stesso articolo per il conseguimento del diritto a pensione, un aumento del servizio effettivo sino al massimo di cinque anni.
Il giudice a quo ha dedotto che la norma impugnata, limitando il beneficio alle sole dipendenti statali, introdurrebbe una discriminazione in base al sesso, in contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione. Contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 29, secondo comma, e 31, primo comma, della Costituzione, violando il principio di uguaglianza fra i coniugi nella famiglia e discriminando le famiglie in cui dipendente statale é l'uomo, rispetto a quelle in cui dipendente statale é la donna.
Violerebbe, infine, l'art. 37 della Costituzione, ponendosi in contrasto con il principio di uguaglianza fra i sessi in materia di lavoro.
2. - La parte privata, costituitasi, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, per essere stato l'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 modificato dalla 1. 9 dicembre 1977, n. 903 (sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro), la quale avrebbe esteso il beneficio concesso alle dipendenti anche ai dipendenti statali.
L'assunto, peraltro, é già stato disatteso dal giudice a quo e questa Corte non ha motivo per discostarsi dal suo orientamento, tenuto conto che la l. n. 903 del 1977 ha inteso parificare la posizione dell'uomo e della donna nel lavoro, ma ha esplicitamente previsto che possano sussistere normative differenziate in materia pensionistica (cfr. art. 4), così da doversi escludere l'abrogazione implicita di tutte le norme che - come quella oggetto del giudizio di costituzionalità-stabiliscono un trattamento più favorevole per la donna.
In proposito, del resto, questa Corte con la sentenza n. 498 del 1988 - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della l. n. 903 del 1977, nella parte in cui subordinava all'esercizio di un'opzione il diritto delle lavoratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini - ha ritenuto che la norma presuppone, in materia di età pensionistica, una disciplina differenziata tra lavoratori e lavoratrici, non illegittima.
3.-Venendo all'esame del merito della questione, va ricordato che, con ordinanza n. 868 del 1988, questa Corte ha già affermato che l'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, non contrasta con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, nella parte in cui limita alle sole dipendenti statali coniugate, o con prole a carico, il beneficio dell'aumento del servizio effettivo fino al massimo di cinque anni per il compimento dell'anzianità necessaria a maturare il diritto a pensione. Con l'anzidetta ordinanza e stato ribadito il principio-enunciato in via generale nella sentenza n. 498 del 1988 - secondo il quale la previsione, per la donna, di un trattamento di maggior favore rispetto all'uomo circa l'età pensionistica, non contrasta col principio di parità in materia di lavoro: l'attribuzione di benefici, ai fini del collocamento anticipato in pensione della lavoratrice, rispetto al lavoratore, trova razionale giustificazione nella particolare vocazione familiare della donna, riconosciutale dall'art. 37 della Costituzione.
Detta giustificazione appare di significativa pertinenza anche con riguardo al beneficio previsto dall'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto esso tende a consentire alla donna una sua scelta, che la proietta più intensamente nell'ambito familiare, attenuandone il conseguente disagio economico.
In relazione ai riflessi della società in evoluzione sul rapporto di pubblico impiego ed alle relative implicazioni retributive, spetta esclusivamente al legislatore determinarne contenuti e limiti di incidenza e, per quanto riguarda la fattispecie, l'opportunità di abrogare o modificare la norma impugnata. In questa linea si é infatti già inserito l'art. 10 del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, conv. nella legge 25 marzo 1983, n. 79, in materia di trattamento pensionistico nei casi di quiescenza anticipata.
Con questa disciplina il legislatore - anziché sopprimere o limitare la facoltà del dipendente statale, volta a conseguire il pensionamento anticipato a domanda - l'ha confermata riducendo, pero, il trattamento di quiescenza, con l'attribuzione dell'indennità integrativa speciale non più per intero, ma soltanto in proporzione agli anni di servizio prestato.
Il beneficio attribuito dall'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, ha subito, così, una diminuzione nella sua consistenza economica, ma e stato conservato dalla rinnovata valutazione normativa, confermandosi alla donna la facoltà di scegliere tra l'attività lavorativa e il più ampio impegno familiare.
4.-Sulla base delle suddette considerazioni, la questione va dichiarata non fondata in riferimento agli artt. 3, 37 e 51 della Costituzione.
La valutazione di non fondatezza é da riferire anche alla deduzione del giudice a quo, relativa agli artt. 29, secondo comma, e 31, primo comma, della Costituzione.
L'art. 29, secondo comma, dispone che il matrimonio é fondato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unita familiare. Questa Corte ha affermato che la norma attiene essenzialmente alla disciplina dello status di coniuge, che deve avere base paritaria in relazione ai connessi diritti e ai doveri.
L'art. 31, primo comma, a sua volta, si riferisce soltanto alle situazioni legate da un rapporto di necessità con la formazione della famiglia (sentenza n. 252 del 1983) e con l'adempimento dei compiti relativi e non anche alle situazioni ad incidenza indiretta su essi.
Spetta alla discrezionalità del legislatore, con la salvaguardia dei valori costituzionali, apprestare le misure atte ad agevolare l'adempimento, da parte dei coniugi, dei loro compiti nella famiglia, e di valutare i riflessi della disciplina degli aspetti economici, eventualmente implicati, in relazione all'osservanza del principio di parità. In questa linea assume particolare rilievo il già ricordato precetto posto in materia di lavoro femminile dall'art. 37 della Costituzione, che ha affermato l'<essenziale funzione familiare> della donna. Peraltro, tale funzione non deve impedire la piena realizzazione della donna in correlazione ad attività da esplicare, a parità dell'uomo, al di fuori della famiglia, sì da non circoscrivere soltanto in quest'ambito risorse preziose.
La norma impugnata, in quanto diretta ad agevolare tale scelta, non si pone pertanto in contrasto né con l'art. 29, secondo comma, né con l'art. 31, primo comma, della Costituzione, giacché il beneficio da essa attribuito alle impiegate statali (e non agli impiegati) non é irragionevole o discriminatorio, ma é giustificato dal perseguimento di un valore costituzionalmente protetto, a fronte del quale appare di mero fatto il pregiudizio lamentato, come tale inidoneo ad avere rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 31, primo comma, 37 e 51 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/07/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 06/07/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Gabriele PESCATORE, REDATTORE