Sentenza n. 823 del 1988

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.823

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo del l'attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1987 dal Pretore di Corleone nel procedimento penale a carico di VINCI Giuseppe, iscritta al n. 735 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 dell'anno 1987;

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1988 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 é stata proposta, dall'ordinanza di rimessione, sotto tre distinti profili: a) contrasto della disposizione impugnata con l'art. 25, secondo comma, Cost. in quanto irroga sanzioni penali (arresto fino a due anni ed ammenda da dieci a cento milioni) non previste all'epoca del commesso reato; b) contrasto della stessa impugnata disposizione con l'art. 3 Cost., in quanto prevede sanzioni penali più gravi per i fatti di abusi edilizi commessi anteriormente al 1° ottobre 1983 rispetto alle sanzioni, di gran lunga meno gravi, comminate per analoghi fatti, più recenti, commessi, appunto, dopo il 1° ottobre 1983 ma prima dell'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985; c) contrasto della comminatoria penale disposta dall'art. 40 della legge da ultimo citata con l'art. 3 Cost., in quanto tale comminatoria illegittimamente parifica l'ipotesi di mancata presentazione della domanda di sanatoria a quella, meno grave, di non effettuata oblazione dopo la presentazione della domanda di sanatoria.

2.- Nell'esame del profilo sub a) va anzitutto osservato che nell'ordinanza di rimessione si parte dal presupposto secondo il quale l'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 disporrebbe l'applicabilità, in relazione al fatto contestato all'imputato, (anche) di sanzioni penali.

Poiché il fatto contestato nel procedimento <a quo> rientra in una delle ipotesi previste dall'articolo censurato (opera abusiva realizzata in assenza di concessione edilizia) e poiché la violazione attribuita all'imputato e stata commessa, secondo l'assunto del giudice remittente, entro il 1° ottobre 1983, ed e, pertanto, oblabile, ai sensi dell'art. 31, primo comma, lettera a), della ricordata legge n. 47 del 1985, il non essere stata presentata la domanda di cui allo stesso articolo 31 espone l'imputato alle sanzioni previste dal citato art. 40 della legge da ultimo ricordata.

Ma, quali sono le sanzioni effettivamente comminate dallo stesso art. 40?

3. - Ora se esattamente il giudice <a quo>, dall'esame della lettera e dei lavori preparatori dell'articolo impugnato, desume che con lo stesso articolo non si é inteso sanzionare penalmente, per se, il fatto della mancata presentazione della richiesta di cui all'art. 31 della legge in discussione, non altrettanto condividibile appare la conclusione interpretativa dello stesso giudice secondo la quale al fatto addebitato all'imputato (realizzazione, entro il 1° ottobre 1983, di opera edilizia in carenza di licenza o concessione) debbano seguire (anche) sanzioni penali: appunto in base ai lavori preparatori del più volte citato art. 40 ed al confronto tra lo stesso articolo e l'art. 25, secondo comma, Cost., é da ritenersi che il rinvio alle sanzioni di cui al capo 1, contenuto nell'art. 40, non sia da interpretarsi come applicabilità, al caso di specie, (anche) di sanzioni penali.

E’ ben vero, infatti, che nel testo dell'art. 20, incluso nel capo I della legge in esame, sono previste le sanzioni penali (la rubrica dell'art. 20 reca, appunto, la dizione <sanzioni penali>) da applicarsi al caso di specie (lettera b) ed e ben vero che, nell'ultimo comma del citato articolo si legge: <Le disposizioni di cui al comma precedente sostituiscono quelle di cui all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10> ma e altresì vero che già nella relazione Piermarini, predisposta ai fini dell'esame della normativa, che costituirà il contenuto della legge n.47 del 1985, presso la IX commissione permanente della Camera dei deputati (come risulta dagli atti della Camera, IX legislatura n. 833-548- 685 A) espressamente si dichiara che <la mancata presentazione della domanda di sanatoria viene sanzionata, quando si tratta di opere realizzate in totale difformità od in assenza di titolo, con l'applicazione delle sanzioni amministrative previste nel capo I del disegno di legge: tali sanzioni trovano applicazione anche nel caso di presentazione di domanda dolosamente infedele. La disposizione non può prestare il fianco a critiche poiché, per gli abusi sopradetti, é stata sempre prevista la demolizione: cosicché il riferimento alle nuove sanzioni del capo I- a prescindere dal fatto che si tratta di sanzioni amministrative e non penali - comporta soltanto una diversa disciplina procedimentale per l'applicazione di una sanzione consistente sempre nella sottrazione, attraverso la demolizione o l'acquisizione al patrimonio comunale, dell'opera abusiva, al responsabile dell'abuso>.

La volontà del legislatore d'applicare, alle ipotesi di opere realizzate in totale difformità od in assenza di titolo, soltanto sanzioni amministrative, rimase ferma durante l'intero svolgimento dei lavori parlamentari. Ed infatti tutte le volte (tranne le tre ultime votazioni sulla proposta di legge, in generale, in assemblea del Senato, nella commissione Lavori pubblici ed in assemblea a Montecitorio) in cui si sottopose, specificamente, ad esame ed a votazione la norma che costituirà l'impugnato art. 40 (nel quale si rinvia alle sanzioni, peraltro non specificate, di cui al capo I) le sanzioni penali non erano incluse in quest'ultimo bensì nel capo III e precisamente nell'art. 30 del disegno di legge che si andava discutendo ed approvando.

Nel testo votato dalla Camera dei deputati (e che passò, così approvato, al Senato) la disposizione di cui all'attuale art. 20 della legge in esame (relativa alle sanzioni penali) era, infatti, inserita, come art. 30, nel capo III ed intitolata <Recupero urbanistico di insediamenti abusivi. Sanzioni penali>. L'art. 40 della stessa legge, disponendo il rinvio alle sanzioni di cui al capo I, non poteva, dunque, riferirsi, almeno nel testo inizialmente discusso e votato dalla Camera dei deputati, alle sanzioni penali, contenute nel capo III e non nel capo I.

Il Senato della Repubblica, nella seduta del 28 settembre 1984, approvo l'art. 30, che conteneva la previsione delle sanzioni penali per le ivi previste ipotesi di opere abusive e, successivamente, nella seduta del 2 ottobre, l'art. 40. Sia la Camera dei deputati sia il Senato, nel momento in cui discussero ed approvarono, specificamente, il più volte citato art.40, che conteneva il rinvio alle sanzioni di cui al capo I, giammai (almeno fino a questo momento dell'iter parlamentare) <pensarono> e giammai <potevano>, dunque, <pensare>, di rendere applicabili, ai casi previsti dallo stesso art. 40, le sanzioni penali che erano previste nel già votato art. 30, incluso nel capo III.

Fu soltanto dopo l'approvazione, specifica, di tutti gli articoli della proposta di legge e prima della votazione finale, che il relatore Bastianini, nella stessa seduta del Senato del 2 ottobre 1984, propose, fra l'altro: a) di modificare l'ordine di successione di alcuni articoli e, in particolare, d'inserire l'art. 30 subito dopo l'art. 20; b) di sopprimere nella rubrica del capo III le parole <Sanzioni penali>, appunto a seguito dello spostamento del disposto di cui all'art. 30, contenente la previsione di tali sanzioni, nel capo I. Approvata la proposta del relatore, l'originario art. 30 divenne art. 20, in quanto l'originario art. 20 era divenuto art. 19 per effetto della soppressione d'un articolo precedente.

Successivamente, la IX commissione (Lavori pubblici) della Camera, nell'esaminare, fra l'altro, in due sedute diverse, in quella del 6 dicembre 1984 l'art. 20 e nella seduta del 13 dicembre 1984 l'art.40, non tenne conto delle perplessità che potevano derivare (dato il letterale richiamo alle <sanzioni di cui al capo I>, contenuto nell'art. 40) dallo spostamento delle disposizioni che prevedevano le sanzioni penali dal capo III al capo I. E di tali perplessità neppure s'avvide l'assemblea di Montecitorio, che approvo gli artt. 20 e 40 nella seduta del 21 febbraio 1985.

Si é, dunque, trattato, durante i lavori preparatori della legge qui in esame, d'un difetto di <coordinamento>: quest'ultimo doveva intervenire subito dopo l'accoglimento della proposta del relatore Bastianini, al Senato, relativa allo spostamento delle disposizioni che prevedevano le comminatorie penali dal capo III al capo I. Attraverso una modifica letterale dell'art. 40, doveva appunto rendersi palese l'effettiva volontà, già manifestata da entrambe le Camere, d'applicare alle ipotesi previste dallo stesso articolo soltanto sanzioni amministrative, come peraltro esplicitamente dichiarato dalla già citata prima relazione Piermarini.

L'effettiva volontà del legislatore di comminare, cioè, per le predette ipotesi, soltanto sanzioni amministrative é, malgrado l'ora ricordato difetto di coordinamento, dunque, facilmente ed incontrovertibilmente ricostruibile. Ed é, fra l'altro, davvero improbabile che il legislatore intendesse consapevolmente, violando fondamentali principi costituzionalmente sanciti, rendere, cioè, retroattive sanzioni penali di gran lunga più gravi di quelle vigenti al momento della commissione del sanzionato fatto illecito. E tutto ciò, iniquamente, solo per la mancata presentazione dell'istanza di sanatoria o per il mancato pagamento dell'oblazione.

4. -Il giudice <a quo> esattamente rileva la contrarietà all'art. 25, secondo comma, Cost. del disposto di cui all'art. 40 della legge qui in esame, ove lo stesso articolo venga interpretato come irrogatorio, alle ipotesi ivi previste, delle sanzioni penali di cui all'art. 20 della stessa legge. Ciò, tuttavia, prima ancora d'indurre a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'impugnata disposizione, non può non condurre questa Corte a dubitare dell'interpretazione che della stessa disposizione il giudice remittente offre. E ciò, non soltanto a seguito delle osservazioni precedentemente sottolineate, attinenti alla volontà (effettiva) del legislatore ma anche, e soprattutto, per l'oggettiva volontà della norma, che non può esser ricostruita tenendo conto (anche a prescindere dall'esame dei lavori preparatori) della sola lettera della particolare disposizione di legge che s'interpreta.

Si tenga conto, anzitutto, che il secondo comma dell'art. 25 Cost. eleva a livello costituzionale non soltanto il principio secondo il quale la legge penale non può sanzionare retroattivamente fattispecie in precedenza non costituenti reato ma anche quello per il quale il legislatore ordinario non può legittimamente irrogare, per fattispecie già sanzionate, pene più gravi di quelle previgenti.

Si tenga altresì presente che l'interpretazione secondo Costituzione (c.d. interpretazione adeguatrice) e momento costitutivo normale di ogni interpretazione: conseguentemente, come più volte ribadito da questa Corte, tra due interpretazioni, l'una conforme e l'altra contrastante con la Costituzione, va certamente preferita la prima. Deve, dunque, concludersi che l'interpretazione da dare all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e, contrariamente a quanto assume il giudice <a quo>, quella secondo la quale lo stesso articolo esclude l'applicazione alle ipotesi ivi previste di sanzioni penali.

Questa Corte non può esimersi dal rilevare da un canto che la dottrina é pressocché unanime nell'orientamento esegetico qui accolto e, d'altro canto, che non risulta che nell'applicazione giurisprudenziale si sia mai dubitato che alle ipotesi previste dal più volte citato art. 40 debbano continuare ad applicarsi (ove non sia, ovviamente, estinto il reato) le sanzioni penali di cui all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, della sola legge, peraltro, richiamata nella contestazione all'imputato nel procedimento <a quo>.

5. - Il secondo profilo d'illegittimità costituzionale dell'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, prospettato nell'ordinanza di rimessione e cioè il profilo per il quale il legislatore avrebbe previsto, per gli abusi edilizi commessi dopo la data del 1° ottobre 1983 (non suscettibili di sanatoria) e prima dell'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, un regime sanzionatorio di gran lunga <meno grave> di quello stabilito per gli abusi commessi anteriormente al 1° ottobre 1983, rimane superato dalle precedenti osservazioni, che offrono dell'impugnato art. 40 un'interpretazione diversa da quella dalla quale e partito il giudice <a quo>.

6. - Pur dando atto che l'avvocatura generale dello Stato, prima ancora di sostenere l'infondatezza della questione sollevata dall'ordinanza di rimessione in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., ha esplicitamente e giustamente espresso perplessità in ordine alla tesi per la quale il richiamo alle sanzioni previste nel capo I della legge n. 47 del 1985, contenuto nel denunziato art. 40 della stessa legge, riguardi le sanzioni penali, devono, tuttavia, rigettarsi le argomentazioni di merito proposte dalla stessa avvocatura in contrasto con l'eccepita retroattività delle sanzioni penali comminate dalla legge da ultimo ricordata.

Assume l'avvocatura generale che la previsione sanzionatoria contenuta nel censurato art. 40 risulterebbe posta non per il pregresso illecito bensì per un nuovo comportamento (mancata domanda di sanatoria, secondo le modalità previste dalle disposizioni di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985) posto in essere successivamente all'entrata in vigore della stessa legge, nel pieno rispetto dell'art. 25 Cost.

Contro l'assunto ora riportato va anzitutto osservato che non risulta, ne dai lavori preparatori ne dall'oggettiva interpretazione letterale, logica e sistematica dell'art. 31 della legge qui in esame, che la domanda di sanatoria costituisca obbligo e non facoltà. Dall'esame del sistema introdotto da tutte le disposizioni relative alle sanatorie edilizie (in particolare, dalle normative di cui alle leggi n. 10 del 1977 e n.47 del 1985) risulta, invece, ed in maniera inequivocabile, che la domanda di sanatoria costituisce facoltà concessa dal legislatore al fine di chiudere un periodo di <illegalità di massa>, in materia edilizia e di provvedere ad un censimento dell'assetto territoriale mirato ad impedire future, diffuse violazioni edilizie.

Non é dunque, in alcun modo, condividibile che l'illecito commesso costituisca, come sostenuto dall'avvocatura generale, mero presupposto di fatto d'un reato che si realizzerebbe e perfezionerebbe esclusivamente per effetto dell'omissione di istanza di sanatoria: posto che la violazione dell'obbligo di richiesta di sanatoria possa integrare una vera e propria omissione, quest'ultima sarebbe sanzionata penalmente in maniera davvero iniquamente grave rispetto alla sanzione penale già comminata dalla legge n. 10 del 1977 per il preteso presupposto di fatto che, peraltro, integra già la violazione d'un <sicuro> obbligo (di munirsi della concessione edilizia) normativamente previsto.

Né può invocarsi l'analogia tra le ipotesi qui in esame e le previsioni dell'art. 2 della legge n. 159 del 1976 (modificato dall'art. 3 della legge n. 689 del 1976). Con le leggi da ultimo citate sono stati, invero, previsti obblighi, penalmente sanzionati, mai sanciti in precedenza (l'obbligo di denunciare l'esistenza illegittima di capitali all'estero e l'obbligo di far rientrare questi ultimi in Italia): l'esportazione di capitali all'estero costituiva esclusivamente illecito extrapenale, mentre l'entità della sanzione penale da comminare per la nuova figura di reato e stata correlata non alla situazione esistente al momento in cui e stata commessa l'infrazione amministrativa ma a quello in cui, per la prima volta, sono stati imposti gli obblighi di denuncia e di rientro di capitali in Italia.

7.-Inammissibile per irrilevanza si palesa l'ultimo profilo di censura, prospettato dall'ordinanza di rimessione, in riferimento all'art. 3 Cost. (attinente alla minore gravita dell'ipotesi di non effettuata oblazione, dopo la presentazione della domanda di sanatoria, rispetto a quella di mancata presentazione di detta domanda) giacché il giudice <a quo> ha espressamente dichiarato che l'imputato non ha presentato istanza di sanatoria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nel suo terzo profilo, proposta, in riferimento all'art.3, primo comma, Cost., dal pretore di Corleone con ordinanza in data 8 luglio 1987;

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, proposte, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. ed all'art. 3, primo comma, Cost. nel secondo profilo, dal pretore di Corleone con la predetta ordinanza.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/07/88.

 

Francesco SAJA - Renato DELL'ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 14/07/88.