ORDINANZA N.1151
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, e 3, primo e secondo comma, della legge 11 novembre 1983, n. 638 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 1983, n.463, recante misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), dell'art. 5 della legge 22 luglio 1961, n. 628 (Modifiche all'ordinamento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), e dell'art. 8, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (Riorganizzazione centrale e periferica. del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), promosso con ordinanza emessa il 12 novembre 1986 dal Pretore di Fermo nel procedimento penale a carico di Gioventù Giancarlo, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1988.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso.
Ritenuto che il Pretore di Fermo, con ordinanza del 12 novembre 1986, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 2, primo comma, e 3, primo e secondo comma, della legge 11 novembre 1983, n. 638 (recte: del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638), 5 della legge 22 luglio 1961, n. 628, ed 8, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, <nella parte in cui non prevedono che le attività di accertamento ed investigazione svolte dagli ispettori del lavoro siano assistite dalle garanzie difensive previste dagli artt. 304-bis, ter, quater c.p.p. per gli indiziati di reato>;
e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
considerato che, con sentenza n. 10 del 1971, la Corte, dichiarando non fondata, in riferimento anche agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 8, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, nella parte in cui, <col consentire agli ispettori l'accesso> nei locali e nei luoghi di lavoro <quando abbiano fondato sospetto che servano a compiere o nascondere violazioni di legge, li facoltizzerebbe a svolgere, nella qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, un'attività diretta alla individuazione di reati e alla raccolta di prove, senza l'osservanza delle forme richieste a garanzia del diritto di difesa>, ha precisato che <l'attività dell'ispettore prevista dalla norma impugnata, sia che si svolga nei locali di lavoro o, in seguito al predetto sospetto, nei locali connessi, consiste sempre in una attività di vigilanza amministrativa, che nettamente si distingue... dall'attività di polizia giudiziaria>: un'attività che, mentre per un verso <assoggetta l'imprenditore> allo stesso trattamento riservato ad <ogni cittadino> sottoposto <ad atti di controllo amministrativo, per fini riconosciuti di interesse generale>, per un altro verso manca del <presupposto perché venga in discussione il diritto di difesa>, a differenza del <caso in cui l'ispettore, avuta una vera e propria notizia di un reato, per acquisire le prove si trovi nella necessita di dover compiere, nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria, atti di coercizione, quali perquisizioni personali o sequestri di atti o documenti pertinenti al reato>;
che l'identica ratio decidendi della sentenza n. 10 del 1971 risulta estensibile alle altre norme ora per la prima volta denunciate, e ciò in quanto: l'art. 3, primo e secondo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, concerne pur sempre un'<attività ispettiva> non diversa da quella presa in esame dalla sentenza n. 10 del 1971, oltreché la procedura per l'espletamento di tale attivita; l'art. 5 della legge 22 luglio 1961, n. 628, regola i compiti degli ispettori del lavoro; l'art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, per la parte non espressamente esaminata dalla sentenza n. 10 del 1971, attribuisce agli ispettori del lavoro, <nei limiti del servizio cui sono destinati, e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalle singole leggi e dai regolamenti>, la qualità di <ufficiali di polizia giudiziaria> (primo comma) e li autorizza a <richiedere l'opera dell'ufficiale sanitario, dei sanitari dipendenti da enti pubblici e dei medici di fabbrica, quando debbono compiere accertamenti sulle condizioni sanitarie dei prestatori d'opera e sulle condizioni igieniche dei locali di lavoro e delle loro dipendenze> (secondo comma);
e che, quindi, i <poteri> conferiti da dette norme agli ispettori del lavoro rientrano nell'ambito dell'attività di <vigilanza amministrativa> di cui alla già ricordata sentenza n. 10 del 1971;
che, invece, l'art. 2, primo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, risulta erroneamente denunciato, trattandosi della norma che commina la sanzione per il delitto, contestato nel processo a quo, di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, donde la manifesta inammissibilità della relativa questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e secondo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, dell'art. 5 della legge 22 luglio 1961, n. 628 (Modifiche all'ordinamento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), e dell'art. 8, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (Riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Fermo con ordinanza del 12 novembre 1986;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, del decreto- legge 12 settembre 1983, n. 463. (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Fermo con la stessa ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/88.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Giovanni CONSO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 29 Dicembre 1988.