SENTENZA N. 48
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 3, n. 4, 6 e 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154 ("norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale"), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 27 maggio 1983 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Protano Michele c/ Tavaglione Rocco, iscritta al n. 947 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 dell'anno 1984;
2) ordinanza emessa il 19 aprile 1985 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Chicco Carlo e il Comune di Carmagnola ed altro, iscritta al n. 449 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 291-bis dell'anno 1985;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;
Udito l'Avvocato dello Stato Paolo Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto1. - Nel giudizio promosso da Michele Protano per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Bari che aveva respinto il gravame avverso la decisione con la quale il Tribunale di Lucera - adito da alcuni elettori del Comune di Peschici - aveva dichiarato la decadenza del ricorrente dalla carica di consigliere comunale per essersi il Comune costituito parte civile nel procedimento penale a carico dello stesso Protano per interesse privato in atti d'ufficio, la Corte di cassazione, con ordinanza in data 27 maggio 1983, ha sollevato, su eccezione di parte, questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154, nella parte in cui non dettano una disciplina che renda possibile rimuovere le cause di incompatibilità nei casi in cui - come quello di specie - la rimozione dipenda non soltanto dalla volontà dell'eletto, ma anche da determinazioni di terzi.
Premesso che la riforma del contenzioso elettorale adottata con la citata l. n. 154 del 1981 si caratterizza soprattutto per aver offerto al candidato la possibilità di rimuovere le cause impeditive, il giudice a quo rileva che nei casi in cui la dismissione (per rinunzia o transazione) della lite pendente non deriva esclusivamente dalla volontà della parte interessata alla rimozione della causa di incompatibilità, non esiste un "meccanismo procedimentale che consente l'incontro della volontà dell'attore e del convenuto o che quanto meno valga per la formale evidenziazione delle condizioni di disponibilità delle parti alla eliminazione della lite medesima". Da qui la violazione: degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto l'attuale sistema, rimettendo alla discrezionalità del Comune la rinunzia alla sua costituzione di parte civile rende praticamente irremovibile (per l'altra parte) la rimozione della causa d'incompatibilità in esame (al contrario di tutte le altre, tanto che il giudizio penale "in quanto non rinunziabile dalla parte, non é stato previsto come "lite pendente" incompatibile con l'elezione"); e dell'art. 24 Cost. per l'omesso apprestamento di un meccanismo che consenta la tutela giurisdizionale del proprio diritto elettorale passivo a chi si trovi nella situazione del ricorrente nel giudizio a quo.
2. - Le stesse disposizioni e l'art. 3, n. 4, della legge n. 154 del 1981 sono state denunziate, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e sotto identici profili, con ordinanza emessa il 19 aprile 1985 dal Tribunale di Torino, adito da Carlo Chicco che, eletto consigliere comunale di Carmagnola, aveva proposto ricorso avverso la delibera consiliare che lo aveva dichiarato decaduto per incompatibilità determinata dalla pendenza di una lite con il Comune.
3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nei giudizi tramite l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che entrambe le questioni vengano dichiarate infondate sul rilievo che, mentre la causa di incompatibilità in esame é sicuramente legittima attesa la funzione di limite che i principi di legalità, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione debbono svolgere rispetto alla regola della generalità del diritto elettorale passivo, non é neppure concepibile un intervento legislativo che "imponga" all'altra parte - regione, provincia o comune - l'abbandono o la definizione transattiva della lite, senza con ciò violare gli artt. 24 e 128 Cost. D'altro canto, analoga situazione si verifica nella ipotesi di cui all'art. 2, n.4, della stessa legge, dove all'eletto incombe l'onere di adoperarsi per ottenere dalle autorità ecclesiastiche un provvedimento che rimuova la causa di ineleggibilità-incompatibilità, cui, peraltro, le stesse autorità non potrebbero sicuramente essere costrette dal legislatore. Conclusivamente - si afferma in atti d'intervento - alla specie si attagliano le considerazioni svolte in altra occasione dalla stessa Corte costituzionale che, con sentenza n. 38 del 1971, affermò l'irrilevanza della maggiore o minore difficoltà, o addirittura dell'impossibilità, di rimuovere in tempo utile determinate cause di ineleggibilità o di incompatibilità "una volta accertato che queste non sono, di per sé, in contrasto con le norme degli artt. 3 e 51 Cost.".
Considerato in diritto1. - La legge 23 aprile 1981, n.154 (norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale), dopo avere disposto che "non può ricoprire la carica di consigliere... comunale... colui che ha lite pendente, in quanto parte in un procedimento civile od amministrativo con... il Comune" (art. 3, n. 4), facendone derivare la decadenza dalla carica, prevede la rimozione dell'incompatibilità, da parte dello stesso eletto, mediante la cessazione dalle funzioni (art. 6). In vista, poi, dell'ipotesi in cui l'incompatibilità si verifichi successivamente all'elezione, la stessa legge stabilisce un apposito procedimento, inteso a consentire all'interessato di rimuovere l'incompatibilità, previa contestazione da parte del Consiglio,il quale, solo ove l'incompatibilità non sia rimossa nel termine prescritto, dichiara la decadenza con deliberazione impugnabile mediante azione popolare dinanzi al Tribunale competente per territorio (art. 7).
2. - Sulla base della considerazione che la disciplina introdotta dalla summenzionata legge mira a favorire l'elettorato passivo, non solo riducendo le cause di ineleggibilità e trasformando alcune di esse in cause di incompatibilità, ma anche dando modo all'interessato di rimuovere l'incompatibilità, la Corte di cassazione, prima, ed il Tribunale di Torino, poi, con ordinanze emesse, rispettivamente, il 27 maggio 1983 (r.o. 947/1983) ed il 19 aprile 1985 (r.o. 449/1985), hanno denunciato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 51 Cost., l'illegittimità costituzionale dei precitati artt. 6 e 7 (ma il Tribunale di Torino anche dell'art. 3, n. 4) della legge n. 154 del 1981. In particolare, entrambi i giudici a quibus lamentano che, pur se "la rimuovibilità della causa di incompatibilità o ineleggibilità (sia) il principio cardine della nuova legge n. 154 del 1981, la quale solo in tal modo si armonizza con l'art. 51 della Costituzione", tale principio non trova effettiva applicazione nel caso di lite pendente, in cui la rimozione dell'incompatibilità non dipende esclusivamente dalla volontà dell'interessato, "bensì anche e soprattutto dalla volontà della controparte".
Ed invero, nella fattispecie approdata dinanzi alla Corte di cassazione su ricorso dell'interessato avverso la sentenza della Corte d'appello di Bari del 19 luglio 1982 (che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Lucera, dichiarativa della decadenza), la lite pendente nasceva dal fatto che il Comune di Peschici si era costituito parte civile nel procedimento penale per interesse privato in atti di ufficio a carico di tal Protano Michele, il quale nel precedente anno 1981 era stato eletto consigliere di quel Comune. Sostanzialmente analoga risulta l'altra fattispecie: il giudizio dinanzi al Tribunale di Torino é stato promosso dallo stesso interessato - tal Chicco Carlo - che, eletto nel giugno 1980 consigliere del Comune di Carmagnola, nel 1981 (successivamente, quindi, alla sua elezione) veniva convenuto in giudizio dal Comune di Carmagnola (per il pagamento del corrispettivo per la raccolta di fieno sui fondi di proprietà comunale) e dichiarato decaduto con deliberazione consiliare del 9 gennaio 1985, cioè nell'imminenza delle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale fissate per il 12 maggio dello stesso anno.
3. - La Corte di cassazione, premesso il duplice quesito se il procedimento amministrativo introdotto dalla nuova disciplina debba concepirsi "come unica via attualmente percorribile o come condizione di procedibilità al giudizio ordinario per azione popolare", e se l'invito a rimuovere l'incompatibilità, prescritto dall'art. 7, debba indicare anche le condizioni alle quali il Comune é disposto a ritirare la costituzione di parte civile, rileva che solo il giudice "fornito anche di poteri incidenti sulla stessa volontà normativa" può dare un'interpretazione tale, da conciliare il diritto dell'elettore a provocare il controllo dell'autorità giudiziaria, "anche nell'ipotesi di inerzia degli organi amministrativi", con il diritto dell'eletto a rimuovere in concreto le cause di incompatibilità. A sua volta, il Tribunale di Torino, che ribadisce il su riportato rilievo della Corte di cassazione, dopo avere affermato che la "lite non si presenta ictu oculi manifestamente artificiosa od infondata", né "ha le caratteristiche della vessatorietà", osserva che in definitiva, essendo lasciate "alla discrezionale ed insindacabile volontà del Comune la rinuncia agli atti del giudizio o l'accettazione delle condizioni offerte dal convenuto per una transazione", la controparte può impedire concretamente la rimozione, rendendo "sostanzialmente ed assolutamente irremovibile una sola delle tante cause di incompatibilità previste dalla legge elettorale". Secondo i giudici a quibus, insomma, l'irremovibilità che in concreto si verifica a riguardo della incompatibilità per lite pendente contrasterebbe con alcuni principi costituzionali: con l'art. 51 (perché impedirebbe l'accesso ad una carica elettiva in condizioni di eguaglianza); con l'art. 3 (perché, mentre tutti gli altri casi di incompatibilità sono rimovibili, nell'ipotesi di lite pendente può sorgere discriminazione fra gli eletti, secondo che il Comune si costituisca, oppure no, parte civile); con l'art. 24 (perché la legge sul contenzioso elettorale non offre all'eletto la possibilità di difendersi adeguatamente in sede giurisdizionale). Da ciò, la concorde impugnazione dei menzionati articoli della legge n. 154 del 1981.
4. - La questione deve essere dichiarata inammissibile.
Entrambe le ordinanze, a conclusione delle loro argomentate censure, denunciano gli artt. 6 e 7 della legge n. 154 del 1981 "nelle parti" - così si esprime la Corte di cassazione - "che non prevedono le concrete modalità di rimozione di cause di incompatibilità elettorale, ove tale rimozione non dipenda unicamente dalla volontà dell'eletto, ma anche da determinazioni di terzi" e "nella parte" - come afferma il Tribunale di Torino - "in cui non disciplinano gli strumenti concreti ed efficaci a disposizione di un Consigliere eletto nel Consiglio comunale per rimuovere la causa di decadenza dalla carica per lite pendente con il Comune". Ma così formulando i dispositivi, i giudici rimettenti sollevano una questione, la quale in sostanza si risolve nella richiesta di dettare una norma che preveda le concrete modalità o strumenti, attraverso cui l'interessato possa autonomamente rimuovere l'incompatibilità per lite pendente. L'Avvocatura dello Stato obietta al riguardo che, non potendosi imporre alla Regione, alla Provincia, al Comune, i quali agiscono a tutela di interessi della collettività, una definizione transattiva o un abbandono della lite, senza violare gli artt. 24 e 128 Cost., "un intervento legislativo in questo senso porrebbe, a sua volta, seri dubbi di legittimità costituzionale" Indipendentemente, tuttavia, da tale considerazione, la suddetta richiesta di meglio e diversamente disciplinare l'impugnata fattispecie normativa non é proponibile al giudice delle leggi, implicando comunque scelte normative riservate al discrezionale apprezzamento del legislatore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, n. 4, 6 e 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 febbraio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: FERRARI
Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE