SENTENZA N. 283
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato l'11 aprile 1986, depositato in Cancelleria il 16 successivo ed iscritto al n. 19 del Registro 1986 per conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato sorto a seguito dei provvedimenti del Pretore di Pistoia 12 novembre 1984 e 6 dicembre 1984, concernenti l'autorizzazione all'abbattimento di alberi di alto fusto nella zona dell'Abetone soggetta a vincolo idrogeologico e paesaggistico;
udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo;
udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso depositato il 2 maggio 1985, il Presidente del Consiglio dei Ministri elevava conflitto di attribuzione nei confronti del potere giudiziario, in relazione ai provvedimenti emessi dal pretore di Pistoia in data 12 novembre e 6 dicembre 1984.
Premetteva il ricorrente in narrativa che quel pretore (adito ex art. 700 c.p.c. dai signori Zeno Colò e Giancarlo Ciacci) con decreto 12 novembre 1984 "inaudita altera parte", ritenuto fondato il pericolo per la incolumità degli sciatori derivante dalla mancanza di una pista di raccordo, e considerati per converso infondati i motivi di ordine forestale ed idrogeologico che avevano determinato il diniego di autorizzazione da parte dell'amministrazione provinciale, aveva autorizzato i ricorrenti all'esecuzione di un raccordo sciabile nella zona dell'Abetone, dettando prescrizioni in ordine alle modalità e ai tempi dei tagli boschivi, da effettuarsi sotto la vigilanza di un funzionario del locale dipartimento forestale, designato dal Pretore medesimo.
Il raccordo doveva attuare un collegamento fra le piste sciabili della Val Sestajone e quella della Val di Luce, evitando gravi pericoli a coloro che si avventuravano in discese fuori pista, sia attraversando in quota dal Colle delle Tre Potenze, sia discendendo dal Colle della Fariola.
Il Pretore fissava contestualmente l'udienza dell'11 gennaio 1985 per la comparizione delle parti davanti a sé. L'udienza era stata poi anticipata al 5 dicembre 1984 ed in tale sede il Pretore aveva confermato il provvedimento assunto, rigettando nel contempo una istanza della Provincia di Pistoia diretta ad ottenere, in via di tutela d'urgenza, una misura atta a neutralizzare quella concessa ai sigg. Colò e Ciacci.
In forza dell'ordine pretorile il taglio boschivo era stato eseguito.
2. - Riteneva il ricorrente che nella specie, sotto le vesti di un atto giurisdizionale, era stato adottato un provvedimento che, per le finalità perseguite e gli effetti prodotti, ha natura amministrativa. Si osservava infatti, in primo luogo, che il giudice aveva esercitato il potere, prescindendo dal riconoscere nell'oggetto della pronuncia la tutela di un diritto o di un interesse legittimo, mirando invece, come emergerebbe dallo stesso decreto, alla tutela dell'interesse pubblico (tanto da qualificare il proprio atto come un "provvedimento a salvaguardia esclusiva della pubblica incolumità"). Aggiungeva poi che il giudice aveva assunto il ricorso dei sigg. Colò e Ciacci non come la introduzione in sede cautelare di una domanda di parte volta ad ottenere tutela di situazioni soggettive, bensì come una denuncia cui é abilitato qualunque cittadino, esponente una situazione di carente protezione di un interesse generale.
3. - Venendo alla qualificazione del provvedimento impugnato (e quindi alla dimostrazione della sua invasività di prerogative che appartengono alla sfera di attribuzione di organi dello Stato), il ricorrente osservava che esso, ancorché contenga apprezzamenti (ovviamente inammissibili) circa la inettitudine del progettato taglio boschivo a provocare un danno idrogeologico e forestale, non risulta direttamente orientato a prevaricare la competenza amministrativa in questo settore quanto piuttosto ad affermare, sempre in chiave di interessi generali e non di posizioni giuridiche soggettive, la necessità che prevalga comunque, nella imminenza di un pericolo non altrimenti scongiurabile, la predisposizione delle misure idonee a salvaguardare la sicurezza pubblica e l'incolumità delle persone.
Questo principio di prevalenza, che accorda valore assoluto a detto interesse fondamentale della comunità sociale é sicuramente presente nell'ordinamento, costituendo esso il supporto di quella ben nota categoria di provvedimenti amministrativi detti ordinanze di necessità.
Tali misure rientrano nella sfera di attribuzioni dello Stato; esse, infatti, anche quando vengono adottate in sede locale e per esigenze locali, sono di competenza di organi (come il Sindaco) che agiscono nella veste di ufficiale di Governo.
4. - Ma anche a volere ammettere che la misura pretorile abbia immediatamente invaso la competenza alla conservazione del pregio paesistico del territorio (l. 23 giugno 1939, n. 1497) il ricorrente osserva che, nonostante la delega del settore alle regioni a statuto ordinario (art. 82 d.P.R. 616/1977), resta pur sempre l'interesse e la legittimazione dello Stato a sollevare conflitto.
Infatti, in capo ad esso permangono poteri di intervento stabiliti in via generale (potere sostitutivo di cui all'art.4 d.P.R. 616/1977 in caso di inerzia della regione delegata) o con specifico riguardo alla singola materia delegata (il citato art. 82 conserva al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali potestà concorrenti con quelle regionali per garantire la protezione delle bellezze naturali: secondo comma lett. a), terzo e quarto comma).
In definitiva, il rapporto di delega spossesserebbe o limiterebbe lo Stato dei poteri inerenti alle materie delegate solo nei riguardi della regione destinataria della delega e non nei confronti di altri soggetti costituzionali; e sarebbe altresì interesse dello Stato a che le attribuzioni delegate - sulle cui modalità di gestione egli conserva facoltà di intervento - non vengano esercitate da poteri estranei, come il giudiziario, nei cui confronti quelle facoltà non sarebbero attivabili.
5. - Il ricorso, discusso nella Camera di Consiglio del 22 gennaio 1986, veniva dichiarato ammissibile con ordinanza n. 51 del 1986, che veniva debitamente notificata. Dopodiché si disponeva la trattazione del conflitto per l'udienza odierna.
Considerato in diritto
1. - É opportuno innanzitutto analizzare il contenuto dei provvedimenti impugnati, al fine di stabilirne l'esatta natura, e soprattutto le finalità cui sono ispirati. Soltanto attraverso questo esame, infatti, sarà possibile conoscere se la doglianza del ricorrente sia fondata, visto che il conflitto é sollevato in relazione alla denunziata invasività sostanziale dei provvedimenti, al di là del loro aspetto formale.
In effetti secondo il Governo, gli atti impugnati solo formalmente si presentano nella veste di provvedimenti d'urgenza assunti ex art. 700 cod. proc. civ.: nella sostanza, essi costituiscono, invece, vere e proprie "ordinanze necessitate extra ordinem", come tali invasive di un potere che spetta esclusivamente a determinate Autorità amministrative nelle loro funzioni di governo (Governo, taluni Ministri, Prefetto, Sindaco, Commissario di Governo).
Ebbene, effettivamente non sembra alla Corte - per le ragioni che verranno subito lumeggiate - che i provvedimenti in esame possano ricondursi alle attribuzioni dell'Autorità giudiziaria e che in particolare concretino un provvedimento d'urgenza, così come contemplato nell'art. 700 c.p.c.. Un provvedimento, cioé, che - giusta il dato testuale - risulti il più idoneo, in relazione alle circostanze, ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito quando, durante il tempo per far valere un diritto in via ordinaria, sussista fondato motivo per temere che questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile.
Già lo stesso tenore del ricorso introdotto dai privati é ispirato da ben diversa finalità. I ricorrenti, infatti, danno atto che la Provincia aveva negato (peraltro non a loro ma all'Ente Comunità montana) l'autorizzazione a costruire un raccordo sciistico fra le due piste, per ragioni attinenti al paesaggio e alla situazione idreogeologica della zona. Soggiungono, però, esplicitamente che ad essi non interessa l'aspetto amministrativo della vicenda, di cui verrà investito il competente T.A.R.: e ciò in quanto l'interesse che muove le parti a ricorrere al magistrato ordinario é "di altra natura e persegue uno scopo diverso". E difatti tutta la residua motivazione del ricorso é diretta a dimostrare che quella diversa natura dell'interesse, così come lo scopo che le parti intendono perseguire, sono incentrati su "motivi di sicurezza pubblica", poscia precisati nell'interesse alla "pubblica incolumità".
In buona sostanza, il prospettato pregiudizio imminente e irreparabile non riguardava i ricorrenti ma la pubblica incolumità degli sciatori, e sarebbe rappresentato dalla temerarietà o dall'incoscienza di qualche sconsiderato che si "avventura" (così testualmente nel ricorso) in zone innevate dove non esiste tracciato sciabile per portarsi dall'una all'altra delle due piste. Poiché si sarebbe verificato qualche incidente a danno di questi imprudenti, si chiedeva al Pretore di disporre egli stesso la costituzione di quel raccordo che la Provincia aveva negato.
2. - E il Pretore, infatti, si pone senza esitazioni sul piano concettuale indicato dai ricorrenti. Singolarmente, anzi, dà atto a sua volta, nelle premesse del provvedimento autorizzativo 12 novembre 1984, che non si tratta in realtà di pericolo oggettivo imminente e irreparabile ma soltanto di un pericolo eventuale che taluni sconsiderati provocano "motu proprio" (sic), "avventurandosi nella discesa fuori pista "fra le due valli. Riconosce, anzi, il Pretore che la "possibilità" d'incorrere in pericoli più o meno gravi dipende "dall'assoluta ignoranza" della montagna da parte degli avventurosi.
Nel provvedimento di conferma del 6 dicembre successivo, polemizzando con le doglianze della Provincia che chiedeva la revoca dell'atto precedente, il Pretore afferma di non essersi ingerito nell'attività della pubblica amministrazione perché al magistrato "era stato soltanto chiesto, e conseguentemente emesso, un provvedimento a salvaguardia esclusiva della pubblica incolumità".
E, affinché non restino dubbi, il Pretore dedica tutta la residua lunga motivazione a spiegare che "lo Stato ha il dovere di proteggere la collettività da ogni aggressione che la danneggi o la esponga al pericolo", perché si tratta di un interesse che "trascendendo i singoli colpiti" riguarda il pregiudizio o la minaccia "alla sicurezza della convivenza sociale" e quindi l'offesa al "bene giuridico indisponibile della pubblica incolumità": e poiché si tratta di un bene pubblico "tutti possono adire il giudice civile" per eliminare pericoli che lo minacciano.
Ritiene, anzi, a questo proposito, il Pretore che i ricorrenti, oltre ad essere portatori uti singuli dell'interesse generale alla pubblica incolumità, abbiano anche un individuale e particolare interesse ad agire per adempiere "al dovere di tutelare la pubblica incolumità": e ciò a causa delle loro rispettive qualità di Presidente della Commissione Comunale Piste, Zeno Colò, e di Presidente del Consorzio impianti di risalita, Giancarlo Ciacci.
Solo nelle ultime righe osserva il Pretore di sfuggita, e incidenter tantum, che una siffatta situazione di "continui attentati alla pubblica incolumità potrebbe anche di riflesso comportare" danno agli enti che i ricorrenti rappresentano: danno di natura economica perché gli sciatori potrebbero essere scoraggiati dal frequentare quelle piste a causa dell'accennata insicurezza.
3. - Che quest'ultimo rilievo non modifichi la sostanziale natura e l'autentico scopo dei provvedimenti assunti, lo attesta lo stesso pretore quando definisce questo aspetto "di secondaria importanza" a fronte della reale finalità che ricorrenti e magistrato intendevano perseguire.
É, dunque, evidente che il pretore ha inteso effettivamente tutelare la pubblica incolumità: tutela sollecitata da privati che, come tali, la hanno invocata. Non deve trarre in inganno, infatti, la qualità nel Colò di Presidente della Commissione Comunale Piste: la quale é effettivamente una delle Commissioni speciali dell'Amministrazione comunale dell'Abetone. Ma il Colò non era legittimato a stare in giudizio in qualità di Presidente, sia perché semmai la legittimazione competeva al Sindaco quale rappresentante dell'Amministrazione, sia perché comunque il Consiglio Comunale non aveva mai autorizzato alcuno a stare in giudizio per la vertenza in esame. Ed é appena il caso di rilevare che l'altro ricorrente é il Presidente di un Consorzio di imprenditori commerciali che perseguono fini di lucro mediante gli impianti di risalita.
Non compete a questa Corte l'apprezzamento sui non pochi vizi della procedura e dei provvedimenti pretorili in esame: tuttavia, ai soli fini di trarre dall'analisi condotta attendibili conclusioni circa la natura sostanziale dei due provvedimenti, non sembra fuor di luogo prendere atto di quanto esulino da essi i caratteri, la funzione e le stesse condizioni per la concessione di provvedimenti di natura giurisdizionale e quindi di quello previsto nell'art. 700 c.p.c..
A tale proposito sembra significativo che il pretore nemmeno si sia posto il problema dell'ammissibilità della procedura richiesta rispetto ad una situazione giuridica - in ipotesi - tutelabile davanti al giudice amministrativo: e ciò, nonostante non potesse ignorare la costante giurisprudenza negativa della Corte di Cassazione. E non se l'é posto proprio perché distratto da una finalità esclusiva, (l'anticipata cautelare tutela della pubblica incolumità), trascendente il diritto soggettivo che i due privati avrebbero dovuto far valere, e che il pretore in effetti - come s'é visto - trascura.
Né, infine, il diritto soggettivo dei privati (interesse economico ad un sicuro e tranquillo esercizio delle piste e degli impianti di risalita) era in realtà minacciato da un pericolo imminente e irreparabile. Le piste, in effetti, erano e sono assolutamente sicure da frane, smottamenti, valanghe o altri pericoli, come peraltro nessuno nega; e altrettanto dicasi per gl'impianti di risalita.
In realtà, il pericolo che ricorso e provvedimenti prospettano é dipendente da comportamenti temerari di sciatori che, senza alcuna conoscenza della zona e con scarsa esperienza sciistica, si azzardino ad avventurarsi fuori pista per luoghi impervi. Ma a questa situazione, a ben guardare, non potrebbe ovviare alcun provvedimento, che mai riuscirebbe ad evitare le innumerevoli imprudenze di ogni specie ipotizzabili da parte degli sconsiderati. Nemmeno i cartelli di pericolo, che la Provincia al più prospettava come possibile ipotesi di intervento, rappresenterebbero un effettivo rimedio, dato che risponde a criteri minimi di comune buon senso il rendersi conto che l'avventurarsi fuori del tracciato delle piste offre difficoltà e pericoli agli inesperti.
Ed, infatti, nessuno prende in considerazione l'opportunità di collocare cartelli di pericolo ai piedi delle rocce o dei ghiacciai dove si cimentano gli scalatori, o sulle spiagge dove sostano i bagnanti, benché pericolosa sia la scalata a chi vi si accinga inesperto e senza guida e insidioso sia il mare a chi si avventura al largo, a nuoto o in barca, senza sufficienti nozioni.
Anche così come prospettato dal pretore, il diritto soggettivo dei privati ricorrenti non subiva, perciò, alcuna minaccia, perché nessuno avrebbe potuto sensatamente giudicare insicure le piste di quella zona, solo perché qualche temerario andava volontariamente a cercarsi il pericolo fuori del tracciato. Se così fosse, infatti, nessuna pista sarebbe sicura, in quanto non esistono piste che proteggano con reti o con altri ostacoli l'intero percorso del tracciato.
4. - La disamina fin qui svolta sui provvedimenti pretorili consente di concludere che si tratta di pronunzie il cui dichiarato presupposto é costituito da uno stato di pericolo per la pubblica incolumità denunziabile da qualunque soggetto, il cui contenuto ha carattere costitutivo e la cui efficacia é prevalente su ogni situazione giuridica soggettiva e su ogni altro provvedimento autorizzativo, prescindendo dall'ordine delle competenze. Esse, dunque, si conformano al modello delle ordinanze di necessità, ripetendone le tipiche connotazioni previste dagli artt. 2 r.d. 18 giugno 1931 n. 733; 19, 20, 55 testo unico l.c. e p.; 7 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E.
Così accertata la natura sostanziale dei provvedimenti in questione, e venendo al merito del conflitto, osserva la Corte che il giudice é sempre vincolato, nel formulare il contenuto del suo provvedimento, al rispetto dei limiti generali dell'art. 4 l. 2248/1865 All. E.
In altri termini, non spetta all'attività del giudice il provvedere ad esigenze generali della società, né ad amministrare la sicurezza pubblica e la pubblica incolumità. Va, anzi, ricordato che appartiene anche ad una nozione tradizionale di pubblica amministrazione il provvedere alla conservazione dell'ordine pubblico e della sanità.
Ciò non esclude ovviamente che, invocato a jusdicere, vale a dire ad affermare l'ordine giuridico in relazione ad un caso concreto e nei confronti di un determinato soggetto, il giudice non possa assumere, soprattutto in via di urgenza, provvedimenti che possono anche incidere su di una cerchia più vasta di interessi: ma a condizione che non vi sia altra possibilità di dare protezione all'interesse dedotto nel caso concreto.
Il fenomeno é particolarmente rilevabile nel campo della giustizia penale, dove il pretore, ove proceda ad attività preliminari di polizia giudiziaria (perciò dirigendone le funzioni stesse), deve impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (artt. 219, 220 e 231 cod. proc. pen.). In tal caso, e specie in situazioni di urgenza, ben può assumere provvedimenti che, al fine predetto, incidono nel campo dei poteri riservati alla pubblica amministrazione.
Si tratta sicuramente di provvedimenti assunti - per usare l'espressione del Pretore di cui si parla - "esclusivamente a tutela della salute pubblica", ma nell'ambito di un dovere e di un potere istituzionale specificamente contemplato dalla legge penale (impedire le ulteriori conseguenze dei reati).
Fuori di queste ipotesi, la giurisdizione ordinaria può svolgere esclusivamente una funzione di controllo nel campo e sulla attività della pubblica amministrazione a fronte di provvedimenti di quell'Autorità che risultino lesivi di diritti soggettivi di un ben determinato soggetto, o di interessi penalmente tutelati nei sensi già detti: ma non può sostituirsi all'Autorità stessa disponendo in positivo (e facendo forzosamente eseguire) ciò che la pubblica amministrazione non ha ritenuto di disporre nel suo apprezzamento discrezionale. Peraltro, i provvedimenti di urgenza del pretore nei confronti della pubblica amministrazione sono ritenuti ammissibili - ricorrendone le condizioni di legge - allorquando la pubblica amministrazione agisca come soggetto privato, o in base ad atti che esorbitino dai limiti temporali o materiali del potere amministrativo in concreto esercitato, o quando la pubblica amministrazione abbia agito sine titulo.
D'altra parte, le eccezioni sopra accennate sono conseguenza della innegabile realtà degli ordinamenti degli Stati democratici contemporanei che non hanno mai attuato in modo letterale e meccanico il principio illuministico della divisione dei poteri. Ne deriva che ciascuno dei poteri non esercita in modo esclusivo e rigoroso l'attività da cui prende il nome, ma partecipa - in via eccezionale - a qualche manifestazione delle funzioni degli altri: il che, del resto, corrisponde anche a quel principio di equilibrio e di reciproco controllo fra i poteri che contraddistingue la nostra Costituzione.
Del resto, questa Corte, in ipotesi analoga ma molto meno grave, aveva già ammonito che "l'art. 113 ultimo comma Cost., rinviando alla legge la determinazione degli organi giudiziari abilitati ad annullare gli atti della pubblica amministrazione,... a più forte ragione comporta che tali autorità non possano contrapporsi o sovrapporsi alle autorità amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati,... sostituendosi agli organi competenti... ed addirittura prescrivendo gli atti specifici che debbono essere adottati" (cfr. sent. n. 150/1981 e n. 70/1985).
E poiché il pretore di Pistoia ha ritenuto di potersi sostituire, con i suoi provvedimenti, in via positiva ed esecutiva, alla pubblica amministrazione, nell'esclusiva finalità - come egli ha scritto e come risulta dal contesto - di ovviare ad un supposto pericolo generale alla pubblica incolumità, ne consegue l'annullamento dei provvedimenti stessi perché invasivi di poteri spettanti alla pubblica amministrazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta all'Autorità giudiziaria autorizzare la realizzazione di una pista da sci ai fini dell'interesse generale alla pubblica incolumità, là dove il provvedimento autorizzatorio richiesto per il compimento dei relativi lavori rientra nelle attribuzioni della pubblica amministrazione.
Annulla di conseguenza i provvedimenti del pretore di Pistoia indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1986.
Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1986.