Sentenza n.155 del 1988

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SENTENZA N.155

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 26, lett. b) e c) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), 35, commi ottavo, lett. e) e quattordicesimo della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle LL. 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata) e 8, primo comma, lett. c) della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 luglio 1984 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Melotti Evangelista e la s.r.l. Cooperativa per la costruzione ed il risanamento di case per lavoratori, iscritta al n. 1106 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 bis dell'anno 1985;

2) ordinanza emessa l'11 aprile 1985 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Todisco Antonuccio ed altri contro L'Istituto Postelegrafonici ed altra, iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1986;

3) n. 10 ordinanze emesse il 25 novembre 1986 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Campagna Vincenzo, Campisi Salvatore, Canale Rosa, Costantini Romeo, Donsanti Giuseppe, Gennaro Sebastiano, Lanci Franco, Pauselli Arturo, Prili Giancarlo e Altavilla Fausto e la s.p.a. Assitalia ed altra, iscritte ai nn. da 37 a 46 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12 e 13, prima serie speciale, dell'anno 1987.

Visti l'atto di costituzione di Bucci Ferruccio ed altri nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi gli Avvocati dello Stato Giacomo Mataloni e Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Le questioni sollevate, riguardando norme ricomprese in uno stesso articolo di legge, possono, per affinità di materia, essere decise con un'unica pronunzia.

2. - Con le ordinanze indicate in epigrafe i Pretori di Bologna e di Roma dubitano, in riferimento all'art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 26, primo comma, lett. c) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) in quanto, disponendo che non si applichino agli alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata le disposizioni di cui al capo primo del titolo primo della stessa legge, consente che i conduttori di essi siano assoggettati ad un canone di locazione superiore - come verificatosi nei casi di specie-a quello <equo> dovuto dalla generalità degli altri conduttori alla stregua di tali disposizioni.

Tale risultato, osservano i giudici a quibus, dipende da diversi metodi di determinazione e di aggiornamento dei canoni di locazione adottati, rispettivamente, dalla legge n. 392 del 1978 (c.d. Legge sull'equo canone) e dalle disposizioni in tema di edilizia convenzionata: ed in ragione di ciò il Pretore di Roma estende l'impugnativa a-e quello di Bologna la pone in relazione con-gli artt. 35, comma ottavo, lett. e) e comma quattordicesimo, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (c.d. Legge sulla casa) e 8, primo comma, lett. c) della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), che regolano la materia del canone per questo tipo di edilizia.

2.l.-L'edilizia convenzionata é stata introdotta nel nostro ordinamento dal citato art. 35 della l. n. 865 del 1971, che dispone che i comuni o i consorzi di comuni possono concedere a fini edificatori, con diritto di superficie o in proprietà, a soggetti pubblici e privati aree inserite nei piani urbanistici speciali previsti dalla legge 18 aprile 1962, n. 167, ed interamente espropriate dai comuni. Sia la concessione del diritto di superficie che la cessione in proprietà sono accompagnate da una convenzione che deve prevedere, insieme alle caratteristiche costruttive, i criteri per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione. La legge 28 gennaio 1977, n. 10 ha ampliato il campo d'azione dell'intervento <<convenzionato>, consentendo che esso possa operare anche su aree esterne a quelle ricomprese nei piani di zona di cui alla legge n. 167 del 1962: aree che possono appartenere a privati ma possono altresì essere espropriate per la utilizzazione a scopo di costruzione ove rientrino nei programmi pluriennali di attuazione previsti dalla stessa legge (art. 13).

Gli artt. 7 e 8 disciplinano il sistema di convenzionamento inteso a favorire interventi di edilizia abitativa: le regioni predispongono convenzioni tipo-cui debbono essere uniformate quelle di comuni-in cui sono indicate le caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi, sono determinati i prezzi di cessione degli stessi (sulla base del costo delle aree, del costo della costruzione, delle opere di urbanizzazione e delle spese generali) e i canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi di cessione degli alloggi. Al costruttore che assume gli impegni relativi ai prezzi di vendita e ai canoni di locazione viene consentito di corrispondere un contributo per il rilascio della concessione (previsto dall'art. 3) solo per la parte commisurata agli oneri di urbanizzazione e non anche per quella relativa al costo di costruzione.

2.2. -Ciò premesso, deve innanzitutto escludersi che la differenziazione prospettata dai giudici a quibus sia, come pretende l'Avvocatura dello Stato, meramente occasionale e di fatto, e non dipenda invece direttamente-e con incidenza, se non generale, statisticamente significativa-dalla diversità dei congegni previsti dalle norme in discussione.

La differenziazione non appare dovuta tanto ai diversi criteri di determinazione del canone (nell'edilizia convenzionata i canoni vengono stabiliti con l'applicazione di una aliquota sul valore desunto dal prezzo di cessione dell'alloggio, a sua volta determinato sulla base dell'effettivo costo di costruzione, mentre per l'equo canone l'aliquota si applica sul valore locativo ricavato sulla base di un costo di costruzione teorico, corretto da vari coefficienti) in quanto, almeno per gli alloggi ultimati dopo il 3l.12.1975, o comunque costruiti dopo l'entrata in vigore della legge, l'equo canone viene calcolato su un costo di costruzione prossimo alla realtà, determinato tenendo conto, tra l'altro, proprio dei costi di produzione dell'edilizia convenzionata (art. 22). La ragione della divaricazione e invece dovuta alla mancata estensione alle locazioni convenzionate del meccanismo di adeguamento dei canoni disposto dall'art. 24 della legge n. 392 del 1978, che prevede un adeguamento annuale entro il limite del 75o70 delle variazioni dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati.

Ha così continuato ad operare per le locazioni convenzionate il sistema di aggiornamento previsto dall'art. 8 della legge n. 10 del 1977, assai più sfavorevole per i conduttori in quanto comporta adeguamenti biennali rapportati al cento per cento della variazione dell'indice dei costi di costruzione. A parte la sensibile diversità della percentuale delle variazioni, la divergenza si é formata per effetto della progressione del costo delle costruzioni, che é avvenuta in termini assai più incisivi-come risulta anche dai dati offerti da una elaborazione del CENSIS contenuta nel rapporto 1987 sulla condizione economico- sociale del Paese-rispetto a quella relativa al costo della vita.

2.3.-Tale essendo la situazione, la censura di violazione del principio di uguaglianza deve ritenersi fondata.

L'edilizia convenzionata si colloca, invero, nel più ampio quadro dell'edilizia residenziale pubblica, mirante a sopperire al fabbisogno abitativo di categorie sociali di limitate capacita economiche, o ritenute per altre ragioni meritevoli di tutela.

Tale indirizzo é stato realizzato non solo con la costruzione di alloggi a totale carico dello Stato, destinati alle fasce di reddito più basse cui si applica perciò un canone sociale (cfr. art. 26, lett. b), l. n. 392 cit.), ma anche mediante regimi convenzionali in cui tale obiettivo e perseguito assicurando al costruttore particolari vantaggi: o attraverso la corresponsione di un contributo statale diretto ad abbattere il tasso di interesse sui mutui (c.d. edilizia agevolata-convenzionata: cfr. la l. n. 457 del 1978) o, come nel caso di cui agli artt. 7-8 l. n. 10 del 1977, attraverso una congrua riduzione degli oneri afferenti il rilascio della concessione edilizia.

Con quest'ultimo regime, in particolare, si e mirato ad orientare le tecnologie costruttive ed i capitali di investimento verso una tipologia di edilizia residenziale di costo contenuto e di dimensioni controllate, al duplice fine di assicurare- anche attraverso le previste agevolazioni-un'equa remunerazione all'investimento e di fornire alloggi accessibili alle fasce di reddito medio-basse. Tale destinazione e manifesta nell'originaria disciplina di cui all'art. 35 l. n. 865 del 1971 - che anzi in talune ipotesi la limita ai soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione di alloggi economici e popolari (commi 16° e 18o) - ma essa e indubbiamente propria anche del regime convenzionale regolato dalla legge n. 10 del 1977. E ciò sia perchè questo costituisce un'estensione del primo- onde il silenzio della nuova normativa sul punto va inteso come inserimento di essa nell'alveo di quella precedente- sia perchè nello stesso senso dispongono esplicitamente talune leggi regionali di attuazione (v., ad es., l'art. 5 legge Regione Emilia- Romagna 2 giugno 1980, n. 46). Del resto, che l'edilizia convenzionata si caratterizzasse come <edilizia che prevede canoni e prezzi controllati e quindi accessibili alle categorie meno abbienti> e circostanza che fu ben presente in sede di redazione della legge sull'equo canone (cfr. relazione al d.l. governativo n. 465 - VII legislatura- da cui scaturì la l. n. 392).

2.4.-Ciò che però il legislatore del 1978 non ha tenuto sufficientemente in conto nel dettare l'art. 26, lett. c) é stato che, soprattutto per via del diverso meccanismo di aggiornamento, il canone delle locazioni convenzionate potesse in prospettiva pervenire a superare quello fissato in via generale con la nuova legge: pericolo, questo, che era stato prontamente avvertito dalle Regioni-chiamate ad applicare il regime convenzionale previsto dalla legge n. 10 del 1977-le quali, all'indomani del varo di questa, espressero un orientamento comune per cui, al fine di consentire che il canone convenzionato corrispondesse nel contempo alle finalità sociali rivolte alla tutela del conduttore e al riconoscimento di una giusta redditività dell'investimento, era necessario da un lato per la determinazione di un canone fissare un'aliquota sul prezzo di cessione inferiore o parificata a quella che sarebbe stata stabilita dalla legge sull'equo canone (sul valore locativo dell'immobile), e dall'altro equiparare il meccanismo di aggiornamento del canone convenzionato a quello fissato dalla nuova legge per l'equo canone stesso (cfr. Orientamenti delle Regioni per l'attuazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10 - Documento unitario delle Regioni, 14 aprile 1977, par. 2.3.). D'altra parte, che il canone dell'edilizia convenzionata possa essere superiore - ed anche di molto, come i casi di specie dimostrano - a quello di cui alla l. n. 392 e cosa che si appalesa incongrua anche rispetto agli orientamenti della legislazione coeva o successiva. Da un lato, infatti, e stato previsto in taluni casi l'assoggettamento dell'edilizia convenzionata a requisiti reddituali di accesso analoghi a quelli dettati per l'edilizia a sovvenzione pubblica (artt. 18 e 20 l. n. 457 del 1978: cfr. anche il gia citato art. 2 l. R. Emilia- Romagna n. 46 del 1980); dall'altro, l'applicazione del regime di equo canone, proprio in quanto piu elevato, e stata prevista per gli alloggi pubblici dati in godimento a soggetti fruenti di redditi superiori a quelli stabiliti per l'assegnazione (cfr. gli artt.: 22 l. n. 513 del 1977; 7, 8 e 22 l. n. 25 del 1980).

Nè a giustificare un canone superiore per l'edilizia convenzionata possono addursi ragioni diverse da quelle finora considerate. Non certo quelle attinenti a vantaggi di altro tipo propri di tale regime contrattuale, posto che le relative disposizioni non prescrivono, ad es., garanzie di stabilita del rapporto analoghe a quelle previste dalla legge sull'equo canone.

Nemmeno, poi, può dirsi che un tale risultato sia reso necessario dalle esigenze di incentivazione degli investimenti in edilizia: e ciò sia perchè l'obiettivo é stato perseguito anche con legge n. 392 (cfr. la già citata relazione governativa al d.l. n. 465, p. 4), sia perchè non e certo ragionevole che esso si realizzi col sacrificio delle categorie meno abbienti, anzichè della generalità dei cittadini.

D'altra parte, come la stessa Avvocatura dello Stato ha evidenziato, tanto la normativa sull'edilizia convenzionata che quella sull'equo canone assolvono ad una funzione calmieratrice del mercato delle locazioni: e questa e evidentemente frustrata se una consistente lievitazione dei canoni si manifesta proprio rispetto a tipologie edilizie progettate per le esigenze di fasce sociali che difficilmente possono soddisfare altrimenti il proprio diritto all'abitazione.

In questo quadro, il modello convenzionale trova congrua collocazione per la sua spiccata attitudine a consentire soluzioni il più possibile aderenti alle esigenze poste dalle singole situazioni. Ma la flessibilità dello strumento trova un limite la dove, a parità di caratteristiche, consente l'assoggettamento a canoni superiori a quelli che, a giudizio del legislatore, realizzano un equo contemperamento delle esigenze di proprietari e di inquilini, giacchè ciò si traduce in un non consentito trattamento deteriore che, rispetto alla generalità dei conduttori, viene riservato a quelli meno abbienti.

L'art. 26, primo comma, lett. c) della legge n. 392 del 1978 va perciò dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto, nel prevedere l'inapplicabilità alle locazioni relative ad alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata delle disposizioni del capo I del titolo I della legge medesima, non stabilisce che per esse il canone non può comunque essere superiore a quello che risulterebbe dall'applicazione di queste ultime.

Poichè il vizio riscontrato si radica sul raffronto tra la disciplina successiva - di cui alla l. n. 392 del 1978 - e quella anteriore-di cui agli artt. 35 l. n. 865 del 1971 e 8 l. n. 10 del 1977 - e invece evidentemente infondata la medesima questione in quanto riferita a queste ultime disposizioni.

3.-Con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 733/85), la Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento all 'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, primo comma, lett. b) della legge n. 392 del 1978, in quanto non prevede che le disposizioni di cui al capo I del titolo I della stessa legge non si applichino alle locazioni relative agli alloggi di proprietà dell'Istituto Postelegrafonici stipulate con i dipendenti dell'Amministrazione postelegrafonica. Afferma la Corte remittente che sussisterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra la situazione in cui versano i dipendenti dell'Amministrazione postelegrafonica che sono locatari di alloggi costruiti a totale carico dello Stato e che in quanto tali corrispondono il cosiddetto <canone sociale> -essendo stati dalla norma impugnata esclusi dalla applicazione del regime dell'<equo canone>) di cui alla legge n. 392 del 1978 - e la situazione in cui si trovano i dipendenti della medesima Amministrazione che sono locatari di alloggi di proprietà dell'Istituto Postelegrafonici, che sono invece assoggettati alla corresponsione di un canone determinato secondo il regime dell'equo canone, più gravoso del primo: e ciò pur trovandosi in condizioni soggettive identiche - rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione- e per di più avendo corrisposto contributi per l'acquisto di tali immobili.

3.l. - La questione non é fondata.

Come la stessa Corte remittente ha rilevato, l'Istituto Postelegrafonici - costituito, con diversa denominazione, con la legge 18 ottobre 1942, n. 1408 e successivamente regolato dalla legge 27 marzo 1952, n. 208 e dal d.P.R. 8 aprile 1953, n. 542 - promuove ed attua l'assistenza e la previdenza in favore dei dipendenti del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni e non é inquadrabile tra gli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia.

Gli immobili appartenenti all'Istituto assolvono ad una funzione di garanzia, costituiscono una forma di investimento ai fini di una corretta gestione dei fondi creati con il contributo degli assistiti e di mantenimento del valore delle disponibilità monetarie dell'Istituto. In quanto tali, essi appartengono al patrimonio disponibile dell'ente e non hanno la destinazione specifica e tipica degli alloggi di edilizia economica e popolare di proprietà di Amministrazioni statali e di altri enti pubblici.

Il loro godimento é concesso con contratti di natura prettamente privatistica, il cui canone riflette la specifica destinazione degli immobili e la natura del contratto, a ciò non ostando il fatto che l'Istituto abbia originariamente inteso limitarlo al solo ristoro di oneri e passività.

Profondamente diversa é la natura del canone sociale, espressamente ed esclusivamente previsto dalla legge per gli immobili soggetti alla disciplina dell'edilizia economica e popolare. Tali immobili appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato o di enti pubblici chiamati per legge all'organizzazione e alla gestione di un pubblico servizio sociale diretto a favorire l'accesso alla casa dei cittadini meno abbienti. Il canone sociale va pertanto considerato come strettamente correlato alla socialità del servizio stesso. Gli alloggi dell'edilizia economica e popolare sono inoltre assegnati secondo criteri e procedure stabilite dalla legge, e da questa sono altresì stabiliti i requisiti per l'assegnazione, mentre l'Istituto Postelegrafonici ha disposto con mera procedura amministrativa in terna, e secondo criteri da esso fissati, la selezione di quanti avevano richiesto di ottenere in locazione i relativi alloggi.

Più in particolare, per quanto attiene alle case acquistate o costruite dall'Amministrazione delle Poste e dei Telegrafi per essere concesse al personale dipendente, la relativa disciplina - contenuta negli artt. da 324 a 342 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 (T.U. delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica) ed estesa a quelle costruite negli anni '5O in virtù della l. 11 dicembre 1952 n. 2521-rende evidenti le differenze rispetto alle case costruite od acquistate dall'Istituto Postelegrafonici.

A prescindere dalla diversa condizione giuridica degli immobili, é da rilevare che, mentre per le prime é prescritto che deve trattarsi di case <economiche> e-correlativamente -che gli alloggi vanno assegnati in base a graduatorie fondate sulle condizioni economiche dei dipendenti (artt. 324 e 334 T.U.), analoghe disposizioni cogenti non vigono per le seconde. Le situazioni poste a raffronto, perciò, si differenziano tanto sotto il profilo oggettivo della tipologia degli alloggi, quanto sotto quello soggettivo delle condizioni economiche degli assegnatari o conduttori: le quali non possono ovviamente ritenersi omogenee in base al mero dato dell'appartenenza alla stessa Amministrazione.

Il fatto, poi, che all'acquisto degli immobili dell'Istituto Postelegrafonici concorrano i contributi obbligatori versati da tutti i dipendenti dell'Amministrazione P.T. non comporta certo che alcuni di costoro ne debbano trarre un particolare vantaggio versando un canone sociale: il che non sarebbe in alcun modo correlato ne con la funzione previdenziale dei contributi, ne con quella di mantenimento ed incremento del loro valore cui l'investimento in immobili e preordinato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 26, primo comma, lettera c) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui non dispone che il canone di locazione degli immobili soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata non deve comunque superare il canone che risulterebbe dall'applicazione delle -disposizioni del titolo I, capo I, della medesima legge;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, commi ottavo, lettera e) e quattordicesimo, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e dell'art. 8, primo comma, lettera c) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, primo comma, lettera b), della legge 27 luglio 1978, n. 392 sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/01/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ugo SPAGNOLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 11 Febbraio 1988.