SENTENZA N. 248
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8, 11, 13, 14 e 18 legge 29 aprile 1949 n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), modificata dalla legge 10 febbraio 1961 n. 5 (Abrogazione della legislazione sulle migrazioni interne e contro l'urbanesimo nonché disposizioni per agevolare la mobilità territoriale dei lavoratori); 33 e 34 legge 20 maggio 1970 n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 22 marzo 1979 dal Pretore di Monza nel procedimento penale a carico di Bertuzzi Alberto, iscritta al n. 471 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 230 del 1979;
2) ordinanza emessa il 18 maggio 1979 dal Pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Cerofolini Fulvio ed altro, iscritta al n. 540 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 dell'anno 1979;
3) ordinanza emessa il 18 maggio 1979 dal Pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Magnani Rinaldo ed altro, iscritta al n. 541 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 dell'anno 1979;
4) ordinanza emessa il 30 giugno 1981 dal Pretore di Vigevano nel procedimento penale a carico di Palladini Guido, iscritta al n. 639 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 dell'anno 1982;
visto l'atto di costituzione di Bertuzzi Alberto nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore Francesco Greco;
udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Pretore di Monza, nel corso di un procedimento penale a carico di Bertuzzi Alberto, imputato di violazione delle norme sul collocamento, per avere assunto due operai ed un apprendista senza il tramite dell'ufficio di collocamento, con ordinanza del 22 marzo 1979 (R.O. n. 471/79), sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, comma primo, della legge 29 aprile 1949 n. 264 e 33 della legge 20 maggio 1970 n. 300 in relazione agli artt. 3 e 4 Cost..
Affermata, senza ulteriori spiegazioni, la rilevanza della questione ai fini del decidere, in punto di non manifesta infondatezza ha rilevato, anzitutto, che l'attuale sistema normativo del collocamento prevede la necessità che i lavoratori in attesa di occupazione siano iscritti in apposite liste ed avviati al lavoro ad opera del competente ufficio, a seguito di richiesta del datore di lavoro numerica per categoria; che la possibilità di richiesta nominativa é consentita solo per l'assunzione di lavoratori di concetto o altamente specializzati o appartenenti al nucleo familiare del datore di lavoro.
Sicché, sussiste la violazione dei citati precetti costituzionali perché la discriminazione tra lavoratori assumibili solo con richiesta numerica e lavoratori per i quali é ammessa la richiesta nominativa non trova adeguata giustificazione e priva i primi della libertà di scelta del lavoro.
Ha osservato che la Corte Costituzionale, con le precedenti sentenze n. 53/57 e n. 30/58, ha dichiarato la legittimità costituzionale delle norme denunciate ma ha affrontato però solo il tema generale della necessità dell'intervento di un organo pubblico nelle vicende del mercato del lavoro. Ha espresso consenso su tale necessità, trattandosi di assicurare l'equa distribuzione delle occasioni di lavoro e di eliminare le conseguenze della mediazione privata fra offerta e domanda di lavoro. Ha rilevato, comunque, che tali finalità possono essere utilmente conseguite anche con un più limitato intervento, diretto ad accertare l'iscrizione dei lavoratori occupati in apposite liste ed a controllare la legittimità delle condizioni degli instaurandi rapporti, non diversamente da quanto già attualmente accade per i lavoratori per i quali vige la richiesta nominativa.
Sul punto specifico della richiesta numerica, imposta solo per alcune categorie di lavoratori, ha rilevato che tale sistema conculca la libertà di scelta del datore di lavoro che é garanzia costituzionale, prevista, peraltro, anche dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo e dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e si pone in contrasto con il principio dello "intuitus personae" che é fondamentale in ogni rapporto di lavoro, anche se concluso da prestatori di opera meramente manuale. Inoltre, il suddetto sistema appare anacronistico, come si desume dalle frequenti e numerose deroghe che il legislatore stesso dal 1949 ad oggi vi ha apportato, dalle richieste di modificazioni da più parti avanzate, dai rilievi sulla sua efficienza svolti anche dall'amministrazione competente.
Il giudice a quo ha anche osservato che negli Stati della C.E.E. la funzione pubblica del collocamento, pur essendo istituzionalmente prevista come necessaria, non preclude al datore di lavoro di scegliere il contraente nelle apposite liste né di rifiutare motivatamente l'assunzione di colui che gli viene avviato dall'ufficio di collocamento.
Ha concluso nel senso che solo la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, nella parte in cui non consentono l'assunzione nominativa, può restituire alle parti contraenti la loro insopprimibile libertà di scelta, assicurando nel contempo a tutti i lavoratori pari dignità, senza arbitrarie discriminazioni nascenti esclusivamente dal tipo di mansioni.
2. - Il Pretore di Genova, con le ordinanze del 18 maggio 1979 (R.O. n. 540 e n. 541/79), nel corso di due procedimenti penali a carico di amministratori comunali, imputati della contravvenzione di cui agli artt. 81, 61 e 9 cod. pen., 33 e 38 legge 20 maggio 1970 n. 300, per avere assunto, in ipotesi nelle quali non era previsto il concorso pubblico, lavoratori salariati senza il tramite dell'ufficio di collocamento, ha denunciato, oltre il detto articolo della legge n. 264/49, anche gli artt. 7, 8, 11 e 18 della stessa legge, nonché l'art. 34 della legge n. 300/70; ed ai già ricordati parametri ha aggiunto gli artt. 2 e 16 Cost..
Dopo avere svolto considerazioni analoghe a quelle del Pretore di Monza, il giudice a quo ha sottolineato che il diritto al lavoro, sancito dall'art. 4 Cost., va inteso da un lato come una pretesa positiva a che siano suscitate occasioni di lavoro e, dall'altro, come pretesa negativa dell'astensione da qualsiasi interferenza nella scelta, nel modo di esercizio e nello svolgimento dell'attività lavorativa (Corte Cost. n. 45/65).
Sicché, non é corretto collegare al detto precetto costituzionale il sistema di collocamento apprestato dalla legge n. 264/49 in quanto esso non porta alla creazione delle suddette occasioni di lavoro ma solo alla distribuzione delle forze lavorative nell'ambito dei posti disponibili e realizza, inoltre, proprio un'interferenza incompatibile con il suddetto precetto in quanto sopprime il diritto del lavoratore di scegliere liberamente la controparte datoriale.
D'altra parte, siffatta soppressione costituisce, in violazione dell'art. 2 Cost., disconoscimento di un diritto fondamentale e conculca la personalità e la dignità sociale del singolo, essendo i lavoratori manuali non specializzati considerati alla stregua di merce fungibile.
Inoltre, nell'attuale momento storico, caratterizzato da un forte movimento sindacale e da efficienti garanzie di tutela giudiziaria dei diritti dei lavoratori, non é fondato il timore che l'avvento di un diverso sistema di collocamento possa risolversi in una causa di sfruttamento della parte contrattuale più debole.
Sotto altro aspetto, poi, il giudice a quo, nel denunciare l'art. 8 della legge n. 264/49 come modificato dalla legge n. 5/61, precisa che tale norma, limitando la scelta del lavoratore all'iscrizione nelle liste di collocamento di un solo comune o, comunque, entro un ambito territoriale molto limitato e contiguo al comune di residenza, violi l'art. 16 Cost. il quale garantisce la libertà di circolazione e soggiorno prevedendone possibili limitazioni solo per motivi di sanità e di sicurezza estranei ai fini della disciplina del collocamento.
Per quanto concerne la rilevanza della questione, il giudice a quo si limita alla mera affermazione della sua sussistenza senza esporne le ragioni.
3. - Questione identica, con ordinanza del 30 giugno 1981 (R.O. n. 639/81) é stata sollevata dal Pretore di Vigevano.
Il giudice a quo si limita alla pura affermazione della sua rilevanza senza alcuna motivazione. E, per quanto concerne la non manifesta infondatezza, motiva per relationem rifacendosi alle ordinanze dei Pretori di Monza e di Genova.
4. - Tutte le predette ordinanze sono state ritualmente notificate e comunicate nonché pubblicate, rispettivamente, nella G.U. n. 230 del 22 agosto 1979, n. 258 del 19 settembre 1979 e n. 5 del 6 gennaio 1982.
Nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 471/79 del Pretore di Monza, il Bertuzzi ha depositato l'atto di costituzione fuori termine limitandosi, peraltro, a svolgere considerazioni meramente adesive alle censure sollevate.
In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri tramite l'Avvocatura dello Stato la quale ha insistito per la declaratoria di infondatezza delle questioni.
A suo parere, essa discende in gran parte dalle sentenze della stessa Corte n. 53/57 e n. 30/58 con le quali si é riconosciuto che il vigente sistema del collocamento costituisce attuazione dei principi costituzionali invocati in quanto attua una disciplina del mercato del lavoro nell'interesse delle primarie esigenze dei lavoratori.
Le differenze coi sistemi degli altri paesi, ha soggiunto, si giustificano per le condizioni del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da un forte squilibrio tra domanda e offerta di lavoro mentre le ampie deroghe al principio della richiesta numerica risultano ampiamente giustificate dalla peculiarità dei casi per i quali sono previste.
Ha rilevato, inoltre, che non é elemento indefettibile del rapporto di lavoro, almeno nella fase della sua costituzione, l'"intuitus personae" ma esso é, semmai, desumibile dalla concreta disciplina positiva del rapporto nel suo svolgimento e, quindi, rappresenta un dato contingente, storicamente variabile e, comunque, privo di rilevanza costituzionale.
Ha rilevato, inoltre, che la richiesta numerica non compromette né la libertà di scelta da parte del lavoratore del tipo di attività lavorativa, né la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro; il che appare evidente dalla natura meramente autorizzatoria dell'atto di avviamento. Anche gli eventuali effetti più pregnanti e vincolanti riconosciuti al detto atto si ricollegano all'iniziativa delle parti interessate e, cioé, da una parte all'iscrizione nelle liste di collocamento e, dall'altra, alla richiesta del datore di lavoro; l'una e l'altra sono il frutto di libere scelte delle parti che decidono di assoggettarsi ai relativi oneri per la realizzazione dei rispettivi interessi, onde non restano incise le suddette libertà.
Con specifico riguardo alle ordinanze dei Pretori di Monza e Vigevano, ha eccepito possibili ragioni di inammissibilità delle relative questioni.
Considerato in diritto
1. - É preliminare l'esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dall'Avvocatura dello Stato.
Per quanto riguarda l'ordinanza del Pretore di Vigevano, é stata eccepita l'impossibilità di verificare la rilevanza della questione in quanto non contiene alcun cenno della imputazione in relazione alla quale si svolgeva il giudizio a quo né alcuna motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione essendosi il giudice a quo limitato ad un puro e semplice rinvio alle ordinanze dei Pretori di Monza e di Genova.
L'eccezione é fondata.
Il Pretore remittente non ha motivato affatto sulla rilevanza della questione e, peraltro, nella ordinanza di rimessione non ha nemmeno accennato all'imputazione.
L'altro motivo posto a fondamento della eccepita inammissibilità resta assorbito.
Per quanto riguarda l'ordinanza del Pretore di Monza, la stessa Avvocatura dello Stato ha rilevato che l'imputazione riguardava l'assunzione di lavoratori senza il tramite dell'ufficio di collocamento e non le modalità del collocamento le quali, invece, costituiscono l'oggetto della censura; ha anche aggiunto che dal testo dell'ordinanza non risulta se i lavoratori fossero o meno iscritti nelle liste di collocamento o se il datore di lavoro avesse comunque interessato l'ufficio di collocamento.
L'eccezione é infondata.
Vero é che l'imputazione del giudizio a quo riguarda la mancata assunzione di lavoratori tramite l'ufficio di collocamento, ma é altrettanto vero che fanno parte della stessa anche le modalità con cui esso regime si attua.
Inoltre, é palesemente irrilevante l'eventuale iscrizione nelle liste di collocamento dei lavoratori assunti senza l'apposita richiesta e non risulta che il datore di lavoro abbia comunque interessato l'ufficio di collocamento.
2.1. - I giudizi di cui alle ordinanze dei Pretori di Monza (R.O. n. 471/79) e di Genova (R.O. nn. 540 e 541/79) possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza perché prospettano questioni in parte identiche ed in parte connesse.
2.2. - I giudici remittenti dubitano della legittimità costituzionale degli artt. 7, 11, 13, 14 e 18 della legge 29 aprile 1949 n. 264, 33 e 34 della legge 20 maggio 1970 n. 300 i quali, prevedendo il collocamento dei lavoratori come funzione pubblica ed, in particolare, la necessità dell'assunzione per il tramite degli appositi uffici e della preventiva richiesta numerica del datore di lavoro, con limitazione della possibilità di richiesta nominativa a taluni casi particolari, violerebbero:
a) l'art. 2 Cost. perché risulterebbe disconosciuto il fondamentale diritto alla libera scelta del lavoro e conculcata la personalità e la dignità sociale del lavoratore;
b) l'art. 3 Cost. in quanto si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento fra lavoratori per i quali é possibile soltanto la richiesta numerica e lavoratori per i quali é, invece, consentita la richiesta nominativa;
c) l'art. 4 Cost. perché il diritto al lavoro ivi sancito implica anche la facoltà di libera scelta della controparte.
Il Pretore di Genova denuncia, altresì, come sospetto di illegittimità costituzionale anche l'art. 8 della stessa legge n. 264/1949 come modificato dall'art. 2 della legge 10 febbraio 1961 n. 5, perché, limitandosi la scelta del lavoratore all'iscrizione nelle liste di collocamento di un solo comune o, comunque, entro un ambito territoriale limitato e contiguo al comune di residenza, risulterebbe violato l'art. 16 Cost. che garantisce la libertà di circolazione e di soggiorno.
3. - Le questioni non sono fondate.
Questa Corte, con le sentenze n. 53 del 1957 e n. 30 del 1958, ha già ritenuto la legittimità costituzionale degli artt. 8, 13 e 27 della legge n. 264 del 1949 in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 16 Cost. in quanto facenti parte di un sistema di disposizioni con le quali l'ordinamento, nell'interesse dei lavoratori, provvede a disciplinare, praticamente, la soddisfazione delle loro esigenze in relazione con il diritto al lavoro. Ed inoltre, ha affermato la non incidenza dell'obbligo dell'iscrizione nelle liste di collocamento sulla libertà di circolazione e di soggiorno dei lavoratori perché il suddetto obbligo é fondato sulla necessità di regolare le possibilità concrete di assunzione al lavoro.
Queste considerazioni vanno ribadite anche alla luce delle modificazioni che il sistema ha subito da parte del legislatore negli anni successivi alle suddette decisioni.
4. - La Corte rileva, anzitutto, che il collocamento dei lavoratori nei posti di lavoro, istituito con la legge n. 264/49 che si ricollega alle convenzioni internazionali dell'epoca, é funzione pubblica esercitata dallo Stato a mezzo dei suoi appositi organi.
Esso si articola nei seguenti punti:
a) istituzione di uffici di collocamento comunali come organi degli uffici regionali e provinciali del lavoro e della massima occupazione;
b) iscrizione dei lavoratori disoccupati in apposite liste secondo categorie e qualifiche professionali nel solo comune di residenza con la possibilità, in determinati casi, di estensione anche ad altri comuni;
c) obbligo del datore di lavoro, in caso di necessità di impiego di lavoratori, di rivolgersi al competente ufficio di collocamento con richieste numeriche salvo alcune eccezioni.
Ribadisce, poi, che la scelta del legislatore di siffatta disciplina, che, peraltro, é oggetto di censura solo nei due aspetti della richiesta numerica e del collocamento tra la residenza del lavoratore e l'ufficio di collocamento, ha un razionale fondamento nelle necessità di evitare l'esercizio della mediazione privata ed il danno che ne subirebbero i lavoratori inevitabilmente assoggettati a un indebito sfruttamento; di regolare il mercato del lavoro, cioé la domanda e l'offerta del lavoro; di favorire la prima occupazione e la rioccupazione dei disoccupati, secondo l'anzianità dell'iscrizione, la durata della disoccupazione ed i requisiti posseduti.
L'ingerenza dello Stato nella fase di formazione del rapporto di lavoro, anche se importa compressione di alcuni aspetti dell'autonomia privata, si giustifica anche per il rilevante interesse pubblico all'occupazione ed al controllo della domanda e dell'offerta di lavoro, per le scelte di indirizzi di politica economica collegate strettamente al processo produttivo di cui sono elementi essenziali le forze del lavoro.
Le differenziazioni del sistema del nostro paese rispetto a quello di altri paesi, specie della Comunità Economica Europea, le quali, peraltro, non hanno mai dato luogo a sostanziali controversie in sede comunitaria, trovano ampia giustificazione nelle differenti condizioni del mercato del lavoro del paese ed, in particolare, nel profondo squilibrio tra domanda ed offerta di lavoro onde la necessità di un controllo pubblico anche per prevenire ed eventualmente reprimere gli abusi e l'odioso sfruttamento del bisogno.
Certamente la richiesta numerica limita l'autonomia del datore di lavoro e la sua discrezionalità nella scelta dei lavoratori con i quali intende instaurare il rapporto di lavoro. Questo, d'altra parte, ha come elementi caratterizzanti, lo "intuitus personae "e la fiducia e costituisce uno dei fattori della produzione rientrante nel rischio d'impresa al pari della realizzazione di finalità sociali e della produzione di ricchezza. E limita altresì la libertà del lavoratore di scelta della impresa e del posto di lavoro.
Ma le esigenze socio-politiche richiedono un equo contemperamento degli interessi delle parti sociali, pubbliche e private. L'evoluzione della realtà socio- economica e del mondo del lavoro, che in questa realtà ha cospicua partecipazione, hanno determinato graduali sviluppi della legislazione del lavoro ed, in particolare, anche del collocamento ordinario. Questi graduali sviluppi si erano già verificati nel nostro paese dal 1949 all'epoca dei giudizi a quibus e si sono verificati anche negli anni successivi con sempre maggiore incisività nel detto sistema.
5. - Invero, già nel sistema del 1949 per alcuni lavoratori era addirittura previsto (art. 11 legge n. 264/49) l'esonero dall'obbligo del collocamento. E cioé:
a) per quelli legati al datore di lavoro dal rapporto di coniugio o di parentela (parenti o affini non oltre il terzo grado);
b) per i lavoratori aventi una particolare qualifica (direttivi, di concetto o specializzati) o assunti con sistemi aperti a tutti (per es. mediante pubblico concorso) o legati da rapporti di tipo societario (compartecipazione; mezzadria; colonia parziaria) o di tipo familiare (domestici e addetti alla famiglia) o di precipua fiducia (addetti a studi professionali) o appartenenti a piccole aziende (con meno di tre dipendenti e, se rurali, con non più di sei).
Era, inoltre, ammesso (art. 11) il passaggio diretto ed immediato del lavoratore dall'azienda dove era occupato ad un'altra.
Per alcune categorie di lavoratori, per le specialità del relativo mercato, é stato addirittura previsto un diverso sistema di collocamento ordinario (per es. per i lavoratori agricoli dal d.l. 3 febbraio 1970 n. 7 conv. con modificazioni in legge 11 marzo 1970 n. 83).
Ma per quanto interessa la censura in esame l'art. 4 della legge n. 264/49 ha previsto, in alcuni casi, la richiesta nominativa. E cioé:
a) per tutti i lavoratori destinati ad aziende che non abbiano stabilmente più di cinque dipendenti e per i lavoratori destinati ad altre aziende nei limiti di un decimo, sempre che la richiesta sia per un numero di unità superiore a 9;
b) per i lavoratori di concetto e per quelli che avessero una particolare specializzazione o qualificazione;
c) per il personale destinato a posti di fiducia connessi con la vigilanza e la custodia delle sedi di opifici, di cantieri o, comunque, di beni dell'azienda;
d) per il primo avviamento di lavoratori in possesso di titoli di studio rilasciati da scuole professionali.
Inoltre, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro del Lavoro, sentita la Commissione Centrale, entro un anno potevano fissarsi le qualificazioni e le specializzazioni per le quali era consentita ai datori di lavoro la richiesta nominativa.
L'art. 3, terzo comma, della legge n. 25/55 sull'apprendistato ha previsto la possibilità della richiesta nominativa per le aziende con meno di dieci dipendenti e nella misura del 25% per le aziende con più di dieci dipendenti.
E pur vero che la legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), nell'intento di attuare una partecipazione del sindacato anche al sistema di collocamento ordinario e instaurare un controllo più attivo delle parti sociali nei processi dell'impiego dei lavoratori, ha ridotto l'ambito di operatività delle richieste nominative e, per il passaggio diretto del lavoratore da un'azienda all'altra, ha richiesto il nulla osta dell'ufficio di collocamento.
Ma devesi rilevare che le norme relative (e cioé gli artt. 33 e 34 della legge n. 300/70), hanno dato luogo a problemi di interpretazione specie per quanto riguarda la sfera della loro applicazione e l'ambito della loro efficacia abrogativa delle norme precedenti (art. 14 della legge n. 264/49).
Successivamente e già all'epoca dei giudizi a quibus il legislatore ha effettuato altre importanti modifiche del sistema che hanno, praticamente, reso inoperanti quelle precedenti di cui alla citata legge n. 300/70. Per le necessità di superare la crisi economica che aveva colpito molti settori della vita produttiva e molte imprese, ha emanato leggi per il coordinamento della politica industriale, per la ristrutturazione e la riconversione delle aziende in crisi, per lo sviluppo di determinati settori, per l'incentivazione ed il sostegno dell'occupazione, specie di quella giovanile.
Dette leggi hanno prodotto spinte alla mobilità verticale ed orizzontale dei lavoratori, alla loro riqualificazione, alla formazione professionale; hanno creato delle nuove forme di regolamentazione del rapporto di lavoro (contratti part-time; contratti di formazione ecc.) e la maggiore diffusione di quelle esistenti fino allora, di attuazione limitata (contratti a tempo determinato, contratti stagionali ecc.).
Anche l'avvento di nuove tecnologie, le necessità di mantenere la competitività, specie internazionale, di vincere e di superare remore concorrenziali hanno determinato sostanziali modifiche del collocamento.
Le norme maggiormente incisive sul detto sistema fino allora vigente sono stati gli artt. 22, 23, 24 e 25 della legge 12 luglio 1977 n. 675. Esse hanno previsto: a) l'istituzione, in ogni Regione, di Commissioni per la mobilità della mano di opera, al fine di accertare i prevedibili fabbisogni quantitativi e qualitativi di questa, con programmi di attività e di interventi (a livello regionale) a sostegno della mobilità dei lavoratori e per le formazioni professionali nonché per l'impiego in nuovi settori o in aziende ristrutturate o riconvertite; il tutto in coerenza ed in attuazione di piani regionali di sviluppo socio-economico; b) la formazione di elenchi del personale esuberante, per fasce professionali, categorie e qualifiche per prevedibile occupazione in altre aziende o in altri settori.
Per le aziende in crisi é stata vietata l'assunzione di lavoratori a mezzo del passaggio diretto dall'una all'altra azienda ed imposto l'obbligo della richiesta alle sezioni di collocamento con l'onere di queste ultime di trasmettere le dette richieste ai sindacati di categoria più rappresentativi a livello regionale, per darne comunicazione ai lavoratori interessati i quali in caso di accettazione, vengono inclusi in graduatorie particolari, secondo i criteri di cui all'art. 15 della legge n. 264/49.
La dichiarazione di crisi occupazionale di aziende industriali non più in grado di mantenere i precedenti livelli di impiego ha costituito (art. 25) un canale privilegiato di avviamento al lavoro che ha portato al trasferimento di lavoratori dalle aziende in crisi ad altre non in crisi e che offrivano posti di lavoro. Tali gruppi di lavoratori sono stati anteposti ad altri in cerca di occupazione. Sono state, quindi, modificate le procedure di collocamento nell'ambito delle circoscrizioni territoriali nelle quali erano comprese le dette aziende per agevolare l'avviamento ad altra occupazione dei lavoratori dei quali era prevedibile il licenziamento.
Inoltre l'art. 8 della legge 25 marzo 1977 n. 79 ha riconosciuto il diritto di precedenza per l'avviamento al lavoro ai lavoratori che avessero prestato la loro opera nella stessa azienda a tempo determinato. La norma ha attuato l'esigenza di tutelare la professionalità e la sicurezza di vita acquisite dal lavoratore già occupato e ha creato un nuovo titolo di preferenza, e cioé la precedente occupazione.
Né può negarsi alla attuata modifica dei criteri di precedenza nell'avvio al lavoro stabiliti dalla legge (n. 264 del 1949) una sufficiente base di razionalità.
Inoltre, l'art. 133 del T.U. sulle leggi sul mezzogiorno, che ha recepito l'art. 1 del d.l. n. 291/77, conv. con modificazioni nella legge n. 501/77, ha previsto la comunicazione da parte dei datori di lavoro agli uffici di collocamento dei nominativi dei lavoratori resisi disponibili nelle aree delle regioni del mezzogiorno a seguito dell'avvenuto completamento di impianti industriali, di opere pubbliche di grandi dimensioni o di lavori relativi a programmi comunque finanziati, in tutto o in parte, dallo Stato, la loro iscrizione in una lista speciale istituita presso il detto ufficio ed il loro avviamento prima a corsi di formazione professionale e poi a posti di lavoro, con precedenza, presso le imprese che si erano giovate dei lavori sovvenzionati o comunque concernenti investimenti pubblici.
Per un altro verso, la legge 1 giugno 1977 n. 285 sulla occupazione giovanile ha previsto, per l'assunzione al lavoro, l'inserimento di giovani in liste speciali e, per quelli da 15 a 29 anni, contratti di formazione (artt. 5 e 7) e, durante l'esecuzione o alla scadenza di detti contratti, l'assunzione a tempo indeterminato mediante richiesta del datore di lavoro alla sezione del collocamento con passaggi diretti ed immediati, con il solo nulla osta.
La legge n. 864 del 1977 di conv. con modificazioni del d.l. n. 706/77 ha disposto l'assunzione, in aziende con non più di tre dipendenti, di giovani iscritti nella lista speciale di cui all'art. 4 della legge n. 285/77 con richiesta nominativa del datore di lavoro.
Il d.l. n. 351/78, conv. in legge 4 agosto 1978 n. 479, ha previsto, con termine poi prorogato al 30 giugno 1980, oltre alle liste speciali per il collocamento per i giovani dai 15 ai 29 anni, la possibilità, per i datori di lavoro che occupano stabilmente non più di dieci dipendenti, di assunzioni con contratti di formazione mediante richiesta nominativa, fermo restando il divieto di cui all'art. 1 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 (discriminazioni fondate sul sesso).
La Corte rileva anche che l'ambito di applicabilità della richiesta nominativa si é successivamente ancora di più ampliato. Invero, in base all'art. 8 del d.l. n. 17 del 1983 conv. in legge n. 79/83, é consentita la richiesta nominativa di giovani dai 15 ai 29 anni con contratti a termine non superiori a 12 mesi, volti alla formazione, e la possibilità di contratti a tempo indeterminato entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, con lo stesso datore di lavoro o con altri, per attività consone alla qualificazione conseguita e, per un anno dall'entrata in vigore della legge, la possibilità, in genere, per i datori di lavoro, di effettuare per la metà richiesta nominativa di lavoratori rispetto alla richiesta numerica da effettuarsi nel corso dell'anno.
Infine, l'art. 6 della legge n. 726 del 1984, contenente misure urgenti a sostegno dell'incremento dei livelli occupazionali, ha concesso ai datori di lavoro che intendono effettuare assunzioni a tempo indeterminato, la possibilità di fare contestualmente richiesta di lavoratori per metà numerica e per l'altra metà nominativa, operando, peraltro, scelte affidate solo alla loro autonoma determinazione, senza alcun dovere di esporre i motivi della richiesta nominativa.
6. - Tuttavia, l'avvento sempre più massiccio delle nuove tecnologie, specie nel mondo del lavoro, imporrà modifiche ed innovazioni sempre più radicali e profonde di qualifiche, di categorie professionali, di tempi di lavoro, di utilizzazione del fattore umano insieme alle macchine, ed automatismi sempre più sofisticati (robot, computer, video-games ecc...); determinerà la possibilità di disoccupazioni quantitative e qualitative ed, insieme, la necessità di nuove occupazioni e di nuove forme di contrattazioni. Renderà certamente necessaria anche una più profonda e più radicale riforma del collocamento. Ma le scelte relative sono affidate più che mai alla discrezionalità del legislatore.
Fino a che sussistono la crisi economica e le esigenze del suo superamento, la necessità di equilibrare le domande e le offerte di lavoro, la necessità di una direzione statale della politica economica e dei fattori della produzione, la necessità di interventi pubblici a sostegno dei livelli occupazionali e di incentivazione dell'occupazione, specie di quella giovanile, le esigenze del mantenimento dei raggiunti livelli di socialità, peraltro costituzionalmente garantiti, delle realizzate conquiste sociali, sembra difficile instaurare un regime di piena libertà fondato sulla sola richiesta nominativa del lavoratore.
7.1. - Allo stato, non sussistono le lamentate violazioni dei precetti costituzionali e cioé degli artt. 2 e 4 in relazione all'art. 3 Cost..
Invero, l'art. 4 della Costituzione sancisce per tutti i cittadini il riconoscimento del diritto al lavoro ed il dovere per lo Stato di promuovere le condizioni che lo rendono effettivo. Esso contiene certamente l'impegno dello Stato per una politica di piena occupazione e giustifica l'intervento dei poteri pubblici per la disciplina dell'impiego dei lavoratori.
Il riconoscimento esteso a tutti i lavoratori, in applicazione del principio di uguaglianza, impone di procedere ad una equa ripartizione delle occasioni di lavoro esistenti le quali non coprono tutta l'area dei lavoratori per la ben nota insufficienza dei posti di lavoro.
Lo strumento del collocamento pubblico consente di attuare la detta politica dell'occupazione nonché scelte politiche in funzione anche di altri scopi (aiuti a cittadini colpiti da calamità o da avvenimenti internazionali; inserimento dei giovani nelle attività produttive; il superamento di eventuali discriminazioni per motivi di religione, di razza, di sesso ecc...).
É intuitivo che, a tutela di interessi pubblici e di esigenze sociali, si debbano operare restrizioni (determinazione di requisiti particolari, determinazione di modi e condizioni per l'assunzione ecc...). Ciò rientra nella discrezione del legislatore con l'ovvio limite della totale soppressione o del grave affievolimento del diritto di libertà dei singoli tra cui la scelta dell'attività di lavoro.
É consentito al legislatore di accordare preferenze ad alcuni gruppi di lavoratori; formare graduatorie particolari per l'avviamento al lavoro; operare distinzioni per categorie e qualifiche professionali nell'esercizio del suo ruolo di regolatore del mercato del lavoro ma sempre nel rispetto dei limiti della ragionevolezza che la coscienza sociale impone.
7.2. - L'attuale sistema, in definitiva, non lede nemmeno la personalità e la dignità del lavoratore garantita dall'art. 2 Cost. perché gli assicura una tutela certa ed imparziale, impedendo contrattazioni dannose ed esose che, comunque, importerebbero lo sfruttamento del suo stato di bisogno, mentre risulta sufficientemente rispettata la sua scelta dell'attività di lavoro.
In sostanza, il lavoratore risulta garantito e sottratto ad ingiuste discriminazioni sotto la speciosa ragione di una sua incapacità o di una sua inettitudine anche presunta.
Anche al datore di lavoro é assicurata in modo sufficiente la libera scelta del lavoratore mediante la richiesta nominativa in proporzione con quella numerica.
Mentre il legislatore rimane in grado di perseguire i necessari sviluppi della produzione ed i loro effetti, anche con le opportune direzioni degli interventi sulle forze del lavoro necessarie alla produzione.
8.1. - Per quanto riguarda la dedotta violazione dell'art. 16 Cost., nell'assunto che l'attuale sistema impedirebbe la libera circolazione del lavoratore nel territorio dello Stato, siccome l'iscrizione nelle liste del collocamento é limitata al solo comune di residenza, la Corte rileva anzitutto che la legge n. 264/49 consente la circolazione del lavoratore.
L'art. 11, invero, prevede il passaggio del lavoratore da un azienda ad un altra, anche se sita in località diversa; l'art. 15 l'assunzione di lavoratori di località viciniori sia pure con l'osservanza di criteri di proporzionalità.
Inoltre, la legge n. 5 del 1961, proprio in adempimento dell'invocato precetto costituzionale, ha abrogato le norme della legge 9 aprile 1931 n. 358 sulle migrazioni interne e la legge 6 luglio 1939 n. 1092 recante provvedimenti contro l'urbanesimo che impedivano al lavoratore in cerca di occupazione, di trasferire la propria residenza nelle località ove sussistessero migliori possibilità di trovare lavoro. Conseguentemente sono state modificate anche le norme della legge n. 264/49 (gli artt. 8 e 15, secondo e terzo comma).
Pertanto é consentito al lavoratore, senza cambiare la propria residenza, trasferire la sua iscrizione nelle liste di collocamento dell'ufficio di altro comune capoluogo di provincia o con popolazione superiore a 20.000 abitanti o di notevole importanza industriale, situato nella stessa provincia o in altra provincia contermine, comunque, nel raggio di 150 chilometri, conservando l'anzianità di iscrizione in precedenza maturata (art. 8 legge n. 264/49 modif. dall'art. 2 legge n. 5/61).
Inoltre, agli avviamenti per determinati lavori da svolgersi in un comune possono concorrere, previa autorizzazione della Commissione di cui all'art. 25 della legge, a richiesta dell'ufficio di collocamento, lavoratori di altro comune anche di province contermini, osservati gli opportuni criteri di proporzionalità. É accordata precedenza ai lavoratori che abbiano conseguito una qualificazione professionale (art. 15, secondo e terzo comma della legge n. 264/49 modif. dall'art. 4 della legge n. 5/61).
8.2. - Del resto, in via generale, può osservarsi che lo stesso lavoratore é libero di fissare la propria residenza in qualsiasi comune della Repubblica senza limiti, mentre non si può disconoscere la ragionevole necessità che ha determinato il legislatore ad ancorare il sistema ad un elemento certo che consentisse di individuare l'ufficio di collocamento competente a provvedere sull'avviamento del lavoratore ed esso non poteva non essere quello della residenza, con assoluta assenza dei caratteri di fissità e di definitività non sussistendo a carico del lavoratore il divieto di cambiare la sua residenza. Il criterio risponde solo a ragioni di concretezza e, siccome non é né fisso né imposto, non importa violazione dell'invocato precetto costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge 29 aprile 1949 n. 264 e dell'art. 33 della legge 20 maggio 1970 n. 300, sollevata dal Pretore di Vigevano con l'ordinanza (R.O. n. 639/81) in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost.;
b) riuniti i giudizi (R.O. nn. 471,540 e 541/79), dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8, 11, 13, 14 e 18 della legge 29 aprile 1949, n. 264, modificata dalla legge 10 febbraio 1961 n. 5, e degli artt. 33 e 34 della legge 20 maggio 1970 n. 300, sollevata dai Pretori di Monza e Genova con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2,3,4 e 16 Cost..
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1986.
Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO
Depositata in cancelleria il 28 novembre 1986.