Sentenza n.442 del 1988

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SENTENZA N.442

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 271, quarto comma, del codice di procedura penale (Decorrenza della custodia cautelare) promosso con ordinanza emessa l'8 settembre 1986 dal Pretore di Piove di Sacco sull'incidente di esecuzione proposto da Falasco Fernando, iscritta al n. 764 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1/1a s.s. dell'anno 1987.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 settembre 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l. - L'eccezione proposta dal giudice remittente é infondata.

Non é questa la sede per ripercorrere l'evoluzione che il principio di c.d. fungibilità (o, se si preferisce, di "mutuabilita") tra custodia cautelare e carcerazione per esecuzione di pena ha subito prima e dopo le innovazioni apportate all'originario testo dell'art. 271 c.p.p. dall'art. 9 della legge 18 giugno 1955, n. 57.

Nè é qui il caso d'approfondire le <ragioni> di tale fungibilità, alla luce della natura e funzioni della pena quali risultano dal sistema costituzionale: va qui soltanto ricordato che, a fronte dell'art. 27, terzo comma, Cost., non é in alcun modo condividibile l'assunto della natura esclusivamente retributiva della pena e, conseguentemente, della negazione delle funzioni preventive speciali della medesima. Sicchè, forse, ulteriori approfondimenti del tema potrebbero condurre almeno a <mitigare> l'identificazione tra sanzioni penali ed extrapenali implicita nelle affermazioni, tuttora ricorrenti, della pura compensazione, che si verificherebbe, nell'istituto in esame, tra crediti e debiti tra cittadino e Stato.

Circoscrivendo l'indagine alla sola, specifica questione sottoposta all'esame di questa Corte, va anzitutto affermato che la ratio per la quale l'attuale testo dell'art. 271, quarto comma, c.p.p., subordina la detrazione del <tempo> di custodia cautelare sofferto dall'imputato dalla durata della pena (inflitta per un reato diverso da quello per il quale si e subita la predetta custodia) alla condizione che il <reato diverso> sia commesso dopo la cessazione della custodia cautelare, viene comunemente ricondotta alla necessita di non concedere <spinte> a delinquere, trasformando l'istituto di c.d. fungibilità tra custodia cautelare e carcerazione per esecuzione di pena in una riduzione delle finalità preventive ordinariamente perseguite dal sistema penale.

Or andrebbe qui precisato che, per vero, già prima della predetta ratio, comunemente individuata dalla dottrina e giurisprudenza, e doveroso riferirsi al principio d'obbligatorietà della pena: questa, infatti, sorge dal reato e non può, pertanto, che <supporre> un reato già commesso ed accertato; e ciò, anche a parte le finalità <rieducative> di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost., che possono aver senso anche se riferite ad <altro> reato ma che, peraltro, certamente non possono mai riguardare un reato <da commettere>.

Ma, anche a tacer d'altro e ad assumere per uniche le ragioni <riduttive> sopra indicate, anche a voler ritenere, cioé, che la necessaria precedenza del reato (dal computo della pena irrogata per il quale é da sottrarsi il tempo della sofferta custodia cautelare) rispetto alla cessazione della stessa custodia, sia motivata unicamente dal non creare <spinte> a delinquere, il quarto comma dell'art. 271 c.p.p. non viola l'art. 3 Cost.

La situazione di chi ha commesso un reato prima della cessazione dell'<inutile> custodia preventiva (relativa ad altro reato) e oggettivamente diversa da quella di chi ha commesso un reato dopo la cessazione della stessa <inutile> custodia, anche nell'ipotesi che il <nuovo> reato sia stato commesso prima dell'accertamento giudiziale dell' <inutilità> della sofferta custodia cautelare.

Nè é condividibile l'assunto sostenuto nell'ordinanza re mittente, secondo il quale, sebbene <formalmente> diverse, la situazione di chi ha commesso il reato anteriormente alla custodia cautelare é sostanzialmente uguale a quella di chi ha commesso il reato successivamente alla cessazione della custodia ma anteriormente all'accertamento giudiziale definitivo dell'<inutilità> della medesima: la situazione di chi e <in attesa> d'una <possibile> o <probabile> dichiarazione giudiziale dell'inutilità della sofferta custodia cautelare e, dal punto di vista psicologico, notevolmente diversa da quella di chi ancora non ha sofferto alcuna custodia cautelare e che, pertanto, neppure ha modo di riflettere su calcoli attinenti a custodie cautelari del tutto ipotetiche e, comunque, <irrilevanti>. Infatti, scontare, in avvenire, custodie cautelari o carcerazioni in esecuzione di pena non può in alcun modo motivare il soggetto a delinquere. Non così accade, invece, per chi, pur se ancora non giudizialmente certo dell'inutilità della già sofferta custodia cautelare, può, comunque, esser spinto a delinquere dalla speranza che, in avvenire, il tempo della già sofferta custodia venga, attraverso una giudiziale decisione, sottratto da quello della carcerazione in esecuzione di pena per il <nuovo> reato.

Ma va aggiunto che (a meno di ritenere che le decisioni giudiziarie siano rimesse <al caso> od all'assoluto arbitrio dei giudici) il soggetto che ha già sofferto la custodia cautelare sa bene (anzi, é solo lui in grado di meglio conoscere) se la medesima e stata utilmente od inutilmente scontata: e la spinta al <nuovo> reato é tanto più forte quanto più é radicata nel soggetto, con la sicurezza di non aver commesso in precedenza alcun reato, la certezza che l'autorità giudiziaria dichiarerà ufficialmente <inutile> la scontata custodia cautelare.

Per diverse situazioni, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il legislatore ha, pertanto, ragionevolmente previsto diverse discipline giuridiche. La regolamentazione di cui al quarto comma dell'art. 271 c.p.p. non contiene, dunque, in alcun modo, regole irragionevolmente discriminatorie.

2. - Neppure l'art. 13 Cost. (richiamato dall'ordinanza rimettente sotto il profilo della compressione, da parte della disposizione impugnata, della libertà personale anche in casi in cui non vi e alcuna esigenza di difesa sociale e di tutela della collettività) é violato dal quarto comma dell'art. 271 c.p.p. Anzi, tenuto conto delle ragioni già precisate (sottolineate, a tacer d'altro, ancora una volta le finalità preventive per le quali il legislatore ha subordinato la c.d. fungibilità tra custodia cautelare e carcerazione in esecuzione di pena alla commissione del reato, per il quale si deve scontare la pena, precedentemente alla sofferta custodia cautelare) e doveroso particolarmente rilevare che, appunto in difesa della collettività, va evitato che chi abbia sofferto una custodia cautelare ancora sub iudice sia indotto a delinquere o, comunque, ritrovi motivi <favorevoli> alla commissione di <nuovi> reati nella certezza o nella speranza che, in avvenire, la predetta custodia sia giudizialmente dichiarata <inutilmente> sofferta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 271, quarto comma, c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., dal Pretore di Piove di Sacco con ordinanza dell'8 settembre 1986 (Reg. ord. 764/86).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14 Aprile 1988.