Sentenza n. 958 del 1988

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.958

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, ultimo comma, della legge 12 giugno 1973, n. 349 (Modificazioni alle norme sui protesti delle cambiali e degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1986 dal T.A.R. delle Marche sul ricorso proposto da Albanesi Giulio ed altri contro il Ministero di Grazia e Giustizia, iscritta al n. 187 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22/1a serie speciale dell'anno 1987.

Visto l'atto di costituzione di Albanesi Giulio ed altri nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

udito l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - Oggetto di censura e l'art. 7, ultimo comma, della legge 12 giugno 1973, n. 349 (Modificazioni alle norme sui protesti delle cambiali e degli assegni bancari), il quale stabilisce, in tema di diritti di protesto spettanti ai notai, agli ufficiali giudiziari, agli aiutanti ufficiali giudiziari ed ai segretari comunali, che i versamenti e le imputazioni previste per gli ufficiali giudiziari e per gli aiutanti ufficiali giudiziari dagli artt. 146, 148, 154, 155, 169 e 171 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, come modificato dalla legge 11 giugno 1962, n. 546, dal d.P.R. 5 giugno 1965, n. 757, dal d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 e dalla legge 29 dicembre 1971, n. 1048, si operano al lordo del compenso corrisposto al presentatore, anche in relazione al diritto di protesto previsto dallo stesso art. 7, ed alla indennità di accesso, prevista dal successivo art. 8.

Alla stregua delle suindicate disposizioni, gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti ufficiali giudiziari debbono imputare il diritto di protesto e l'indennità di accesso allo stipendio e, qualora l'ammontare di tutti i diritti ad essi spettanti, al netto del 2% per le spese di ufficio e del 10% della tassa erariale, superi annualmente l'importo dello stipendio spettante al personale statale appartenente ad una data qualifica funzionale, debbono versare all'erario il 95% della parte dei diritti che eccede il suddetto limite. Siffatta decurtazione del diritto di protesto e dell'indennità di accesso non vige, per contro, in relazione ai segretari comunali ed ai notai.

Ora, il giudice a quo ritiene che il sistema normativo costituito dall'art. 7, ultimo comma, della legge n. 349 del 1973 e dalle disposizioni ivi richiamate sia costituzionalmente illegittimo:

1) in riferimento all'art. 3 Cost., per l'ingiustificata discriminazione sfavorevole degli ufficiali giudiziari ed aiutanti ufficiali giudiziari (tenuti, a certe condizioni, a versare una quota dei diritti di protesto e delle indennità di accesso all'erario), rispetto ai segretari comunali (non assoggettati a tale regime), nonostante la omogeneità dello stato (di impiegato pubblico) e della attività (compresa tra i compiti istituzionali);

2) in riferimento all'art. 36 Cost., per il declassamento dell'attività dell'ufficiale giudiziario e degli aiutanti ufficiali giudiziari, non equamente retribuiti sotto l'aspetto qualitativo e quantitativo.

2. - Sotto entrambi i profili la questione appare non fondata.

Quanto alla prospettata lesione dell'art. 3 Cost. va esclusa la possibilità stessa di un'utile comparazione, al fine di verificare il rispetto del principio di eguaglianza formale, fra la posizione retributiva degli ufficiali giudiziari, quale emerge dalla normativa denunciata, con quella, assunta a tertium, dei segretari comunali.

L'ufficiale giudiziario, ai sensi dell'art. 122 del d.P.R. n. 1229 del 1959, e infatti retribuito mediante <proventi> costituiti dai diritti che e autorizzato ad esigere, per legge, sugli atti e commissioni inerenti al suo ufficio (diritto di cronologico, di copia, postale, di chiamata di causa, di notificazione, di redazione di verbale, di protesto, di vacazione, di assistenza, di carteggio: art. 123 stesso d.P.R.), e mediante una <percentuale> su determinati crediti recuperati dall'erario e su determinate somme dallo stesso introitate. Gli spetta inoltre una <indennità di trasferta> (art. 133 stesso d.P.R.).

A1 fine di assicurare all'ufficiale giudiziario un livello minimo di retribuzione, l'art. 148 del citato d.P.R. stabilisce poi che, qualora l'importo annuo dei <diritti> di cui all'art. 123, al netto del 2% per le spese d'ufficio e del 10% per tassa erariale, non raggiunga lo stipendio iniziale previsto per il personale appartenente alla sesta qualifica funzionale, la differenza e erogata a carico dell'erario sotto forma di <indennità integrativa>.

Il successivo art. 155 prevede, per converso, che qualora l'ammontare dei <diritti> computabili ai fini dell'indennità integrativa, al netto delle somme suindicate, superi il livello minimale garantito dall'art. 148, l'ufficiale giudiziario deve versare all'erario il 95% della parte dei diritti eccedenti detto livello.

E agevole constatare come quello ora descritto sia un sistema retributivo del tutto peculiare per il suo carattere complesso e composito, sistema retributivo del quale tutti i diritti di cui all'art. 123 (e non solo quello di protesto) rappresentano elemento costitutivo, non determinabile ex ante nel suo importo.

Ed a tale variabilità si ricollegano i contrapposti istituti della indennità integrativa (favorevole all'ufficiale che non percepisce con i diritti l'importo di un determinato minimo retributivo garantito) e del versamento di una data quota dei diritti stessi all'erario (sfavorevole all'ufficiale che abbia superato il livello suddetto), istituti che nel sistema tra loro si equilibrano.

Orbene, analogo sistema retributivo non trova riscontro alcuno nel trattamento economico del segretario comunale, che consiste di una sola voce fondamentale di ammontare determinato (stipendio), cui si aggiungono alcuni diritti, tra i quali quelli di protesto, a titolo di specifico compenso per singoli atti compiuti, per di più, almeno nel caso del protesto, in via vicaria.

L'auspicata caducazione della normativa che prevede la decurtazione di cui si tratta per gli ufficiali giudiziari si risolverebbe, dunque, in una ingiustificata equiparazione del loro trattamento economico a quello di una categoria che fruisce di un sistema retributivo diverso, e, in pari tempo, in una altrettanto ingiustificata alterazione del sistema retributivo proprio degli ufficiali giudiziari.

3. -Quanto alla prospettata lesione dell'art. 36 Cost., é sufficiente rilevare che la valutazione dell'equità della retribuzione dell'ufficiale giudiziario non può certamente essere condotta in riferimento al regime del solo diritto di protesto, dal momento che questo é assoggettato ad una disciplina che é comune a tutti i diritti spettanti all'ufficiale, la quale, nel suo complesso, non é censurata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., dell'art. 7, ultimo comma, della legge 12 giugno 1973, n. 349, sollevata dal TAR delle Marche con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/88.

 

Francesco SAJA - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 06/10/88.