ORDINANZA N.651
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo e secondo comma, del d.l. 30 settembre 1982, n. 688 (Misure urgenti in materia di entrate fiscali), convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873, promosso con ordinanza emessa il 29 maggio 1986, dalla Corte d'Appello di Genova nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione Finanziaria dello Stato e la s.p.a. Giuntini Ettore, iscritta al n. 578 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48/1a s.s. dell'anno 1986.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che nel corso di un giudizio avente ad oggetto la restituzione di un'imposta di fabbricazione indebitamente versata, la Corte di appello di Genova, con ordinanza in data 29 maggio 1986, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo e secondo comma, del d.l. 30 settembre 1982 n. 688 (Misure urgenti in materia di entrate fiscali), convertito in legge 27 novembre 1982 n. 873, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;
che la norma impugnata viene censurata nella parte in cui, subordinando, con effetto retroattivo, la ripetizione di alcuni tributi indebitamente versati, alla prova documentale che l'onere non sia stato in alcun modo trasferito su altri soggetti, si porrebbe in contrasto:
a) con l'art. 3 Cost., creando un'ingiustificata disparità di trattamento fra coloro che hanno pagato i tributi in questione e coloro che hanno invece corrisposto altri tipi di tributi, per i quali, il diritto al rimborso non e subordinato al suddetto onere probatorio, per giunta documentale;
b) con l'art. 24 Cost., violando il diritto di agire in giudizio in quanto modificherebbe, con effetto retroattivo, le condizioni dell'azione di ripetizione e della relativa disciplina probatoria;
che in relazione a quest'ultimo profilo, l'Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito l'irrilevanza della questione sollevata, dal momento che l'amministrazione finanziaria, opponendosi alla pretesa di rimborso, non tanto perché la mancata traslazione del tributo su altri soggetti non era stata documentalmente provata dall'attore, quanto piuttosto perché risultava per tabulas (mediante una delibera del Comitato provinciale prezzi di Savona con la quale si autorizzava il soggetto passivo a maggiorare di una certa aliquota il prezzo del prodotto fino al totale recupero della somma versata a titolo di imposta di fabbricazione) non avrebbe inteso avvalersi, nella parte sottoposta a censura, della disposizione impugnata;
che per quanto concerne, invece, l'asserito contrasto con l'art. 3 Cost., l'interveniente ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che l'eccezione di irrilevanza sollevata dall'Avvocatura dello Stato va respinta essendo, al riguardo, l'ordinanza di rimessione sufficientemente motivata e tale da escludere l'esigenza di un ulteriore esame sul requisito della rilevanza da parte di questa Corte; che, come si dichiara nella relazione al d.d.l. di conversione del d.l. 30 settembre 1982, n. 688 (atto Senato n. 2040) la disposizione impugnata é stata emanata allo scopo di <evitare l'indebita locupletazione degli operatori economici, i quali, avendo, come di regola, già trasferito sui successivi acquirenti anche gli oneri per tributi che, poi, a distanza di tempo, risultino non dovuti, indubbiamente verrebbero a conseguire un lucro se potessero ugualmente ottenere il rimborso>;
che, come si soggiunge in detta relazione, <poiché al rimborso si dovrebbe far luogo, ovviamente, a carico del bilancio statale, e quindi della collettività, si avrebbe, se si consentisse l'indiscriminato rimborso, l'effetto di porre a carico di detta collettività, e quindi dei singoli, oneri che questi hanno già subito, avendo già pagato i prodotti ad un prezzo comprendente il rimborso anche di quegli oneri>;
che la ratio ispiratrice della norma impugnata, come enunciato nella relazione, appare ragionevole e plausibile per cui, tenuto conto dei presupposti d'ordine economico su cui essa si fonda e delle finalità che si intendono perseguire, la deroga apportata alla disciplina comune prevista dall'art. 2033 cod. civ., appare congrua e giustificata;
che, in particolare, per quanto attiene all'onere probatorio del mancato trasferimento del peso fiscale su altri soggetti, esso trova fondamento nella presunzione ispiratrice della norma secondo la quale l'operatore economico percosso da taluni tipi di imposta, normalmente, le riversa sui soggetti che da lui acquistano beni o servizi;
che tale presunzione su cui si basa il legislatore, secondo le regole di comune esperienza, non appare irragionevole, mentre i suoi effetti, consistenti nel porre a carico del solvens l'onere probatorio della mancata traslazione, escludono, attraverso la esplicita previsione della possibilità di fornire la prova contraria, una qualche lesione del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.);
che, peraltro, nonostante l'autorevole orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione a tributi rilevanti nell'ordinamento comunitario, può ritenersi - per quel che concerne tributi che tale rilievo non hanno, e rispetto ai quali nel presente giudizio il sindacato di questa Corte va riferito esclusivamente ai parametri costituzionali invocati - che l'esercizio del diritto di azione non e vanificato o comunque illegittimamente compresso dalla previsione di una prova documentale, anche in relazione a fattispecie createsi in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma;
che devesi difatti rilevare che quest'ultima non richiede un documento specifico e preordinato alla dimostrazione della mancata traslazione, essendo evidente che il legislatore ha inteso riferirsi a scritture dalle quali il fatto da provare possa dedursi anche indirettamente;
che, in tal senso, l'obbligo di conservazione dei libri e delle scritture contabili, imposto all'imprenditore, esclude, anche in riferimento agli effetti retroattivi della norma, quel grado di difficoltà probatoria che, ad avviso del giudice a quo, renderebbe praticamente impossibile l'esercizio del diritto di ripetizione;
che, per quanto attiene alla lamentata lesione del principio di eguaglianza, la ratio, perseguita dalla norma, di evitare l'arricchimento senza causa di alcuni operatori economici a danno di una maggioranza di altri soggetti (effettivamente incisi dall'onere tributario), consente di giustificare il diverso regime di ripetizione dell'indebito in relazione a quei tributi, per i quali, attesa la loro peculiare natura, il fenomeno della traslazione costituisce un'evenienza normale nella prassi dell'economia di mercato;
che, difatti, in riferimento al presupposto impositivo ed ai beni sui quali gravano, i tributi individuati dal legislatore nella norma impugnata si caratterizzano appunto per una particolare attitudine ad essere trasferiti su altri soggetti, e quindi per lo scarso grado di probabilità che l'indebito possa restare definitivamente a carico del patrimonio di chi lo ha corrisposto;
che, peraltro, proprio la fattispecie oggetto del giudizio a quo é emblematica di tale realtà in quanto, come già posto sopra in evidenza, il Comitato provinciale prezzi aveva consentito la maggiorazione per una certa aliquota del prezzo del prodotto fino al totale recupero della imposta di fabbricazione, il che dimostra come il fenomeno, in tale imposta e nelle altre considerate dalla norma in esame, sia idoneo a giustificare lo speciale apprezzamento fattone dal legislatore nel porre la presunzione, essendosi tenuto conto dell'id quod plerumque accidit, nella materia della produzione e dello scambio;
che la lamentata diversità di regime non appare perciò ingiustificata, dovendosi escludere l'omogeneità delle situazioni poste a raffronto, peraltro in termini generici, dal giudice a quo;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata in tutti i suoi profili.
Visti gli artt. 26, comma secondo, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti la Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo e secondo comma, d.l. 30 settembre 1982, n. 688 (Misure urgenti in materia di entrate fiscali), convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dalla Corte di Appello di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/06/88.
Francesco SAJA - Vincenzo CAIANIELLO
Depositata in cancelleria il 16/06/88.