SENTENZA N.1023
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), come sostituito dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, recante misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), di conversione del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629 (Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1987 dal Pretore di Poggibonsi nel procedimento penale a carico di Fioravanti Paolo ed altri, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1988; visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Considerato in diritto
1. - Il ragionamento del giudice a quo e suggestivo ma non é fondato.
Affermare che la pena da irrogare in concreto, limitatamente alle ipotesi di elevato valore dell'appalto, sarebbe diseducativa perché tale da non consentire la concessione della sospensione condizionale e l'applicazione di sanzioni sostitutive, e perciò impeditiva della commisurazione in relazione anche alla personalità del reo, significa in sostanza pur sempre criticare l'eccessività della pena pecuniaria comminata in astratto dalla norma.
Infatti, se il giudice non riesce a rendere operativi quei benefici non dipende dall'impossibilità di tenere conto della personalità dell'autore del reato - come sostiene l'ordinanza -, perché nulla impedisce al giudicante di apportare tutte quelle diminuzioni che la legge consente, in relazione alle circostanze che concernono la personalità, ivi compresa quella di cui all'art. 133 bis ricordata dall'Avvocatura, che pure riguarda la persona del colpevole. Vero é, invece, che alla concessione dei citati benefici il giudice non può giungere nei casi in cui, a causa dell'elevato valore dell'appalto, la pena pecuniaria si presenta di particolare gravità, in quanto si tratta di pena proporzionale. Questa, però, non é situazione eccezionale e particolare alla fattispecie impugnata, ma e effetto conseguente ad ogni reato che il legislatore, avendolo ritenuto di particolare gravita, abbia punito con sanzioni elevate. Sono, infatti, numerose le fattispecie che, contemplando conseguenze sanzionatorie elevate, non consentono né l'applicazione di sanzioni sostitutive né la concessione della sospensione condizionale della pena, senza che, perciò solo, quest'ultima dimetta la funzione risocializzante.
E’, quindi, in definitiva, pur sempre all'astratta misura della pena che la doglianza s'appunta, e sempre limitatamente alle ipotesi di elevato valore dell'appalto, dato che per i casi di scarsa entità gli effetti auspicati dal Pretore potrebbero rendersi possibili.
Il legislatore, pero, comminando, oltre a quella detentiva, anche una pena pecuniaria proporzionale, ha inteso proprio colpire il grave illecito nel suo contenuto patrimoniale, in quanto e proprio l'intento economico alla base di quella pericolosissima organizzazione criminale che alligna e s'infiltra attorno agli appalti degli enti pubblici: innescando spesso anche una perniciosa catena di delitti dei pubblici ufficiali (corruzioni, abusi, falsi etc...) e di altri delitti della stessa organizzazione criminosa (estorsioni, violenze, intimidazioni, delitti contro la vita o l'incolumità personale).
Non é, quindi, per nulla irrazionale che il legislatore abbia avuto particolare riguardo a questo profilo del reato, che é quello fondamentale ai fini della tutela che, mediante la fattispecie, intendeva apprestare.
2. - Tutto questo s'é voluto chiarire per non lasciare senza risposta le preoccupazioni espresse dall'ordinanza.
Va ricordato, però, che, fino a questo momento, per consolidata giurisprudenza di questa Corte i principi di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. non riguardano il processo di cognizione e l'applicazione della pena da parte del giudice del dibattimento.
La Corte ha sempre ritenuto che quei principi si riferiscano, invece, all'esecuzione della pena, come sarebbe dimostrato dalla menzione del <trattamento> che é espressione tecnica della materia penitenziaria.
Inoltre, poi, non può essere esaltata la funzione risocializzante fino al punto da mortificare, e pressocché vanificare, l'imprescindibile funzione afflittiva che l'istituto deve pur conservare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della l. 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale), così come sostituito dall'art. 1 della l. 12 ottobre 1982 n. 726 (Conversione in legge con modificazioni del d.l. 6 settembre 1982 n. 629, recante misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa), sollevata dal Pretore di Poggibonsi con ordinanza 9 settembre 1987 in riferimento agli art.li 3 e 27, terzo comma, Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta, il 26/10/88.
Francesco SAJA - Ettore GALLO
Depositata in cancelleria il 09/11/88.