Sentenza n.620 del 1987

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SENTENZA N. 620

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), in relazione all'art. 5, secondo e quarto comma, lett. a), della legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica"), dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705 ("Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), dell'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28 e degli artt. da 50 a 53 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, promossi con le seguenti ordinanze:

1) n. 2 ordinanze emesse il 29 maggio 1985 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sui ricorsi proposti da Broussard Giovanni e da Andreani Domenico contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritte ai nn. 131 e 333 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 37, prima Serie speciale, dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 26 febbraio 1986 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Scioscia Santoro Antonio contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima Serie speciale, dell'anno 1987;

3) ordinanza emessa il 16 aprile 1986 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Di Curzio Berardo contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima Serie speciale, dell'anno 1987;

4) ordinanza emessa il 5 novembre 1986 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Pizzi Annibale contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima Serie speciale, dell'anno 1987;

5) ordinanza emessa il 30 ottobre 1986 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria sul ricorso proposto da Tavoni Otello contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 258 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima Serie speciale, dell'anno 1987.

Visti gli atti di costituzione di Broussard Giovanni, di Di Curzio Berardo, di Andreani Domenico, di Scioscia Santoro Antonio, di Pizzi Annibale e di Tavoni Otello nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Uditi gli avvocati Carlo Rienzi per Broussard Giovanni e Di Curzio Berardo, Giovanni Cassandro per Pizzi Annibale, Fabrizio Salberini per Tavoni Otello e l'Avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza del 29 maggio 1985 (R.O. n. 131/1986), sul ricorso, proposto dal prof. Giovanni Broussard contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, per l'annullamento del giudizio di non idoneità a professore universitario associato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione all'art. 76 della Costituzione (tenuto conto dell'art. 5, comma quarto, lett. a), e comma secondo, della legge 21 febbraio 1980, n. 28) e in relazione agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione.

La predisposizione, censurata dal ricorrente, di più di una commissione giudicatrice per ciascun raggruppamento disciplinare allorché il numero dei concorrenti alla prova ecceda le ottanta unità, non é secondo il giudice a quo imputabile al bando di concorso, ma risale all'art. 51, comma secondo, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 e quindi implica la cattiva applicazione della delega legislativa di cui all'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, il cui secondo comma dispone che il concorso "ordinario" per l'accesso alla fascia dei professori associati é organizzato sulla base di commissioni "composte, per ciascun raggruppamento di discipline, da cinque membri effettivi (...) e cinque per eventuali surroghe". Dopo aver dettato norme sul meccanismo, misto di sorteggio ed elezione, per la scelta dei predetti componenti, si stabilisce che "le commissioni possono essere formate da un numero superiore di commissari in rapporto al numero dei candidati".

Nel quarto comma dello stesso art. 5 della legge di delega n. 28 del 1980, si prevede poi che, in prima applicazione, "il giudizio di idoneità é espresso, per ciascun raggruppamento di discipline, da apposite commissioni nazionali composte da tre professori ordinari o straordinari, eletti secondo le modalità previste dal secondo comma".

Posto che nel procedimento a regime (costituente il parametro del procedimento di prima attuazione) unico sistema per far fronte all'eccesso di candidati appare l'incremento numerico dei commissari capace di adattarsi proporzionalmente alla quantità dei concorrenti, la moltiplicazione, nei giudizi idoneativi, di centri di valutazione autonoma può ledere il principio della par condicio fra tutti i partecipanti ad un giudizio per l'accesso a posti pubblici, principio che rileva anche "sotto il profilo del rispetto del criterio di imparzialità cui deve ispirarsi l'organizzazione pubblica".

1.2. - Costituitosi davanti a questa Corte, in rappresentanza del prof. Broussard, l'avvocato Carlo Rienzi, sviluppa varie argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, ricordando, che, come si evince dai lavori preparatori della legge n. 28 del 1980, originariamente, tanto per i concorsi che per i giudizi idoneativi, il Senato prima, la Camera dei deputati poi, previdero la possibilità di formare sottocommissioni che operassero all'interno di un'unica commissione, cioè come articolazione di questa, nell'evidente intento di assicurare criteri concorsuali comuni a tutti i membri commissari scelti per lo stesso raggruppamento disciplinare. Ma questa iniziale proposta fu abbandonata e si finì per optare per la soluzione prevista dall'art. 5, che sancì il criterio della commissione unica tanto per i concorsi che per i giudizi idoneativi, sul presupposto evidente che il reclutamento dovesse in ogni caso ispirarsi a criteri di imparzialità e omogeneità di giudizio.

Soffermandosi poi sulla natura dell'art. 10 della legge n. 705 del 1985, la difesa, sottolineatone il sostanziale valore innovativo più che interpretativo, rileva che esso renderebbe improponibile qualsiasi giudizio di costituzionalità per eccesso di delega (in proposito, si richiama la sentenza di questa Corte n. 123 del 7 aprile 1987). Lo strumento della legge interpretativa non può sanare ex post atti del Governo emessi nell'esercizio della potestà legislativa delegata.

1.3. - Intervenuta in difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, nell'insistere per la declaratoria di infondatezza della questione così sollevata, osserva, circa l'ipotizzato contrasto della normativa in esame con l'art. 76 della Costituzione, che la previsione di più commissioni, in primo luogo, é coerente con il principio direttivo della diversa composizione delle commissioni in relazione al numero dei candidati, così come autenticamente ribadito nell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705; in secondo luogo, essa é aderente alla lettera dell'art. 5, quarto comma, lett. a), della legge di delega n. 28 del 1980 da cui si ricava che per i giudizi di idoneità nella prima applicazione é consentito al legislatore delegato prevedere che ad un raggruppamento siano addette una o più commissioni, secondo le esigenze; la previsione di più commissioni é, secondo l'Avvocatura, coerente col primo comma dell'art. 5 citato, secondo cui gli autonomi e specifici raggruppamenti disciplinari per i concorsi a professore associato sono caratterizzati da criteri di maggiore ampiezza e flessibilità rispetto ai criteri per i concorsi ad ordinario. La disposizione ha comportato la formazione di raggruppamenti ampi e affollati di candidati ed esclude quindi la possibilità di meccaniche trasposizioni dall'uno all'altro tipo di procedura di selezione, anche tra concorso a regime e giudizio di idoneità, in prima applicazione, ad associato; infine, ad avviso dell'Avvocatura, l'impugnato art. 51, essendo stato dettato dall'esigenza di procedere speditamente nelle procedure idoneative (anche in vista di una sincronica attuazione delle disposizioni transitorie), non contrasta con esplicite disposizioni in contrario del legislatore delegante, il che normalmente equivale all'attribuzione al legislatore delegato di un certo spazio di discrezionalità.

Circa il contrasto, dedotto dal giudice a quo, con il principio della par condicio e con il criterio di imparzialità dell'organizzazione pubblica, secondo l'Avvocatura, la pluralità di organi di giudizio é fenomeno del tutto normale nel nostro ordinamento. Né va dimenticato, osserva l'Avvocatura, che il principio del buon andamento esige il contemperamento dell'astratta "tendenza alla reductio ad unitatem con la esigenza concreta di assicurare la funzionalità degli organismi anzidetti"; tanto più che, nella specie, si é trattato non di una procedura concettualmente unitaria di concorso a posti limitati ma di una serie plurima di giudizi di idoneità ciascuno dei quali sostanzialmente individuali, al pari degli esami degli studenti universitari.

2.1. - Con ordinanza del 29 maggio 1985 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (R.O. n. 333 del 1986), sul ricorso proposto dal prof. Domenico Andreani contro il Ministero della pubblica istruzione avverso il giudizio di non idoneità alle funzioni di professore associato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sostanzialmente identica alla precedente, dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione all'art. 76 della Costituzione (tenuto conto dell'art. 5, comma quarto, lett. a), e comma secondo della legge 21 febbraio 1980, n. 28) ed in relazione agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione. L'ordinanza di rimessione svolge argomentazioni identiche a quelle della ordinanza precedentemente considerata (v. n. 1).

2.2. - Si é costituito davanti a questa Corte il prof. Domenico Andreani, rappresentato dall'avvocato Carlo Selvaggi, insistendo nella richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa in questione. Si sottolinea in particolare che la "violazione dei limiti e criteri direttivi posti dal Parlamento al legislatore delegato comporta l'illegittimità delle norme adottate in difformità, quando la legge delegante e la legge delegata divergono su scelte fra diversi possibili procedimenti, ove la adozione di un sistema diverso abbia la capacità potenziale di influire sulle valutazioni e in definitiva sui diritti destinati ad essere attribuiti o negati ai destinatari".

2.3. - Intervenuta in difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato insiste nel chiedere che venga dichiarata infondata la questione.

3.1. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ( R.O. n. 137/1987), con ordinanza del 26 febbraio 1986, sul ricorso proposto dal prof. Antonio Scioscia Santoro contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale: A) dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione all'art. 76 della Costituzione (tenuto conto dell'art. 5, quarto comma, lett. a), e secondo comma, della legge 21 febbraio 1980, n. 28) ed in relazione agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione; B) dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione e dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione.

Oltre a svolgere in ordine al problema della legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, argomentazioni analoghe a quelle delineate nelle due ordinanze già considerate, il giudice a quo rileva il contrasto dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, da un lato con l'art. 24 della Costituzione, primo e secondo comma (nella parte in cui garantisce la tutela in giudizio dei diritti ed interessi legittimi, nonché nella parte in cui definisce la difesa diritto inalienabile in ogni stato e grado del procedimento) e, dall'altro, con le disposizioni relative alle funzioni ed alle prerogative della Corte costituzionale (artt. 134, 136 e 137 Cost.), nonché con l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1. Sembra infatti dubbio che l'ordinamento consenta al legislatore ordinario di rimuovere con legge interpretativa un possibile rinvio di norme delegate per sospetta violazione dell'art. 76 della Costituzione, specie quando della questione sia già stata investita la Corte costituzionale: una volta emanati gli atti normativi (di delegazione e delegati), il controllo della legittimità dell'esercizio della funzione legislativa delegata, con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione apparirebbe riservato alla Corte costituzionale, potendo il legislatore unicamente rimuovere, ma solo per il futuro e quindi non con legge di interpretazione autentica, ogni eventuale contrasto, modificando o facendo proprio, recependolo in legge ordinaria, il contenuto della norma delegata.

3.2. - Intervenuta in difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato si richiama a quanto dedotto nell'intervento relativo alla controversia introdotta con l'ordinanza di rimessione n. 138 del 1987.

3.3. - Costituitisi in rappresentanza e difesa del prof. Scioscia Santoro, gli avvocati Piero Lepri e Raffaele Izzo, nel rinviare alle argomentazioni già esposte nel giudizio a quo e alle motivazioni dell'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sottolineano come l'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, abbia voluto legittimare l'eccesso di delega operato dall'art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980 nei confronti dell'art. 5 della legge di delega n. 28 del 1980, determinando una "spoliazione delle tutele giurisdizionali già intraprese per ottenere il rispetto delle leggi vigenti".

4.1. - Con ordinanza del 16 aprile 1986, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (R.O. n. 138/1987), sul ricorso proposto dal prof. Berardo Di Curzio contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione agli artt. 76, 3, 97 e 24 della Costituzione e dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione, nonché all'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione. Le argomentazioni di questa ordinanza di rimessione sostanzialmente coincidono con quelle della ordinanza su cui si é precedentemente riferito (v. n. 3.1).

4.2. - Si é costituito in questo giudizio il prof. Berardo Di Curzio, rappresentato dall'avvocato Carlo Rienzi, chiedendo che questa Corte ritenga fondata la questione di legittimità costituzionale della normativa in questione.

4.3. - É intervenuta, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, che, per quanto concerne l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980 per violazione dell'art. 5 della legge delega n. 28 del 1980, in relazione agli artt. 76, 3, 97 e 24 della Costituzione, si richiama integralmente all'intervento già effettuato nei precedenti giudizi.

Per quanto riguarda l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione e all'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, osserva l'Avvocatura che detta eccezione é irrilevante e comunque infondata una volta respinta quella concernente la norma interpretata, in quanto, se la legge di delega nella formazione originaria già legittimava una formazione di una pluralità di commissioni, risulta evidente che detta norma si paleserebbe comunque del tutto legittima. Né, ad avviso dell'Avvocatura, la norma separatamente é inutile, in quanto si richiedeva una chiarificazione legislativa dal momento che l'interpretazione dell'art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980 era stato oggetto di contestazione giudiziale da parte di molti ricorrenti. Comunque inammissibile ed infondata sotto il profilo dell'eccesso di delega si presenta l'estensione all'art. 10 della legge n. 705 del 1985 delle censure ed argomentazioni già proposte nei confronti dell'art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980, tant'é vero che detto art. 5 della legge n. 28 del 1980 non é stato deferito all'esame di questa Corte.

Inoltre la formazione di più commissioni per lo stesso giudizio non urta contro nessun principio costituzionale, atteso che tutti i docenti chiamati a comporre tali commissioni "appartengono alla medesima categoria per tutti, e quindi deve presumersi che siano dotati delle medesime capacità e preparazione, per cui é indifferente - in diritto - che sia l'uno o l'altro membro della specifica commissione". In ogni caso, a garantire l'uniformità dei criteri, il legislatore ha previsto il sistema del sorteggio nella scelta dei membri delle commissioni. Né la formazione di una commissione "pletorica" servirebbe ad eliminare "i margini umani di differenza di giudizio" dovendosi provvedere alla nomina di sottocommissioni che si comporterebbero alla stregua di distinte commissioni.

Infine non sussiste ad avviso dell'Avvocatura alcun profilo di incostituzionalità della norma interpretativa non essendovi lesione del diritto di difesa del cittadino e neppure menomazione delle attribuzioni della Corte costituzionale: infatti "la mera pendenza di controversie giudiziarie o il deferimento di questioni rilevanti nelle stesse alla Corte costituzionale non é previsto come limite esterno al potere sovrano del Parlamento di legiferare nella materia, anche con effetti retroattivi". Ciò si verificherebbe invece qualora venisse leso il giudicato o estinto il procedimento (l'Avvocatura in proposito richiama la sentenza di questa Corte n. 123 del 7 aprile 1987), mentre nel nostro caso il sopravvenire della nuova disposizione ha solo introdotto un altro thema decidendum. D'altronde, osserva l'Avvocatura, nel caso di specie il Parlamento non ha sottratto il giudizio alla Corte, ma si é limitato a regolamentare una materia all'esame della Corte stessa.

5.1. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (R.O. n. 201/1987) sul ricorso proposto dal prof. Annibale Pizzi conto il Ministero della pubblica istruzione ed altri, con ordinanza del 5 novembre 1986 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale: A) dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, per sospetta violazione degli artt. 76 (in relazione all'art. 5, comma quarto, lett. a), e comma secondo), 3 e 97 della Costituzione; e B) dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione e dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione. Le argomentazioni del giudice a quo sono in tutto coincidenti con quelle della ordinanza sopra considerata (v. sopra n. 4.1).

5.2. - Si é costituito davanti a questa Corte, in rappresentanza e difesa del prof. Pizzi, il prof. avv. Giovanni Cassandro il quale osserva che il richiamo, da parte del giudice a quo, alla violazione dell'art. 24 (diritto di difesa) e degli articoli che elencano poteri e compiti della Corte costituzionale (134, 136 e 137 Cost.), é un ulteriore sostegno della lamentata illegittimità, perché la legge interpretativa mirava "a impedire la difesa dell'interessato e l'intervento della Corte costituzionale, davanti alla quale, per di più, la questione era già incardinata", sicché si verrebbe a profilare un "conflitto di attribuzioni tra potere legislativo e potere giudiziario".

5.3. - É intervenuta, in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, limitandosi alle argomentazioni già svolte nei precedenti interventi.

6.1. - Con ordinanza del 30 ottobre 1986 il Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria (R.O. n. 258/1987), su ricorso proposto dal prof. Otello Tavoni contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, e degli artt. 50, 51, 52 e 53 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Aderendo parzialmente ai dubbi prospettati dal ricorrente, il giudice a quo osserva che il criterio, seguito dalle norme circa le quali é posta la questione di legittimità costituzionale, di sottoporre allo stesso giudizio di idoneità ad associato categorie eterogenee, urta contro il principio di eguaglianza inteso come esigenza di diversificare nel trattamento giuridico situazioni obiettivamente diverse, né corrisponde al principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Infatti, tra le categorie ammesse dall'art. 50 del d.P.R. n. 382 del 1980 (conforme all'art. 5 della legge di delega n. 28 del 1980), risultano sottoposti alle stesse prove da un lato soggetti che nemmeno erano addetti istituzionalmente a funzioni docenti o didattiche, né avevano dovuto superare alcuna selezione atta a dimostrare la loro idoneità all'insegnamento, e dall'altro incaricati di un insegnamento universitario da svariati anni "che tale status avevano acquisito a seguito di un concorso pubblico basato su titoli accademici e scientifici" (cfr. legge 18 marzo 1958, n. 311, e successive modificazioni), dove il conclusivo atto di conferimento dell'incarico (che avveniva con decreto del Ministro) "recava in sé implicita l'abilitazione all'insegnamento universitario". Discutibile in ogni caso é, ad avviso del giudice a quo, la previsione nella normativa impugnata di un giudizio "con le medesime modalità valutative (e dunque tale da annullare o comunque sminuire le differenti posizioni di partenza dei candidati), vuoi che si tratti di professori incaricati, vuoi che si tratti soltanto di tecnici laureati o di figure equivalenti".

6.2. - In difesa del prof. Tavoni, ha presentato memoria di costituzione l'avvocato Fabrizio Salberini, il quale, nell'insistere nella richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale delle menzionate norme, sviluppa i rilievi accolti nell'ordinanza del giudice a quo.

6.3. - Intervenendo a difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, nel chiedere che la questione prospettata sia dichiarata non fondata, osserva che il giudizio di idoneità é funzionale al passaggio in ruolo e non al mantenimento dello status di docente universitario, mantenimento che la legge delega n. 28 del 1980 non ha previsto, come non ha previsto una opzione per esso anziché per l'inquadramento in ruolo. Le disposizioni in questione sono state dettate non per conservare il preesistente status di docente universitario, ma per consentire l'accesso ad un ruolo e ad una qualifica mediante un giudizio idoneativo ben diverso dalla valutazione già effettuata, a livello di facoltà, per il conferimento dell'incarico. Inoltre, posto che il legislatore ha discrezionalmente e non irrazionalmente ritenuto di ammettere al giudizio altre categorie, all'indomani delle due tornate riservate é "impensabile un intervento manipolativo sulla normativa", atteso che lo stesso giudice a quo nell'ordinanza insiste sul "mantenimento dello status in precedenza posseduto e non sull'attribuzione di un nuovo status di professore associato".

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze in epigrafe pongono questioni connesse che vanno decise con unica sentenza.

2. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanze del 29 maggio 1985 (R.O. n. 131/1986), del 29 maggio 1985 (R.O. n. 333/1986), del 26 febbraio 1986 (R.O. n. 137/1987), del 16 aprile 1986 (R.O. n. 138/1987), del 5 novembre 1986 (R.O. n. 201/1987), e il Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria, con ordinanza del 30 ottobre 1986 (R.O. n. 258/1987) sottopongono a questa Corte le seguenti questioni di costituzionalità:

I) Se l'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nel prevedere la costituzione di più commissioni qualora il numero dei concorrenti al giudizio di idoneità per l'inquadramento nella fascia dei professori associati superi le ottanta unità:

a) contrasti con l'art. 76 della Costituzione, col discostarsi dal dettato dell'art. 5 della legge (di delega) 21 febbraio 1980, n. 28, ove (quarto comma) si rinvia, in materia di composizione delle commissioni per i giudizi idoneativi, al sistema stabilito per il concorso a regime (secondo comma);

b) contrasti con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, non assicurando la costituzione di più commissioni per un medesimo raggruppamento disciplinare né la par condicio dei partecipanti né il criterio di imparzialità cui deve ispirarsi l'azione della pubblica Amministrazione.

II) Se l'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705, contenente interpretazione autentica dell'art. 51 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, contrasti con gli artt. 24, 134, 136, 137 della Costituzione e con l'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, non dovendo essere consentito al legislatore ordinario di rimuovere con legge interpretativa un possibile vizio (per sospetta violazione dell'art. 76 Cost.) di norme delegate, specie quando della questione sia già stata investita la Corte costituzionale.

III) Se l'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, e gli artt. 50, 51, 52 e 53 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui prevedono che i professori universitari incaricati siano sottoposti, con le stesse modalità previste per categorie non titolari di corso di insegnamento, a giudizio di idoneità a professore associato, contrastino con i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di buon andamento dell'Amministrazione (art. 97 Cost.).

3. - Le questioni non sono fondate.

La legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica") nel secondo comma dell'art. 5 stabilisce i criteri della disciplina dell'accesso al ruolo dei professori associati e, tra l'altro, per quanto attiene al caso di specie, prevede che le commissioni di concorso, ordinariamente di cinque membri, "...possono essere formate da un numero superiore di commissari in rapporto al numero dei candidati".

Nel quarto comma dello stesso art. 5 il rinvio "secondo le modalità previste dal secondo comma" riguarda esclusivamente il procedimento elettorale per la formazione delle commissioni, non già giudicatrici dei concorsi, ma delle due tornate dei giudizi di idoneità. Queste commissioni sono composte da tre professori, mentre quelle da cinque o più commissari "in rapporto al numero dei candidati".

Il tenore letterale della disposizione sub a) del quarto comma: "il giudizio di idoneità é espresso, per ciascun raggruppamento di discipline, da apposite commissioni nazionali composte da tre professori ordinari o straordinari, eletti secondo le modalità previste dal secondo comma" non lascia alcun dubbio su come il legislatore delegante abbia voluto porre in maniera diversa il regime del concorso rispetto a quello dei giudizi di idoneità, quanto al problema del numero dei candidati. Nel primo, le commissioni di cinque membri possono accrescersi di un numero maggiore di commissari in rapporto al numero dei candidati; nel secondo, le commissioni, essendo determinate nel numero fisso di tre componenti, evidentemente debbono diventare plurime, per fronteggiare il numero dei candidati al giudizio di idoneità, entro ciascun raggruppamento di discipline.

Ne consegue che la normativa dell'art. 51 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica") risulta rispettosa del criterio enunciato nella legge di delegazione, quando al primo comma riproduce il disposto dell'art. 5, quarto comma, sub a) della legge n. 28 del 1980, che cioè i giudizi sono espressi, "per ciascun raggruppamento di discipline, da apposite commissioni nazionali composte da tre professori ordinari o straordinari".

Il successivo secondo comma impugnato del citato art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980 é una deduzione rigorosamente logica dal criterio, scelto dal legislatore delegante, della moltiplicazione delle commissioni di tre membri per ciascun raggruppamento disciplinare e non quello dell'unica commissione di cinque membri che si accresce di commissari in proporzione del numero dei candidati, riservato al concorso ordinario da indirsi successivamente alle due tornate di giudizi idoneativi.

4. - L'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705 ("Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica") recita: "L'articolo 51 deve essere interpretato nel senso che, ai fini dei giudizi di idoneità ivi previsti, é consentita la costituzione di più commissioni giudicatrici per lo stesso raggruppamento disciplinare, in tal senso intendendosi il principio della diversa composizione delle commissioni in relazione al numero dei partecipanti, contenuto nell'articolo 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28".

Appare di tutta evidenza che il legislatore-interprete non innova alcunché rispetto ai criteri enunciati nella legge di delegazione n. 28 e correttamente recepiti nel decreto delegato. Ne consegue che dinanzi ad un intervento interpretativo meramente tautologico e riproduttivo delle norme interpretate la verifica di costituzionalità in ordine ai parametri invocati resta assorbita dalla questione di costituzionalità della norma interpretata quando risulti - come qui risulta - infondata.

5. - La eventuale pluralità delle commissioni giudicatrici entro uno stesso raggruppamento disciplinare non viola né il principio di eguaglianza, né quello della imparzialità della pubblica Amministrazione, dal momento che il legislatore delegato ha inteso garantire la par condicio dei candidati dettando la norma di cui al secondo comma dell'art. 51: "Ove il numero dei concorrenti alla prova idoneativa per un determinato raggruppamento disciplinare superi le 80 unità, si provvederà alla costituzione di più commissioni. I concorrenti saranno distribuiti nelle commissioni in parti uguali, per sorteggio".

Il ricorso al sorteggio e all'assegnazione in parti uguali dei candidati tra le commissioni plurime, infatti, é modalità idonea a soddisfare entrambi i precetti di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Non può valere come tertium comparationis il criterio dell'unica commissione aumentata nel numero dei commissari in proporzione del numero dei candidati, criterio presente già nel contesto della legge di delegazione n. 28 del 1980, nel ricordato secondo comma dell'art. 5, nonché, oggetto di dettagliata disciplina, nell'art. 4 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077 ("Riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato").

L'unica commissione é infatti adottata nelle procedure concorsuali, la cui peculiare finalità é quella di coprire posti in numero limitato rispetto ai concorrenti, tra i quali devesi instaurare comparazione e graduazione, per operare la scelta dei migliori in numero corrispondente a quello dei posti disponibili.

I giudizi previsti nell'impugnato art. 51 del d.P.R. n. 382 del 1980, invece, non sono preordinati ad altro che alla ricognizione per ogni candidato dei titoli didattici e scientifici sufficienti per il conseguimento della idoneità all'ingresso nel ruolo dei professori associati.

É pertanto evidente che siffatti giudizi di idoneità non inverano una procedura concorsuale e che le modalità delle commissioni plurime per essi stabilite non é comparabile con quella della commissione unica integrabile e articolabile in sottocommissioni prevista per i concorsi ordinari.

Le discriminazioni che sarebbero state operate dalle commissioni plurime tra i candidati dello stesso raggruppamento, e di cui si dolgono gli esclusi, attengono a circostanze di fatto in sede applicativa - quali ad esempio il mancato coordinamento di criteri generali tra le varie commissioni - non riferibili con nesso di conseguenzialità alla norma impugnata. Tali disparità di mero fatto, dando luogo a pregiudizi e inconvenienti privi di rilievo costituzionale, sono materia propria dell'osservazione dei giudici di merito.

6. - Senza fondamento si rileva, infine, la censura sulla eterogeneità delle categorie ammesse ai giudizi di idoneità tra le quali quella dei professori incaricati avrebbe potuto e dovuto aver titolo "ad un diverso tipo di giudizio". L'eterogeneità di status tra a) professori incaricati, b) assistenti del ruolo ad esaurimento, c) tecnici laureati, astronomi e ricercatori degli osservatori astronomici e Vesuviano, curatori di orti botanici, conservatori di musei, cede alla reductio ad unum operata dalla documentata attività didattica e produzione scientifica nei diversi status realizzate. Nelle Università e nelle Istituzioni culturali, se esistono doveri specifici di insegnamento e di ricerca per talune figure, non sono di fatto impedite e tanto meno formalmente vietate attività didattiche e scientifiche per tutte le altre.

É pertanto rispettoso della razionalità impostagli dal principio costituzionale di eguaglianza il legislatore che, per verificare l'idoneità all'accesso al nuovo ruolo dei professori associati, richieda a tutti i candidati, a qualunque categoria appartengano, attraverso uno stesso tipo di valutazione, il medesimo contenuto sostanziale di competenza professionale richiesta dalle funzioni da espletare, sulla base della pregressa esperienza didattica e di pubblicazione dei propri studi.

Tale rispetto sarebbe anzi mancato, se, al contrario, il legislatore avesse predisposto tante e diverse modalità di giudizio quante sono le categorie dei legittimati all'accesso al nuovo ruolo dei professori associati; perché avrebbe realizzato nella diseguaglianza dei titoli di legittimazione, riverberata nella corrispondente diversità delle prove di idoneità, una arbitraria eguaglianza nello status conclusivo di professore associato.

Per i professori incaricati stabilizzati o completanti il triennio di incarico al termine dell'anno accademico 1979-80, predisporre una prova diversa e ad essi specifica avrebbe violato il precetto di eguaglianza così come si é specificato nella razionalità della scelta legislativa innanzi descritta. Farli transitare senza controllo di idoneità attuale, sulla base di titoli-prove, pubblicazioni, abilitazioni - risalenti spesso a data remota - nel nuovo ruolo dei professori associati avrebbe certamente violato il principio di buona organizzazione e buon andamento della pubblica Amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione.

La ipotesi di conservazione dello status di professore incaricato stabilizzato in analogia con quella dell'assistente ordinario, da indirizzarsi peraltro alla discrezionalità legislativa, non al giudice della legittimità costituzionale, é devalorizzata dalle seguenti considerazioni. L'art. 4 del decreto-legge 1( ottobre 1973, n. 580 ("Misure urgenti per l'Università"), convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n. 766, introduceva la stabilizzazione dell'incarico - precedentemente rinnovabile ad ogni anno accademico - "fino all'entrata in vigore della legge di riforma universitaria".

La stabilizzazione dunque non ha trasferito la figura precaria del professore incaricato in una posizione analoga ad un ruolo ordinario come quello degli assistenti. Per costoro la conservazione ad esaurimento trova giustificazione nella incardinazione, quesita e non amovibile, in un ruolo non temporaneo. Per i professori incaricati, invece, la scelta legislativa della loro stabilizzazione ad tempus, fino alla riforma universitaria, postula la totale sostituzione della relativa figura con quella nuova del professore associato, nel contesto appunto del riordino generale del personale universitario.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), sollevata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, tenuto conto dell'art. 5, comma quarto, lett. a), e comma secondo, della legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica"), e in relazione agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanze del 29 maggio 1985 (R.O. n. 131/1986 e n. 333/1986) e del 26 febbraio 1986 (R.O. n. 137/1987), nonché dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria con ordinanza del 30 ottobre 1986 (R.O. n. 258/1/987); in relazione anche all'art. 24 della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del 26 febbraio 1986 (R.O. n. 137/1986), del 16 aprile 1986 (R.O. n. 138/1987) e del 5 novembre 1986 (R.O. n. 201/1987);

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 9 dicembre 1985, n. 705 ("Interpretazione, modificazioni ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della Costituzione e dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del 26 febbraio 1986 (R.O. n. 137/1987), del 16 aprile 1986 (R.O. n. 138/1987), del 5 novembre 1986 (R.O. n. 201/1987);

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28 ("Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica"), sollevata, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria con ordinanza del 30 ottobre 1986 (R.O. n. 258/1987).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il redattore: CASAVOLA

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI