SENTENZA N.55
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), promossi con quattro ordinanze, di cui due emesse il 17 dicembre 1987 dal Pretore di Parma, una il 19 dicembre 1987 dal Pretore di Venezia e una il 23 marzo 1988 dal Pretore di Roma, rispettivamente iscritte ai nn. 87, 88, 192 e 569 del registro ordinanze 1988 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12, 21 e 44, prima serie speciale, dell'anno 1988;
Visti gli atti di costituzione di Mansfield Gillian, di Lahanyeh Issam ed altri e di Blanco Fernandez Maria del Carmen, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
uditi gli avvocati Maria Virgilio e Maurizio Cirulli e Calogero Narese per Mansfield Gillian, Maria Virgilio per Lahanyeh Issam ed altri e Rita Tranquilli Leali per Blanco Fernandez Maria del Carmen.
Considerato in diritto
1.- I Pretori di Parma e di Venezia contestano la legittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980 sulla docenza universitaria, a norma del quale - in conformità della direttiva dettata nell'art. 6, settimo comma, della legge di delegazione per il riordinamento della docenza universitaria, 21 febbraio 1980, n. 28-i contratti di diritto privato, con cui le Università assumono i lettori di lingua straniera, <<non possono protrarsi oltre l'anno accademico per il quale sono stipulati e sono rinnovabili annualmente per non più di cinque anni)>. In via subordinata dallo stesso Pretore di Venezia e in via principale dal Pretore di Roma la questione e limitata alla seconda parte della norma, cioè al divieto di rinnovo dei contratti per più di cinque anni.
L'identità delle questioni proposte rende opportuna la riunione dei giudizi perché siano decisi con unica sentenza.
2.-Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato per difetto di giurisdizione dei giudici a quibus e, con riferimento alle prime tre ordinanze, anche per irrilevanza, in quanto, pur se la questione fosse accolta, la sentenza pretorile <<non potrebbe certo porre in essere-essa in luogo del Consiglio di Facoltà - la proposta, l'attestazione e il duplice acclaramento> richiesti dal primo comma dell'art. 28 come condizioni di legittimazione del rettore alla stipulazione del contratto.
Siffatti argomenti non valgono per la questione di costituzionalità sollevata dalle prime tre ordinanze relativamente alla domanda principale dei ricorrenti, rivolta a ottenere l'accerta mento dell'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e i provvedimenti conseguenti. Per questa domanda e sicuramente competente il giudice del lavoro, e la connessa questione di costituzionalità dell'art. 28, nella parte in cui prevede l'apposizione al contratto del termine di un anno, e rilevante ai fini dell'accoglimento o della reiezione della domanda.
I detti argomenti di inammissibilità possono venire in considerazione soltanto in ordine alla questione subordinata (la sola, come si è detto, sollevata dal Pretore di Roma), circo scritta all'inciso finale del terzo comma dell'art. 28, che non consente il rinnovo annuale dei contratti per più di cinque volte. Ad avviso dell'Avvocatura, il provvedimento negativo con cui le rispettive Facoltà non hanno rinnovato la proposta di riassunzione dei ricorrenti per l'anno accademico 1986-87, ovvero, nel caso del Pretore di Roma, il ricorrente non e stato incluso nella graduatoria dei candidati doveva essere impugnato davanti al giudice amministrativo; comunque, quand'anche l'impugnativa di costituzionalità fosse accolta, la sentenza del Pretore non potrebbe tenere luogo degli atti amministrativi che, ai sensi del primo comma, integrano il procedimento di formazione del contratto, di guisa che, per un verso o per l'altro, la questione sarebbe inammissibile.
Va osservato, in contrario, che la domanda subordinata dedotta nei giudizi pendenti davanti ai Pretori di Venezia e di Roma non e un'impugnativa di atto amministrativo, ma una domanda che concerne pur sempre i contratti di lavoro di cui si controverte, essendo rivolta a ottenere l'accertamento giudiziale della loro rinnovabilità annuale, concorrendo le condizioni indicate nel primo comma dell'art. 28, per un numero illimitato di anni, previa declaratoria di incostituzionalità della norma che fissa il limite massimo di cinque anni. Qualora il giudizio incidentale avesse esito positivo, i ricorrenti potrebbero impugnare davanti al giudice amministrativo i provvedimenti degli organi universitari che hanno disatteso la loro domanda di reincarico per la sola ragione del divieto stabilito dall'art. 28. Tanto basta per far ritenere ammissibile la questione, sebbene sollevata da un giudice civile.
3. - La prima questione non é fondata.
Questa Corte non ha ragione di discostarsi dalla valutazione dei giudici remittenti - conforme a una serie di pronunce di altri giudici di merito e corroborata da un parere del Consiglio di Stato in data 30 settembre 1987-, secondo la quale i <contratti di diritto privato> in esame appartengono alla categoria del lavoro subordinato. Ma il loro- scopo e il contenuto delle prestazioni che ne formano l'oggetto configurano una <specialità del rapporto> che giustifica le eccezioni portate dalla disciplina impugnata ai principi in tema di apposizione di termine al contratto di lavoro, stabiliti dagli artt. 1, primo comma, e 2, secondo comma, della legge n. 230 del 1962.
Le condizioni cui dal primo comma dell'art. 28 é subordinata l'assunzione di lettori devono per loro natura essere verificate anno per anno, sia per quanto riguarda il giudizio della Facoltà, in assoluto e comparativamente, sulla <specifica competenza> degli aspiranti all'incarico, sia per quanto riguarda la valutazione della convenienza di attivare il corso (e di stanziare il relativo finanziamento) rispetto al numero degli <studenti effettivamente frequentanti>>, il quale per gli insegnamenti di lingue straniere può variare notevolmente da un anno all'altro. A questa necessita di controllo risponde coerentemente la previsione normativa di contratti a termine annuale: in essa, pertanto, non si ravvisa il preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Dai ricorrenti si obietta che, senza bisogno di deviare dai principi del nostro ordinamento in materia di contratto di lavoro a termine, quando vengano meno le condizioni suddette il rimedio naturale nel contratto a tempo indeterminato e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ma si può replicare che in un caso-sopravvenuto giudizio negativo della Facoltà sull'idoneità del lettore-si configurerebbe piuttosto un motivo soggettivo (sotto il profilo dell'imperizia) altamente controvertibile, e in ogni caso il controllo giudiziale (a tempi lunghi e ad esito incerto) cui é soggetto il licenziamento comprimerebbe gravemente la discrezionalità dell'amministrazione universitaria e pregiudicherebbe l'ordinata gestione dei singoli anni accademici e dei relativi esercizi finanziari.
D'altro lato, l'art. 28 muove dal presupposto che si tratti di stranieri temporaneamente trasferiti in Italia, di solito per ragioni di studio. Se, al contrario, essi decidono di stabilirsi in questo Paese acquistando la cittadinanza italiana, la loro aspirazione a un posto stabile nelle strutture didattiche universitarie deve seguire, al pari degli altri cittadini, la via normale dei concorsi a posti di ricercatore o a cattedre di lingua e letteratura straniera.
Quanto all'art. 97 della Costituzione, nel caso particolare dei lettori il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e piuttosto avvantaggiato che pregiudicato dall'art. 28 del l. n. 382, nella parte ora sotto esame. Il termine annuale dei contratti, con possibilità di rinnovo, oltre a consentire il costante adeguamento del numero e del livello didattico dei corsi di lettorato alle esigenze effettive delle facoltà, sollecita i lettori a un maggiore impegno personale e, quando si siano accasati in Italia, a non trascurare le iniziative opportune per conservare la freschezza della lingua madre.
Palesemente inconsistente e, infine, la pretesa violazione dell'art. 38 della Costituzione, dato che l'art. 28 non tocca minimamente la disciplina previdenziale del rapporto.
4.-E' fondata, invece, la seconda questione, che investe il solo inciso finale della disposizione. Il limite massimo di cinque anni, posto alla possibilità di rinnovo annuale del contratto, appare irrazionale sia alla stregua delle finalità dell'art. 28, sia alla luce delle conseguenze pratiche aberranti da esso determinate.
Se la finalità della norma e quella di utilizzare la presenza in Italia di giovani stranieri, idonei all'insegnamento, per arricchire i corsi di lingua e letteratura straniera con esercitazioni pratiche tenute da lettori di madre lingua, non si comprende per quale ragione, allorché la permanenza in Italia del lettore si protragga per più di sei anni, l'Università che lo ha assunto e apprezzato non possa continuare a fruire delle sue prestazioni, ferme restando le condizioni prescritte dall'art. 28, primo comma.
Il divieto di rinnovo del contratto per più di cinque anni contrasta col principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, e soprattutto col principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97.
Il contrasto si accentua quando si considerino gli effetti distorsivi provocati dalla norma nella vita accademica. Poiché l'art. 28 non vieta che il lettore, trascorso il tempo massimo (sei anni) di permanenza presso un’università, venga assunto da altra università statale, l'esperienza insegna che il limite in questione costringe i lettori, alla scadenza del sessennio, a trasformarsi in <clerici vagantes>>, previ reciproci accordi di scambio di posti, per far ritorno, dopo la <peregrinatio> necessaria per rompere la consecutività dei rinnovi contrattuali, alle rispettive università di partenza. Una simile prassi offende non solo il buon andamento, ma anche e anzitutto il prestigio e la serietà dell'amministrazione universitaria.
5.-Rimane assorbito il motivo di incostituzionalità dedotto dal Pretore di Roma in riferimento all'art. 35 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 (<Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica>), nella parte in cui non consente il rinnovo annuale per più di cinque anni dei contratti di cui al precedente primo comma.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/89.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 23/02/89.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Luigi MENGONI, REDATTORE