Ordinanza n. 919 del 1988

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ORDINANZA N. 919

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

dott. Francesco SAJA, Presidente

prof. Giovanni CONSO

prof. Ettore GALLO

dott. Aldo CORASANITI

prof. Giuseppe BORZELLINO

dott. Francesco GRECO

prof. Renato DELL'ANDRO

prof. Gabriele PESCATORE

avv. Ugo SPAGNOLI

prof. Francesco Paolo CASAVOLA

prof. Antonio BALDASSARRE

prof. Vincenzo CAIANIELLO

avv. Mauro FERRI

prof. Luigi MENGONI

prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 147, primo e secondo comma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promosso con ordinanza emessa il 28 settembre 1987 dal Tribunale di Bergamo sull'istanza proposta dalla s.p.a. Euroimmobiliare ed altro contro FRIGENI Giancarlo Romano ed altro, iscritta al n. 830 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell'anno 1987;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

Ritenuto che, in conseguenza del fallimento della società in nome collettivo Edilbonatese, dichiarato dal Tribunale di Bergamo con sentenza in data 3 luglio 1986, il curatore e un creditore della società fallita hanno chiesto l'estensione del fallimento a due soci illimitatamente responsabili, i quali avevano trasferito ad altri le loro quote con atto in data 25 ottobre 1985 quando era già insorta l'insolvenza della società;

che la Corte d'appello di Brescia, accogliendo il reclamo contro la reiezione della domanda da parte del Tribunale di Bergamo, con decreto del 20 maggio 1987 ha rimesso gli atti a quest'ultimo "per la dichiarazione di fallimento di Frigeni Romano e Frigeni Claudio in qualità di soci illimitatamente responsabili della fallita società Edilbonatese";

che in questa sede, con ordinanza del 28 settembre 1987, il Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 147, primo e secondo comma, della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), interpretato dalla Corte d'appello, in conformità della giurisprudenza consolidata della Cassazione, nel senso che il fallimento dell'ex socio illimitatamente responsabile può essere dichiarato anche dopo il decorso di un anno dalla data di cessazione del rapporto di partecipazione sociale, a condizione che l'insolvenza della società riguardi anche obbligazioni contratte prima di tale data;

che, ad avviso del giudice remittente, l'art. 147 l. fall., così interpretato, prevede una ingiustificata disparità di trattamento del socio illimitatamente responsabile rispetto all'imprenditore individuale che per qualunque causa ha cessato l'esercizio dell'impresa, il quale può essere dichiarato fallito solo entro un anno dalla cessazione dell'impresa;

che nel giudizio davanti alla Corte non vi è stata costituzione di parti private, mentre è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità dell'incidente di costituzionalità, non avendo il Tribunale "più giurisdizione sulla questione definitivamente decisa dalla Corte di appello", e comunque non essendo essa "rilevante ai fini dell'ulteriore attività demandata al giudice a quo";

che nel merito la questione, a giudizio dell'Avvocatura, è manifestamente infondata sia perché le due situazioni messe a confronto dal giudice remittente sono del tutto diverse, sia perché "non è stato dimostrato, né può esserlo, che l'art. 10 l. fall. enunci una regola idonea a operare da tertium comparationis in vista di una pronuncia additiva, quale è quella ipotizzata dall'ordinanza di rimessione".

Considerato che nella fase del processo per la dichiarazione di fallimento successiva al provvedimento della Corte d'appello previsto dall'art. 22, ultimo comma, l. fall., il tribunale non ha più giurisdizione in ordine al contenuto della norma applicata dal giudice superiore, ma può sempre impugnarne la validità sollevando questione di legittimità costituzionale, analogamente a quanto ripetutamente precisato dalla Corte di cassazione con riguardo al giudizio di rinvio, onde l'eccezione di inammissibilità formulata dall'Avvocatura non merita accoglimento;

che nella specie è applicabile il primo comma dell'art. 147 l. fall., mentre con riguardo al secondo comma, che prevede un caso diverso, la questione sollevata dal giudice a quo è irrilevante;

che nei confronti dell'ex socio, illimitamente responsabile per le obbligazioni assunte dalla società fallita prima della cessazione del rapporto di partecipazione sociale, il fallimento previsto dall'art. 147, primo comma, è pronunciato in via di estensione del fallimento della società, mentre nel caso dell'art. 10 l. fall., concernente l'imprenditore individuale che ha cessato da non più di un anno l'esercizio dell'impresa, si tratta di una autonoma dichiarazione di fallimento, per cui le due posizioni risultano non comparabili in relazione all'art. 3 Cost.;

che la non comparabilità è dimostrata altresì dal rilievo che non è proponibile un semplice allargamento dell'ambito normativo dell'art. 10 includendovi anche il socio illimitatamente responsabile di una società fallita: invero, essendo il fallimento del socio un effetto automatico del fallimento della società, il limite dell'anno dalla cessazione della qualità di socio dovrebbe operare in questo caso con riferimento alla data della dichiarazione di fallimento della società, non alla data della pronuncia di fallimento del socio;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 ("Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa"), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di Bergamo con l'ordinanza in epigrafe;

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, sollevata dal predetto tribunale con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 luglio 1988.

 

Francesco SAJA – Luigi MENGONI

 

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1988.