ORDINANZA N.107
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 62 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (T.U. delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento, la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni); dell'art. 14 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036 (Norme per la riorganizzazione delle amministrazioni e degli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica) e degli artt. 22 e 23 della legge 8 agosto 1977, n. 513 (Provvedimenti urgenti per l'accelerazione dei programmi in corso, finanziamento di un programma straordinario e canone minimo dell'edilizia residenziale pubblica), promosso con ordinanza emessa il 27 febbraio 1987 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Salvatori Marcello e I.A.C.P. ed altro, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 dell'anno 1987.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 novembre 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.
Ritenuto che il Pretore di Roma, nel procedimento civile instaurato da Salvatori Marcello, assegnatario, quale dipendente del Ministero della pubblica istruzione, di alloggio già dell'I.N.C.I.S. ed ora dell'I.A.C.P., per sentir dichiarare illegittima la ritenuta sul suo stipendio, operata dal predetto Ministero per conto dell'I.A.C.P., in misura corrispondente all'equo canone, ha sollevato, con ordinanza emessa il 27 febbraio 1987 (R.O. n. 149/87), questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., e gradatamente:
a) dell'art. 62 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (T.U. delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento, la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni), il quale prevede il potere di determinate pubbliche amministrazioni di effettuare o di far effettuare ritenute sulla retribuzione dei conduttori di immobili delle stesse che siano pubblici dipendenti;
b) dell'art. 14 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036 (Norme per la riorganizzazione delle amministrazioni e degli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica), in quanto, secondo l'interpretazione giurisprudenziale corrente, consente all'I.A.C.P., subentrato all'I.N.C.I.S., di avvalersi del potere di ritenuta sopra menzionato;
c) degli artt. 22 e 23 della legge 8 agosto 1977, n. 513 (Provvedimenti urgenti per l'accelerazione dei programmi in corso, finanziamento di un programma straordinario e canone minimo dell'edilizia residenziale pubblica), interpretati nel senso che la trasformazione delle assegnazioni di alloggi I.A.C.P. in locazioni, soggette alla disciplina delle locazioni di immobili urbani (vale a dire alla normativa sull'equo canone di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392, allora in via di predisposizione, anzichè alla normativa sul <canone sociale>) qualora il reddito dell'assegnatario ecceda determinati livelli, non esclude la persistente operatività del potere di effettuare le ritenute di cui alla lettera a) nei confronti dei conduttori che siano pubblici dipendenti;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri sollecitando la declaratoria di infondatezza delle questioni.
Considerato che, effettivamente, l'art. 22 della legge n. 513 del 1977 ha previsto, nei confronti degli assegnatari titolari di redditi eccedenti determinati livelli, la possibilità che il rapporto prosegua e sia disciplinato dalle norme sulle locazioni di immobili urbani (legge n. 392 del 1978, sull'equo canone, allora in via di predisposizione);
che, peraltro, ai sensi di successiva disposizione (art. 22, comma secondo, decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629, convertito, con modificazioni, nella legge 15 febbraio 1980, n. 25), l'I.A.C.P. deve disporre nuovamente l'applicazione del <canone sociale> a favore dell'assegnatario, già assoggettato al regime dell'equo canone, il cui reddito sia rientrato nei limiti di legge;
che, pertanto, si tratta non già di definitiva novazione del rapporto di assegnazione, vale a dire di sostituzione di esso con un nuovo rapporto di locazione, bensì di alterne vicende di un peculiare rapporto, nel quale coesistono, anche nella fase della sua soggezione alla normativa sull'equo canone, aspetti pubblicistici ed aspetti privatistici;
che la persistenza, nella detta fase, dell'elemento pubblicistico - attinente al titolo dell'assegnazione ed alla sempre aperta possibilità che sia ripristinato il canone sociale-da ragione della perdurante applicabilità dell'istituto delle ritenute su stipendi, salari e pensioni degli inquilini pubblici dipendenti;
che, nei riguardi di questi ultimi, il potere di ritenuta dell'ente proprietario dell'immobile costituisce soltanto una speciale modalità di riscossione dell'equo canone, che da un canto appare giustificata, in relazione alla comune natura pubblica dell'ente datore di lavoro e dell'I.A.C.P. (che agevola la praticabilità di tale modo di riscossione), e, dall'altro, non e per se vessatoria, poichè l'ordinamento positivo consente di configurare rimedi giurisdizionali quanto alla determinazione del canone dovuto e alla conseguente legittimità e ulteriore eseguibilità della ritenuta (contestazione dell'ammontare davanti al giudice dell'equo canone ex art. 43 della legge n. 392 del 1978; contestazione della legittimità della ritenuta davanti al giudice amministrativo; istanza di provvedimenti di urgenza all'uno o all'altro giudice), la scelta fra i quali importa, semmai, soltanto la soluzione di questioni di giurisdizione, non proponibili davanti a questa Corte;
che, pertanto, le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate: Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma secondo, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dell'art. 62 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, dell'art. 14 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036 e degli artt. 22 e 23 della legge 8 agosto 1977, n. 513, sollevate dal Pretore di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/01/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Aldo CORASANITI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 26 Gennaio 1988.