SENTENZA N. 981
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
dott. Francesco SAJA, Presidente
prof. Giovanni CONSO
prof. Ettore GALLO
dott. Aldo CORASANITI
prof. Giuseppe BORZELLINO
dott. Francesco GRECO
prof. Renato DELL'ANDRO
prof. Gabriele PESCATORE
avv. Ugo SPAGNOLI
prof. Francesco Paolo CASAVOLA
prof. Antonio BALDASSARRE
prof. Vincenzo CAIANIELLO
avv. Mauro FERRI
prof. Luigi MENGONI
prof. Enzo CHELI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Sicilia 21 agosto 1984, n. 67 ("Disposizioni per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, proroga dei termini per le attività di pianificazione e modificazioni alla legge regionale 4 agosto 1980, n. 78"), in relazione agli artt. 10 e 25 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 ("Attuazione delle direttive (CEE) numero 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi"), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 giugno 1987 dal Pretore di Avola nel procedimento penale a carico di Ingales Concetto ed altri, iscritta al n. 791 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale dell'anno 1987;
2) n. 3 ordinanze emesse il 23 novembre 1987 dal Pretore di Sortino nei procedimenti penali a carico di Mangiameli Sebastiano ed altri, Rossitto Elio e Musumeci Giuseppe, iscritte ai nn. 99, 100 e 101 del registro ordinanze 1988 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14 prima serie speciale dell'anno 1988.
Visto l'atto di intervento della Regione Sicilia;
Udito nella Camera di consiglio del 6 luglio 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di alcuni amministratori comunali imputati del reato di cui all'art. 25, comma secondo del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, che sanziona penalmente la gestione di discariche di rifiuti solidi urbani non autorizzate, il Pretore di Avola con ordinanza in data 26 giugno 1987 (r.o. n. 791/87), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale Siciliana 21 agosto 1984, n. 67, in riferimento agli artt. 3, 2 e 32, 25 comma 2 della Costituzione, e 17 dello Statuto Siciliano.
Premesso che la normativa statale - in base all'opinione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti - imporrebbe anche ai comuni l'obbligo di munirsi dell'autorizzazione regionale per la gestione delle discariche, il giudice remittente osserva che la disposizione denunciata, invece, nel prescrivere tale obbligo solo in via transitoria, e cioè per le nuove discariche realizzate prima dell'approvazione del piano regionale, lo escluderebbe, seppur implicitamente, in relazione al regime ordinario.
Secondo questa interpretazione, ulteriormente avvalorata dall'esame dei lavori preparatori e dell'univoco e costante orientamento espresso in più occasioni dall'Assessorato regionale all'Ambiente, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 17 dello Statuto speciale, in quanto eluderebbe il limiti "dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato" e al quale deve sottostare la potestà legislativa regionale in materia di igiene e sanità. Modificando, inoltre, un precetto posto dalla normativa statale (art. 10 d.P.R. n. 915/1982) e penalmente sanzionato (art. 25 d.P.R. n. 915/1982), la norma regionale finirebbe col variare, restringendone l'ambito dei destinatari, una disposizione penale, così violando la riserva di legge statale posta dall'art. 25 comma 2 Cost.
Il consentire poi ai comuni la gestione di discariche non preventivamente autorizzate dalla regione, potrebbe determinare l'insorgere di gravissime cause di inquinamento ambientale lesive del diritto incondizionato alla salute del soggetto (art. 32 Cost.) sia uti singulus sia in quanto partecipe di formazioni sociali (art. 2 Cost.), creando altresì un'ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.), nel territorio regionale, rispetto ai soggetti privati sottoposti all'obbligo dell'autorizzazione regionale, e, nel resto del paese, rispetto agli altri comuni, anch'essi sottoposti al medesimo obbligo.
Con identiche argomentazioni e in relazione agli stessi parametri, la medesima questione è stata sollevata anche dal Pretore di Sortino con tre ordinanze in data 23 novembre 1987 (r.o. nn. 99 - 101/88), emesse nel corso di altrettanti procedimenti penali a carico di amministratori comunali, imputati, in due casi, del reato di cui all'art. 25 comma 2 d.P.R. n. 915/82 (gestione di discarica non autorizzata), e, nell'altro, del reato di cui all'art. 27 comma 1 d.P.R. n. 915/82 (inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello smaltimento dei rifiuti).
2. - È intervenuta la Regione Sicilia, contestando, anzitutto, che la normativa statale imponga anche ai comuni l'autorizzazione regionale alla gestione delle discariche, o che comunque tale interpretazione possa ritenersi pacifica in dottrina e in giurisprudenza, non apparendo, sul punto, le disposizioni testuali del d.P.R. n. 915 del 1982 né univoche né concludenti. Al contrario, il ruolo che le norme statali attribuiscono al comune nell'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, indurrebbe ad escludere la necessità, da parte sua, di richiedere alla regione un'apposita autorizzazione per l'apertura e la gestione delle discariche.
D’altra parte, la norma regionale impugnata non impedisce che le discariche già esistenti siano sottoposte a controllo da parte della regione in sede di elaborazione del piano, che individua le zone idonee, sentiti anche i comuni interessati, mentre, il diritto alla salute, secondo le norme emanate dal legislatore delegato, va necessariamente contemperato, in attesa della pianificazione regionale, con l'esigenza di continuare a provvedere allo smaltimento dei rifiuti.
Infine, l'esclusione dei comuni dal regime autorizzatorio, disposta dalla legislazione statale, e l'attribuzione della relativa potestà normativa alle regioni (art. 6 d.P.R. n. 915/82) non consentirebbero di ritenere violate le norme costituzionali invocate (artt. 3 e 25 Cost., e 17 dello Statuto Siciliano).
Considerato in diritto
1. - Con una ordinanza del Pretore di Avola e con tre distinte ordinanze del Pretore di Sortino viene sollevata questione di legittimità costituzionale, dell'art. 1 della legge regionale siciliana 21 agosto 1984 n. 67 "nella parte in cui consente che i comuni possano gestire discariche per rifiuti urbani in assenza della apposita autorizzazione regionale".
Ad avviso dei giudici rimettenti detta norma - diversamente dagli artt. 10 e 25 del d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 che impone anche ai comuni che gestiscono impianti di rifiuti di munirsi dell'autorizzazione regionale - prescriverebbe tale autorizzazione solo in via transitoria e cioè per l'impianto di nuove discariche prima dell'approvazione del piano regionale, escludendola, seppur implicitamente, in relazione al regime ordinario.
A causa di tale diversità rispetto alla disciplina statale dettata dagli artt. 10 e 25 del richiamato d.P.R. n. 915 del 1982, la norma regionale impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 17 dello Statuto speciale, perché eluderebbe i limiti "dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato" in materia di igiene e sanità; con l'art. 25, secondo comma, Cost., perché finirebbe per variare, restringendone l'ambito dei destinatari, una disposizione penale; con gli artt. 32, primo comma, e 2 Cost., perché la mancata preventiva autorizzazione favorirebbe l'insorgere di inquinamento ambientale lesivo del diritto alla salute del soggetto, sia uti singulus che quale partecipe di formazioni sociali; con l'art. 3 Cost., perché creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, nell'ambito regionale, rispetto ai soggetti privati sottoposti all'obbligo di munirsi di detta autorizzazione e, nell'ambito nazionale, rispetto agli altri comuni, anch'essi assoggettati a tale obbligo.
2. - Osserva la Corte che la questione sollevata nei termini anzidetti dai giudici remittenti, muove da una interpretazione della norma impugnata che non può essere condivisa perché va al di là della portata della norma stessa.
Si assume difatti che il legislatore regionale, nel dettare la disciplina transitoria, avrebbe per implicito esonerato i comuni, che gestiscono tali impianti, dall'autorizzazione regionale una volta che, con l'approvazione del piano regionale di organizzazione e di smaltimento dei rifiuti, previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 915 del 1982, si sia pervenuti al regime ordinario.
Questa tesi interpretativa non può essere seguita, risultando chiaro che la norma censurata, ha invece dettato esclusivamente una disciplina transitoria, senza affatto incidere sul regime ordinario che - in mancanza di espressa deroga, ove consentita dalle competenze della Regione - deve ritenersi quello contenuto nella normativa statale e cioè nel d.P.R. n. 915 del 1982.
Stabilisce difatti l'art. 1 della legge regionale n. 67 del 1984, oggetto dell'incidente di legittimità costituzionale, che, nelle more della predisposizione del piano di competenza della Regione, previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 915 del 1982, i comuni che si trovino nella comprovata impossibilità di smaltire i rifiuti solidi urbani, possano impiantare nuove discariche per rifiuti urbani e speciali, previa autorizzazione da rilasciarsi dall'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente.
Da tale prescrizione non può dunque arguirsi, neppure per implicito, che l'obbligo dell'autorizzazione non sussista una volta predisposto il piano di competenza regionale, perché la norma denunciata per come è formulata, non intende affatto spingere la sua portata (sia pur per implicito) al di là del momento della predisposizione del piano. Essa difatti è stata emanata solo per consentire ai comuni, in via provvisoria - e cioè anche prima di tale predisposizione - di impiantare nuove discariche, purché autorizzati dalla regione. Il carattere esclusivamente transitorio della normativa regionale emerge del resto dalla relazione della Commissione legislativa (Atto Assemblea n. 783 A del 28 giugno 1984) che aveva accompagnato il disegno di legge (poi divenuto la legge regionale di cui fa parte la norma impugnata) in cui si precisa che "il d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, emanato facendo seguito alle direttive CEE 75/22, 76/403 E 78/319, contiene norme, di natura cogente e programmatica, che concernono la disciplina dei rifiuti... È da dire però che il suddetto decreto non può trovare ancora compiuta applicazione in quanto l'apposito Comitato interministeriale non ha definito... le direttive sulle competenze statali in materia".
Resta così confermato che, per quanto riguarda il regime ordinario, il legislatore regionale lungi dal derogare per implicito a quanto disposto dalla normativa statale, adottata in attuazione delle direttive CEE, abbia invece, per implicito, dato per scontato che, una volta superato il periodo transitorio necessario per la predisposizione del piano previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 915 del 1982 (espressamente richiamato nel testo della norma censurata), debba essere proprio tale normativa statale a disciplinare la materia, il che fa venir meno l'assunto sulla cui base è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale oggetto di esame.
Né argomenti idonei a sostenere tale assunto possono desumersi dalla circostanza che esso sarebbe suffragato - come sembrerebbe adombrarsi nelle ordinanze di rimessione - da alcune circolari della regione, qualcuna delle quali è giunta perfino ad affermare che, quando sia il Comune a gestire l'impianto, l'autorizzazione regionale non sia prescritta proprio in virtù del d.P.R. n. 915 del 1982, tesi quest'ultima sostenuta dalla Regione nell'atto di intervento.
In proposito è appena il caso di ricordare che - mentre esula dal presente giudizio stabilire la portata delle norme statali, in quanto esse non formano oggetto dell'incidente di costituzionalità - per quel che riguarda l'interpretazione della norma regionale denunciata, offerta da circolari dell'amministrazione, essa non è vincolante per il giudice che, al più, ove debba irrogare sanzioni penali, potrà tenerne conto solo per valutare il comportamento dell'imputato. Ma al di là di questo aspetto, che esula del resto dall'ambito del giudici legittimità costituzionale, l'interpretazione di norme legislative contenuta nelle circolari amministrative non vincola il giudice che deve pervenire alla applicazione della legge sulla base della propria interpretazione che, come è noto, va condotta alla stregua dei canoni all'uopo dettati dall'ordinamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale siciliana 21 agosto 1984, n. 67 ("Disposizioni per lo smaltimento dei rifiuti, proroga dei termini per attività di pianificazione e modificazioni alla legge regionale 4 agosto 1980 n. 78") sollevata, in riferimento all'art. 17 dello Statuto regionale della Sicilia ed agli artt. 2, 3, 25, secondo comma, 32, primo comma, Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1988.
Francesco SAJA – Vincenzo CAIANIELLO
Depositata in cancelleria il 19 ottobre 1988.