Sentenza n.156 del 1988

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SENTENZA N.156

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, (Disposizioni in materia previdenziale) convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54 (Conversione in legge, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, recante disposizioni in materia previdenziale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 settembre 1982 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra Pesole Pasquale e la S.p.a. Prodotti Antibiotici, iscritta al n. 805 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 156 dell'anno 1983;

2) ordinanza emessa il 27 dicembre 1982 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Rignanese Francesco e la S.p.a. Pneumatici Pirelli, iscritta al n. 582 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 dell'anno 1984;

3) ordinanza emessa il 27 novembre 1986 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Ballerini Osvaldo e l'I.N.P.S., iscritta al n. 197 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1987;

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1987 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Il decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, detta disposizioni in materia previdenziale, ritenute urgenti in attesa della riforma del sistema pensionistico.

Tra esse l'art. 6 prevede la possibilità, per i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria e che abbiano raggiunto l'età pensionabile senza pero conseguire l'anzianità contributiva massima prevista dai singoli ordinamenti, di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro sino al conseguimento di tale condizione o per incrementare la propria anzianità contributiva, comunque non oltre il sessantacinquesimo anno di età. La possibilità di effettuare tale opzione e condizionata al fatto che gli interessati non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell'INPS o di trattamenti sostitutivi, esclusivi od esonerativi dell'assicurazione generale obbligatoria.

Con questa norma la legge si ripromette di favorire quei prestatori di lavoro che per varie ragioni (ad es., attività lavorativa discontinua o iniziata tardivamente) hanno maturato una anzianità assicurativa ridotta, consentendo loro di conseguire - ove ne ravvisino la convenienza - una pensione di maggior livello.

A tal fine lo stesso articolo 6, al quarto comma, prevede che-in caso di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro - a questo si applicheranno le norme di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, e ciò in deroga all'art. 11 della stessa legge che tale applicazione esclude nei riguardi dei prestatori di lavoro in possesso dei requisiti di legge per aver diritto alla pensione di vecchiaia: sicchè nei confronti di costoro, in quanto esercitino l'opzione, opera la garanzia contro il licenziamento ad nutum.

Le ordinanze di rimessione dei Pretori di Bari e Torino investono le disposizioni, contenute nel secondo e terzo comma del citato articolo 6, relative ai tempi e modalità per l'esercizio del diritto di opzione cosi attribuito agli assicurati.

Il sistema normativo che da esse discende e fondato su una disposizione generale (secondo comma) che stabilisce che l'opzione deve essere comunicata al datore di lavoro almeno sei mesi prima del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia; e su due deroghe a tale disposizione previste - in via transitoria - nel terzo comma.

Con la prima di queste si consente a coloro che avessero maturato prima dell'entrata in vigore del decreto legge (1o gennaio 1982), i requisiti per la pensione, di usufruire della opzione senza inviare la relativa comunicazione al datore di lavoro; con la seconda si prescrive a coloro che maturano i medesimi requisiti nei primi sei mesi successivi all'entrata in vigore del decreto legge (e cioé entro il 1° luglio 1982) di dare comunicazione della opzione al datore di lavoro non oltre la data in cui i predetti requisiti vengono maturati.

2. - Come specificato in narrativa, i Pretori di Bari e Torino contestano la conformità al principio di uguaglianza, e più in generale la ragionevolezza del sistema normativo sopra delineato per i suoi aspetti di diritto transitorio, in quanto nella prima fase di applicazione della legge comporta l'assegnazione ai lavoratori di termini per l'esercizio dell'opzione che possono risultare cosi ristretti da renderlo impossibile od eccessivamente difficile.

In particolare, la disposizione (terzo comma, ultima parte) che impone ai lavoratori che maturino i requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia entro i sei mesi successivi all'entrata in vigore del decreto (cioé entro il 1° luglio 1982) di dare comunicazione dell'opzione non oltre la data di maturazione dei requisiti medesimi comporta - come denuncia il Pretore di Bari - che, ove questa si verifichi nei primi giorni del gennaio 1982, lo spatium deliberandi risulti ristrettissimo o al limite inesistente.

La disposizione generale del secondo comma, a sua volta, prevedendo che l'opzione debba essere comunicata almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto a pensione di vecchiaia, comporta un analogo pregiudizio - secondo quando rileva il Pretore di Torino-per coloro che tale diritto conseguano nel periodo immediatamente successivo al primo semestre di applicazione della legge (cioé al 1° luglio 1982), posto che anche per costoro lo spatium deliberandi risulta ristretto ai primi giorni successivi alla data di entrata in vigore del decreto.

3. - Nel valutare tali censure, occorre in primo luogo considerare che, introducendo, col predetto art. 6, l'istituto del pensionamento <posticipato>, il legislatore ha mirato, da un lato a garantire una pensione di importo più adeguato alle esigenze di vita ai lavoratori in possesso di un'anzianità assicurativa ridotta, dall'altro ad evitare alle casse degli enti previdenziali l'aggravio conseguente all'onere di integrazione al minimo delle pensioni di modesto importo. Di qui il particolare favor per tale istituto, manifestatosi sia col rendere automatica l'opzione per i lavoratori che avevano già maturato la pensione e continuavano a prestare attività lavorativa, sia con l'estensione da tre a sei mesi - operata in sede di conversione del decreto-del termine per l'esercizio dell'opzione per i lavoratori che maturavano i relativi requisiti nella prima fase successiva all'entrata in vigore del decreto medesimo.

E' da considerare, inoltre, che, in tale prima fase, l'esercizio dell'opzione poteva dar luogo a difficoltà e comportare valutazioni non poco complesse: sia perchè trattavasi di un diritto del tutto nuovo - e non a caso i giudici a quibus richiamano al riguardo l'eventualità di ritardi nella diffusione del testo del decreto ai fini della concreta conoscibilità di esso -; sia perchè questo presupponeva la conoscenza di dati di fatto (circa la propria situazione contributiva e l'importo della pensione conseguibile) di cui il singolo lavoratore poteva ragionevolmente non disporre, anche perchè prima del decreto non ne aveva impellente necessita; sia, infine, perchè la decisione se proseguire o meno l'attività lavorativa costituisce evidentemente una scelta che richiede adeguata ponderazione.

Il legislatore, per la verità, sembra aver avvertito tutto ciò quando ha previsto che la disposizione sull'operatività automatica dell'opzione in favore di chi aveva già maturato il diritto a pensione <si applica anche agli assicurati che maturano i requisiti previsti entro i sei mesi successivi all'entrata in vigore del presente decreto>. Ma é poi caduto nella singolare contraddizione di prevedere ad un tempo che in tal caso <si prescinde dalla comunicazione al datore di lavoro> e, subito dopo, che, invece, tale comunicazione <deve essere effettuata non oltre la data in cui i predetti requisiti vengono maturati>.

Tale contraddizione segnala l'irrazionalità intrinseca della disposizione ora richiamata.

Innanzitutto, perchè essa contrasta col già evidenziato intento legislativo di favorire, anzichè ostacolare, l'esercizio del l'opzione, intento che evidentemente doveva essere assistito da idonee previsioni proprio nella prima fase di applicazione del nuovo istituto. In secondo luogo, perchè omettendola non si sarebbe in alcun modo pregiudicata la posizione del datore di lavoro, che avrebbe visto nascere direttamente dalla legge un effetto-prosecuzione del rapporto - cui egli era comunque esposto per volontà unilaterale del lavoratore, essendo l'opzione un diritto potestativo di costui. Infine, perchè anche l'opposta situazione di cessazione del rapporto si sarebbe del pari verificata per unilaterale iniziativa del lavoratore, in virtù della presentazione della domanda di pensione (o dell'ottenimento di questa: art. 6, primo comma) ovvero di una manifestazione di volontà contraria alla prosecuzione di esso: sicchè la comunicazione richiesta dalla norma impugnata ben poteva considerarsi implicita nella continuazione del rapporto e nel difetto di presentazione di detta domanda.

3.l. -Non sussistevano, quindi, apprezzabili ragioni per differenziare la situazione di chi al momento di entrata in vigore del decreto aveva già maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia da quella di chi li maturava nei sei mesi successivi.

Conclusione, questa, che tanto più si impone se si considera la già rilevata manifesta inidoneità del termine apposto a garantire in tutte le situazioni considerate un adeguato spatium deliberandi. Se é vero, infatti, che l'esercizio di un diritto può essere dalla legge regolato e sottoposto a limiti, é anche vero che-secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - questi devono essere compatibili con la funzione del diritto di cui si tratta e non devono comportare che ne resti sostanzialmente escluso o reso oltremodo difficoltoso l'esercizio (cfr., da ultimo, sent. n. 203 del 1985).

E le già evidenziate caratteristiche di delicatezza e complessità che l'esercizio del diritto di opzione comporta conducono ad escludere che possa ritenersi congruo un termine-quale quello in questione-che non sia ragionevolmente adeguato rispetto a tutte le situazioni ricadenti nel suo ambito.

4. - Le medesime ragioni finora svolte conducono ad una declaratoria di parziale incostituzionalità anche del secondo comma dell'art. 6, in quanto riferito a coloro che maturano i requisiti per il conseguimento del diritto a pensione di vecchiaia nel secondo semestre successivo all'entrata in vigore del decreto, ai quali la norma impone di dar comunicazione dell'opzione almeno sei mesi prima, con ciò rendendo estremamente difficoltoso l'esercizio di tale diritto per coloro che maturino i requisiti nel primo periodo del suddetto semestre.

Si é già evidenziato (al par. 2) che la situazione di costoro, in termini di spatium deliberandi, e identica a quella dei soggetti considerati nell'ultima parte del terzo comma. E poiche la pronuncia ablativa di questo comporta per costoro, sia pure per implicito, la fruizione di un periodo per decidere dilatabile fino a sei mesi (che e tra l'altro il termine minimo concesso a chi maturi i requisiti dopo il 1° gennaio 1983), l'esigenza che risultino parificate situazioni sotto tale profilo analoghe, nonche quella-correlata alla prima-di assicurare coerenza al sistema normativo conseguente alla suddetta pronuncia ablativa, comportano che debba dichiararsi l'incostituzionalita del secondo comma in esame, nella parte in cui non dispone che il termine per la comunicazione al datore di lavoro ivi previsto non possa comunque scadere prima che siano trascorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge.

5.-Infondata deve invece ritenersi la questione sollevata dal Pretore di Firenze, il quale dubita-in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. - della legittimità del quinto comma dello stesso art. 6 della l. n. 54 del 1982, a termini del quale la pensione di vecchiaia decorre, per l'assicurato che abbia effettuato l'opzione prevista e regolata dai precedenti commi dello stesso articolo, dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale e stata presentata la domanda.

Il giudice a quo pone a raffronto tale disciplina sulla decorrenza della pensione con quella stabilita in via generale dall'art. 6 della legge 23 aprile 1981, n. 155, che fa invece decorrere il trattamento pensionistico di vecchiaia dalla data del compimento dell'età pensionabile, ovvero del successivo perfezionamento dei relativi requisiti di anzianità assicurativa e contributiva: ed assume che siffatta differenziazione indurrebbe una disparità di trattamento in danno dei lavoratori optanti, non giustificata da apprezzabili differenze sul piano lavorativo e previdenziale rispetto ai lavoratori per i quali non e sorta la necessita di opzione.

5.l. - Con la disposizione di cui all'art. 6 l. n. 155 del 1981 il legislatore-innovando al sistema previgente di cui all'art. 18 del d.P.R. n. 488 del 1968-ha inteso sganciare dalla presentazione della domanda-salvo diversa richiesta dell'interessato-la procedura di liquidazione della pensione di vecchiaia, onde consentire una tempestiva programmazione delle relative operazioni di calcolo ed accelerare cosi la corresponsione di quanto dovuto.

Ciò, però, presuppone che la decorrenza sia ancorata ad elementi certi, noti all'ente erogatore, quali appunto il compimento dell'età pensionabile ovvero il perfezionamento dei prescritti requisiti di anzianità assicurativa e di contribuzione, ove non soddisfatti a tale epoca. Nella disciplina di cui all'art. 6 della l. n. 54 del 1982, viceversa, manca un evento certo al quale ancorare la decorrenza della pensione, posto che, fermo il limite massimo del compimento del sessantacinquesimo anno di età, al lavoratore optante e data facoltà di scegliere se proseguire l'attività lavorativa fino al raggiungimento dell'anzianità contributiva massima utile ovvero <per incrementare la propria anzianità contributiva>.

Poichè in questa ultima ipotesi la decisione del lavoratore non e ancorata a dati determinabili a priori ed essa é posta in alternativa alle altre due (massima anzianità contributiva o compimento del sessantacinquesimo anno), risulta evidente che in tal caso mancano i presupposti per una predeterminazione della decorrenza della pensione che sia svincolata dalla domanda dell'interessato: il che giustifica pienamente la deroga al principio generale introdotta con la norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, terzo comma, ultima proposizione, del decreto legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54;

2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, nella parte in cui non dispone che il termine ivi previsto per l'esercizio della facoltà di opzione di cui al comma precedente non possa comunque scadere prima che siano trascorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge medesimo;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, quinto comma, del d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. dal Pretore di Firenze con ordinanza del 27 novembre 1986 (r.o. 197/87).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/01/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ugo SPAGNOLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 11 Febbraio 1988.