SENTENZA N. 236
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 legge 7 luglio 1980, n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980), promossi con le seguenti ordinanze:
1) tre ordinanze emesse il 30 marzo e 9 aprile 1985 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Caprari Alvio, Petroni Alvaro, Pellegrini Cesare e l'INADEL, iscritte ai nn. 362, 363 e 364 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 196 bis dell'anno 1985;
2) ordinanza emessa il 18 marzo 1985 dal Pretore di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Frixione Giuseppina ed altri e l'INADEL, iscritta al n. 486 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 bis dell'anno 1985;
3) cinque ordinanze emesse il 10 aprile, 22 aprile, 14 maggio e 30 maggio 1985 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Gatto Maria ed altra, Plini Vittoria ed altri, Carloni Anna ed altri, Materazzi Silvano, Piloni Amleto e l'INADEL, iscritte ai nn. 524, 525, 550, 557 e 558 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 bis dell'anno 1985 e n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1986.
Visti gli atti di costituzione di Pellegrini Cesare, Balice Alfonsina ed altra, Giannaccini Anna Maria nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1986 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi gli avv.ti Luciano Ventura e Franco Agostini per Pellegrini Cesare e Giannaccini Anna Maria, Franco Batistoni Ferrara per Balice Alfonsina ed altra e l'Avvocato dello Stato Emilio Sernicola per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1 - Con ricorsi depositati, rispettivamente, in data 2 febbraio 1985, 12 gennaio 1985, 27 luglio 1984, 14 e 11 febbraio 1985, 23 ottobre 1984, 15 gennaio 1985, 6 dicembre 1984, 24 ottobre 1984, 15 settembre 1984, i sigg.ri Caprari Alvio, Petroni Alvaro, Pellegrini Cesare, Mignacca Fernanda e altre, Carloni Anna ed altri, Materazzi Silvano e Piloni Amleto, hanno chiesto al Pretore di Roma di voler condannare l'INADEL al pagamento, agli stessi ricorrenti, delle maggiori somme che, a titolo di indennità premio di servizio sarebbero loro spettate in ragione degli aumenti dell'indennità integrativa speciale maturati successivamente al 31 gennaio 1977, non calcolati, invece, dall'Istituto resistente in sede di liquidazione delle suddette indennità.
L'Istituto negava qualunque fondamento alle suesposte domande, opponendo che il divieto di computo, nell'indennità premio di servizio, degli aumenti dell'indennità integrativa speciale scattati posteriormente al 31 gennaio 1977, sarebbe stato imposto dall'art. 3 della l. 7 luglio 1980 n. 299, che rinvia in proposito alla disciplina, di detto computo appunto preclusiva, di cui all'art. 1 della l. 31 marzo 1977 n. 91. Su tale divieto, a parere del resistente, non avrebbe avuto alcuna influenza l'art. 4 della l. 29 maggio 1982 n. 297, che - in quanto abrogativo del cit. art. 1 della l. n. 91 del 1977 - era stato invece invocato dai vari ricorrenti a fondamento delle rispettive domande, assumendo che dallo stesso sarebbe derivata la rimozione del contestato divieto. Sosteneva infatti il resistente che il rinvio operato dalla l. n. 297 del 1982 doveva considerarsi non già formale, ma materiale, di tal che l'abrogazione della norma oggetto del rinvio non avrebbe potuto spiegare alcun effetto sul contenuto della norma rinviante.
1.1. - L'adito Pretore, con ordinanze di identico tenore, iscritte ai nn. 362, 363, 364, 524, 550, 557 e 558 r.o. 1985, rilevava anzitutto che il rinvio operato dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980 all'art. 1 della l. n. 91 del 1977" corrispondeva all'esigenza di armonizzare la disciplina dell'indennità premio di servizio - per quanto riguardava la computabilità degli aumenti retributivi dipendenti dall'aumento del costo della vita - al "congelamento" introdotto al riguardo, con riferimento all'indennità di anzianità, dalla l. n. 91".
Osservava, peraltro, che tale ratio non poteva automaticamente far concludere nel senso dell'influenza, sul contenuto normativo dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980, dell'avvenuta abrogazione dell'art. 1 della legge n. 91 del 1977 ad opera dell'art. 4 della l. n. 297 del 1982.
Sosteneva, invero, che a tanto avrebbe potuto giungersi, solo qualora si fosse dimostrata la natura formale e non recettizia del rinvio effettuato dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980.
A giudizio dell'adito Pretore, nel caso di specie il rinvio avrebbe tuttavia dovuto considerarsi materiale, poiché l'intento del legislatore era stato esclusivamente quello di utilizzare il rinvio per ricavare un frammento del precetto contenuto nella nuova norma, non già per recepire in questa, di volta in volta, le modificazioni eventualmente subite dalla norma oggetto del rinvio. L'uso della tecnica del rinvio in luogo della diretta indicazione del limite alla calcolabilità dell'indennità integrativa speciale nell'indennità premio di servizio, poi, sarebbe stato giustificato dalla volontà di evidenziare l'intenzione di raggiungere la parità di trattamento fra indennità di anzianità e indennità premio di servizio in ordine appunto all'an ed al quantum della ricomprensione, nella stessa, degli aumenti retributivi conseguenti all'incremento del costo della vita.
Rilevava, infine, il Pretore, che la natura materiale del rinvio in contestazione poteva evincersi anche dalla eterogeneità delle materie oggetto delle due norme: la contribuzione, nel caso di quella rinviante (che invero si occupa, in prima battuta, del solo calcolo della contribuzione necessaria per costituire le somme da corrispondere, in seguito, a titolo di indennità premio di servizio); l'indennità di anzianità nel caso di quella oggetto del rinvio.
1.2. - Tanto premesso, e così interpretato l'art. 3 della l. n. 299 del 1980, il Pretore di Roma ne assumeva il contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost., sollevando pertanto d'ufficio questione incidentale di legittimità costituzionale.
Premette il giudice a quo che l'indennità premio di servizio deve essere considerata prestazione previdenziale, perché corrisposta da un istituto previdenziale e commisurata alle contribuzioni imposte a carico degli iscritti.
In quanto prestazione previdenziale, l'indennità in parola ricadrebbe nell'ambito considerato dall'art. 38 Cost., che nella specie dovrebbe ritenersi violato in quanto una componente del trattamento economico dei dipendenti pubblici iscritti all'INADEL - l'indennità integrativa speciale - non sarebbe considerata utile ai fini del trattamento previdenziale, in violazione dei principi - osserva il giudice a quo - fissati da questa Corte con la sent. n. 126 del 1981. Per vero, osserva ancora il giudice rimettente, in quella pronuncia la Corte aveva dichiarato illegittimo il divieto di considerare utile ai fini previdenziali una indennità corrisposta ai medici universitari, anche in ragione del fatto che la stessa era soggetta (al contrario della parte di indennità integrativa speciale esclusa dal computo dell'indennità premio di servizio) a contribuzione previdenziale. Tale argomento, tuttavia, sarebbe stato dalla Corte invocato come mero rafforzativo della ratio decidendi, non già come elemento costitutivo di questa.
Violato dalla norma impugnata, risulterebbe altresì anche il combinato disposto degli artt. 36 e 38 Cost., perché verrebbe compromesso il principio, enunciato da questa Corte con sent. n. 26 del 1980, della necessaria proporzionalità fra qualità e quantità del lavoro prestato, e trattamento retributivo e di quiescenza, che andrebbe garantita anche nei confronti dei mutamenti del potere di acquisto del denaro. Tale garanzia verrebbe, a giudizio dell'autorità giurisdizionale rimettente, meno, in forza dell'impugnata normativa.
Violato, infine, sarebbe anche l'art. 3 Cost.. Da un lato, perché la parità di trattamento fra lavoratori privati e dipendenti pubblici assicurata, in origine, proprio dalla l. n. 299 del 1980, sarebbe a posteriori venuta meno, in seguito alla entrata in vigore della l. n. 297 del 1982. Dall'altro, perché si verificherebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici, atteso che l'abrogazione dell'art. 1 della l. n. 91 del 1977 avrebbe fatto venir meno il divieto di computo nell'indennità di fine rapporto degli aumenti dell'indennità integrativa speciale posteriori al 31 gennaio 1977 per tutti quei dipendenti pubblici in relazione ai quali l'esclusione dal computo dipendeva solamente dallo stesso art. 1 della l. n. 91 del 1977.
1.3. - Nei giudizi sopradescritti é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato che chiede la declaratoria di non fondatezza della questione de qua.
A giudizio dell'Avvocatura, nessun raffronto potrebbe essere instaurato tra l'indennità di anzianità e l'indennità premio di servizio, poiché la prima avrebbe natura retributiva, e la seconda previdenziale (si richiama in proposito la sent. di questa Corte n. 46 del 1983).
D'altro canto, la stessa indennità di anzianità non avrebbe una struttura intangibile, ma potrebbe essere modificata, anche in senso riduttivo, dal legislatore (sent. n. 142 del 1980). Inoltre, la stessa legge istitutiva dell'indennità integrativa speciale (l. 27 maggio 1959 n. 324, art. 1, terzo comma, lett. d) aveva sin dall'inizio disposto la non computabilità della stessa al fine della determinazione del trattamento di quiescenza, mentre l'esclusione al fine della determinazione dell'indennità di buonuscita del personale civile dello Stato sarebbe stata confermata con la sent. di questa Corte n. 185 del 1981.
Infine, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (si ricorda la sent. n. 5312 del 1979) avrebbe escluso l'esistenza di una nozione onnicomprensiva di retribuzione, ed il particolare carattere dell'indennità integrativa speciale dovrebbe indurre a negare la sua natura di componente della retribuzione stessa, di tal che la sua mancata computabilità al fine della determinazione del trattamento di fine rapporto non sarebbe violativa degli artt. 3,36 e 38 Cost.
1.4. - Nei giudizi iscritti ai nn. 364 e 550 r.o. 1985, si sono costituiti, con atti di costituzione distinti ma d'identico tenore, i sigg. Pellegrini Cesare e Giannaccini Anna Maria, rappresentati e difesi dall'Avv. Luciano Ventura.
Osservano le parti private che erroneo sarebbe il presupposto interpretativo dal quale muove il Pretore di Roma, dovendosi ritenere che il rinvio all'art. 1 della l. n. 91 del 1977 operato dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980 sia non già materiale ma formale, non foss'altro perché la norma oggetto del rinvio fa riferimento ad una misura "massima" di contribuzione, che ben poteva essere, successivamente, modificata o rimossa. Né potrebbe opporsi l'ininfluenza sul pubblico impiego della l. n. 297 del 1982, perché, se é vero che l'art. 4, sesto comma, fa salva la "disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici", il nono comma, abroga senza alcuna esclusione gli artt. 1 e 1 bis del d.l. n. 12 del 1977, convertito nella l. n. 91 del 1977 il che equivarrebbe a tener ferma la "struttura" del trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, rimuovendo però contemporaneamente in via generale e senza eccezioni un limite che a quella struttura é solo esterno.
Concludono le parti private sostenendo che, qualora si respingesse tale linea interpretativa, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980 dovrebbe ritenersi fondata, per i motivi evidenziati dal giudice rimettente.
2. - Nel corso di tre giudizi riuniti, azionati con ricorsi notificati in data 19 novembre 1984, 10 dicembre 1984, 14 gennaio 1985 dai sigg.ri Plini Vittoria ed altri, analoghi a quelli descritti sub 1.1., lo stesso Pretore di Roma sollevava, con ordinanza iscritta al n. 525 r.o. 1985, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980, con motivazioni, per quanto non letteralmente identiche, non dissimili da quelle descritte sub nn. 1.1. e l.2..
Parametro invocato é peraltro il solo art. 38 Cost.. Premessa la natura materiale del rinvio operato all'art. 1 della l. n. 91 del 1977 dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980, il Pretore rimettente afferma che la violazione dell'art. 38 Cost. risulterebbe dalla insufficienza dell'indennità premio di servizio per come decurtata a seguito del congelamento degli aumenti dell'indennità integrativa speciale da computare nell'indennità premio di servizio stessa, ad attuare la funzione previdenziale di essa propria (si invocano in proposito le sentt. di questa Corte nn. 26 e 142 del 1980).
Il vizio sarebbe poi accentuato sia dall'essere destinato ad aggravarsi, con il trascorrere del tempo, il pregiudizio prodotto dalla normativa impugnata - sempre più remoto divenendo il limite temporale di cui al 31 gennaio 1977 -, sia dall'intervenuta rimozione ex lege n. 297 del 1982 del limite di cui all'art. 1 della l. n. 91 del 1977 per i dipendenti privati, nonché per gli stessi dipendenti pubblici, considerato che risulterebbe prevalente l'indirizzo giurisprudenziale favorevole a ricomprendere nell'indennità di buonuscita l'indennità integrativa speciale senza alcun congelamento, e ciò sempre in forza della riforma di cui alla l. n. 297 del 1982.
Nel giudizio sopra descritto é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che chiede la declaratoria di non fondatezza della questione de qua per gli stessi motivi riportati sub n. 1.3.
3. - Nel corso di un giudizio, azionato con ricorso depositato in data 4 dicembre 1984 dai sigg.ri Frixione Giuseppina ed altri, analogo a quelli descritti sub n. 1., il Pretore di Genova, con ordinanza iscritta al n. 486 r.o. 1985, sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.
Anche il Pretore di Genova ritiene che il rinvio operato dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980 all'art. 1 della l. n. 91 del 1977 abbia natura non formale ma materiale. La sopravvenuta l. n. 297 del 1982, pertanto, non spiegherebbe alcun effetto sul contenuto dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980, specialmente in ragione del fatto che l'art. 4, sesto comma, della nuova normativa, fa salva la materia del pubblico impiego, alla quale pertanto non apporterebbe alcuna innovazione.
La reciproca estraneità della l. n. 299 del 1980 e della 1. n. 297 del 1982, del resto, sarebbe dimostrata anche da ciò che, a diversamente ragionare, si perverrebbe all'inaccettabile conclusione di ricomprendere nell'indennità premio di servizio dei dipendenti assistiti dall'INADEL collocati a riposo dopo l'entrata in vigore della l. n. 297 del 1982, tutta l'indennità integrativa speciale, compresa quella maturata nel periodo 1 febbraio 1977 - 31 maggio 1982, che l'art. 5 della l. n. 297 attribuiva invece ai dipendenti ivi menzionati con opportuna gradualità.
Così interpretato, l'art. 3 della l. n. 299 del 1980 sarebbe peraltro, a giudizio del Pretore rimettente, in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.
Anzitutto, perché - come previsto dalla sentenza di questa Corte n. 142 del 1980 - il decorso del tempo avrebbe aggravato gli effetti del "congelamento" degli aumenti dell'indennità integrativa speciale al fine della determinazione del trattamento di fine rapporto. Né varrebbe opporre la diversa natura dell'indennità di anzianità (considerata nella citata pronuncia) e dell'indennità premio di servizio: la norma impugnata fa infatti venir meno il rapporto di proporzionalità - o perlomeno di congruità - che deve sussistere fra retribuzioni percepite in costanza di lavoro e trattamento di quiescenza (si invoca in proposito la sentenza di questa Corte n. 155 del 1969 e si ritiene che nulla in contrario possa argomentarsi dalla sent. n. 46 del 1983).
In secondo luogo, per quanto diversa possa essere la natura giuridica dell'indennità di anzianità rispetto a quella dell'indennità premio di servizio, non pare che ciò sia sufficiente a giustificare una così sensibile disparità di trattamento fra diverse categorie di lavoratori tutti subordinati.
Infine, per come attualmente decurtata, l'indennità premio di servizio sarebbe incapace di assolvere pienamente alla funzione previdenziale di essa propria.
3.1. - Nel giudizio sopradescritto é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che chiede la declaratoria di non fondatezza della questione de qua per gli stessi motivi riportati sub n. 1.3..
3.2. - Si sono altresì costituite le sigg.re Balice Alfonsina e Corsini Albertina, rappresentate e difese dagli avv.ti M. Contaldi e F. Batistoni Ferrara.
Premettono le parti private che il computo della indennità integrativa speciale nell'indennità premio di servizio dovrebbe ritenersi ripristinato in forza dell'art. 4 della l. n. 297 del 1982. Ove si andasse in contrario avviso, dovrebbe peraltro concludersi nel senso dell'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della l. n. 299 del 1980, per l'offesa che, a seguito del decorso del tempo, sempre più consistentemente verrebbe arrecata dal regime di congelamento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. Anche in tal caso si invoca la sentenza di questa Corte n. 142 del 1980, ed anche qui si nega rilievo alla diversità di natura dell'indennità di anzianità e dell'indennità premio di servizio sulla quale la Corte stessa, in quella pronuncia, avrebbe evitato di soffermarsi. In ogni modo, si ritiene che la sostituzione di una tutela previdenziale all'indennità di anzianità possa aversi solo se viene assicurata l'equivalenza fra i due trattamenti, leso restando, in caso contrario, il principio di eguaglianza.
4. - Nell'imminenza dell'udienza di discussione, hanno presentato memorie i patroni dei sigg.ri Pellegrini Cesare e Giannaccini Anna Maria (Avv. L. Ventura), e Balice Alfonsina (Avv. F. Batistoni Ferrara), che ripropongono le tesi già avanzate in atti di costituzione.
4.1. - Osserva, in particolare, la difesa dei sigg.ri Pellegrini Cesare e Giannaccini Anna Maria, che la decurtazione dell'indennità premio di servizio dei dipendenti pubblici iscritti all'INADEL apportata dalla normativa impugnata (per come interpretata nelle ordinanze di rimessione) si sarebbe fatta, con il passare del tempo, sempre più consistente e gravosa. E consistente e gravosa sarebbe soprattutto per i dipendenti dei gradi inferiori, che percepiscono retribuzioni più basse: per essi, infatti, l'indennità integrativa speciale rappresenta una notevolissima percentuale della retribuzione.
In tal modo non si terrebbe conto, da un lato, dell'esigenza di riordino e di perequazione dei trattamenti di quiescenza evidenziata dalla sentenza di questa Corte n. 26 del 1980; dall'altro, dell'avvertimento sui possibili effetti distorsivi che con il trascorrere del tempo il meccanismo del congelamento avrebbe potuto produrre, formulato dalla sent. n. 142 del 1980 in riferimento all'indennità di anzianità, ma estensibile anche all'indennità premio di servizio. Da quanto precede non potrebbe che derivare l'illegittimità dell'impugnata disposizione. Alla declaratoria di illegittimità potrebbe sfuggirsi soltanto interpretando l'art. 3 della l. n. 299 del 1980 in modo diverso da quello prospettato nelle ordinanze di rimessione, ed affermando - come sembrerebbe, a giudizio delle parti private corretto - la natura formale del rinvio alla l. n. 91 del 1977, ivi operato.
4.2. - Osserva, a sua volta, la difesa della sig.ra Balice Alfonsina, che la natura formale del rinvio contenuto nell'impugnata disposizione sarebbe dimostrata dall'intera vicenda normativa che ha condotto all'inserimento dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennità premio di servizio. Interesserebbe, comunque, soprattutto rilevare che il legislatore del 1980 ha inteso equiparare i dipendenti degli enti locali ai dipendenti privati, confermando anche per i primi il "blocco" operato nel 1977. Con ciò però sottintendendo che qualunque variazione del trattamento dei dipendenti privati, non avrebbe potuto non ripercuotersi anche su quello dei dipendenti degli enti locali. Aderisce pertanto la parte privata alla interpretazione prospettata da Pret. Bari, 17 luglio (rectius: 4 novembre) 1985 e Trib. Bari, 7 febbraio 1986, che hanno ritenuto formale e non materiale il rinvio di cui all'impugnata disposizione.
A diversamente opinare, non potrebbe non concludersi nel senso della sussistenza di una disparità di trattamento fra dipendenti degli enti locali e dipendenti privati, non giustificabile in ragione della diversa natura dell'indennità di fine rapporto goduta dagli stessi. Da un lato, perché proprio lo stesso legislatore del 1977, dettando per tutti una normativa uniforme, l'avrebbe ritenuta irrilevante; dall'altro, perché sul piano pratico, quanto al trattamento retributivo del lavoratore, detta diversa natura sarebbe priva d'importanza (anche ai fini fiscali: art. 48 d.P.R. n. 597 del 1973).
Quanto, infine, agli effetti distorsivi del "blocco", la parte privata formula rilievi non dissimili da quelli riportati sub n.4.1.
Considerato in diritto
1. - Come esposto in narrativa, tutte le questioni incidentali di legittimità costituzionale sollevate dalle menzionate ordinanze di rimessione hanno ad oggetto l'art. 3 della l. 7 luglio 1980 n. 299. Tutte, altresì, lamentano la mancata ricomprensione nella base retributiva utile per il computo dell'indennità premio di servizio degli incrementi dell'indennità integrativa speciale maturati successivamente al 31 gennaio 1977. Pertanto, benché i parametri invocati - gli artt. 3,36 e 38 Cost. per la più parte delle ordinanze di rimessione; gli artt. 3 e 38 per l'ord. n. 486 del 1985; il solo art. 38 per l'ord. n. 525 del 1985 - siano solo parzialmente coincidenti, le questioni in epigrafe possono essere riunite e decise con unica pronuncia.
2. - Tutti i giudici a quibus partono dal presupposto che la disposizione impugnata non consentirebbe il calcolo, ai fini della determinazione dell'indennità premio di servizio, degli incrementi dell'indennità integrativa speciale maturati successivamente al 31 gennaio 1977. Tanto, invero, sarebbe precluso, da un lato, da ciò che tale disposizione prevede l'assoggettamento a contribuzione (e parallelamente il calcolo nell'indennità premio di servizio) della indennità integrativa speciale, soltanto "nella misura massima prevista dall'art. 1 della legge 31 marzo 1977 n. 91". Dall'altro, da ciò che detto articolo, a sua volta, dispone che per "tutte le forme di indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita comunque denominate e da qualsiasi fonte disciplinate" debbano essere esclusi gli "ulteriori aumenti dell'indennità di contingenza e di emolumenti aventi analoga natura, scattati posteriormente al 31 gennaio 1977".
Tutti i giudici, ancora, ritengono che su tale situazione normativa non abbia esplicato alcun utile effetto - per quanto qui interessa - l'art. 4, nono comma, della l. 29 maggio 1982 n. 297, che ha abrogato il cit. art. 1 della l. n. 91 del 1977. Il rinvio operato dal precetto impugnato a tale ultima disposizione, infatti, dovrebbe considerarsi non già formale ma materiale, e tale quindi da lasciare la norma rinviante insensibile alle vicende di quella oggetto del rinvio.
In conseguenza di ciò, le autorità rimettenti lamentano ora la disparità di trattamento fra dipendenti pubblici iscritti all'INADEL e dipendenti privati (che, al contrario dei primi, potrebbero percepire una indennità di fine rapporto comprensiva di tutta l'indennità di contingenza sinora maturata); ora la disparità di trattamento fra dipendenti pubblici iscritti o non iscritti all'INADEL (i quali ultimi, per taluno dei giudicanti, godrebbero integralmente del beneficio pro parte negato ai primi); ora la inidoneità del trattamento di fine rapporto dei dipendenti iscritti all'INADEL - per come limitato dalla disposizione impugnata - ad assolvere adeguata funzione previdenziale; ora, infine, la violazione del principio di proporzionalità fra retribuzione in costanza del rapporto di servizio che sarebbe da ritenere commisurata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e trattamenti erogati alla fine dello stesso, che dalla stessa quantità e qualità del lavoro prestato finirebbero invece per essere sganciati.
3. - All'esame dei dubbi di legittimità costituzionale così prospettati, questa Corte potrebbe utilmente volgersi soltanto qualora il presupposto interpretativo nel quale si radicano si dimostrasse esatto. Erronea, invece, va ritenuta la lettura che del (pur non perspicuo, invero) dettato normativo viene offerta dai giudici rimettenti.
Va innanzitutto premesso che la giurisprudenza appare divisa e perplessa sulla interpretazione della disposizione impugnata. Ciò - ed é quanto qui soprattutto interessa - particolarmente in riferimento alla natura del rinvio operato dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980 all'art. 1 della l. n. 91 del 1977, ritenuto talora formale, tal altra - come vorrebbero appunto le ordinanze di rimessione - materiale. Decisivo, a tal proposito, appare l'esame dell'intenzione del legislatore. Perché questa possa ricostruirsi, non é necessario soffermarsi sulla questione, pur assai discussa in giurisprudenza, degli effetti della disposizione impugnata, che per taluni si ridurrebbero alla mera ricognizione dell'esistente, confermando un diritto all'inclusione dell'indennità integrativa speciale nell'indennità premio di servizio che sarebbe già spettato sulla scorta della normativa pregressa, e per altri consisterebbero invece nella attribuzione per la prima volta del beneficio. Infatti, vuoi che il diritto di che trattasi sia stato meramente confermato, vuoi che sia stato invece attribuito ex novo, ciò che conta é che l'intervento del legislatore non si é limitato al solo profilo della inclusione dell'indennità integrativa speciale nella indennità premio di servizio, ma ha toccato anche il diverso aspetto dei confini entro i quali detta inclusione poteva essere operata. Confini, questi, che certo non casualmente sono quelli già identificati dalla l. n. 91 del 1977: l'intento del legislatore, infatti, é stato palesemente quello di omogeneizzare, quanto al limite temporale fissato all'inclusione della indennità integrativa speciale nell'indennità di fine rapporto, il trattamento dei dipendenti iscritti all'INADEL e quello degli altri lavoratori, interessati dalla normativa del 1977, entro una logica sostanzialmente perequatrice delle diverse situazioni in giuoco. Proprio il ricorso allo strumento del rinvio, che pur non varrebbe da solo a sostenerla, vale allora, assieme a quanto ora precisato, a confermare tale logica. Il legislatore, infatti, si é servito del rinvio, proprio perché voleva evidenziare l'intento perequativo, agganciando la disciplina di una categoria di lavoratori a quella prevista per altre. Certo, va precisato che la logica perequatrice così ricostruita non si estende a tutto il trattamento di fine rapporto dei dipendenti iscritti all'INADEL da un lato e degli altri lavoratori interessati dalla normativa del 1977 dall'altro, ma si restringe al solo profilo del limite temporale alla computabilità dell'indennità integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto. Entro questi limiti, tuttavia, l'intento del legislatore reclama d'essere portato a compiuto effetto, senza che inadeguate interpretazioni delle disposizioni dettate per realizzarlo possano comprometterlo.
Orbene, posta la questione in tali termini, non può non ritenersi che la definizione come materiale del rinvio contenuto nella disposizione impugnata possa giungere appunto ad impedire l'effettivo inveramento della intentio legis. Una lettura statica e non dinamica di quel rinvio, infatti, impedisce alla disciplina della indennità premio di servizio di adattarsi agli eventuali mutamenti della disciplina dei rapporti nei confronti dei quali il legislatore aveva inteso raggiungere (sia pure, va ribadito, nei limiti indicati) una reale perequazione. D'altro canto, l'interpretazione qui rigettata pare essere la meno idonea ad assicurare una reale ed integrale corrispondenza della normativa impugnata ai principi fissati dai parametri costituzionali che reggono la materia in oggetto, ed in particolare a quello della capacità dei trattamenti economici di fine rapporto che abbiano funzione previdenziale, di assolvere adeguatamente alle finalità che sono loro proprie. Né va dimenticato che il limite temporale recepito dalla disposizione impugnata in virtù del meccanismo del rinvio, era contenuto in una normativa segnata ab origine da un carattere tipicamente emergenziale e contingente (v. sent. n. 142 del 1980), che lascia senza giustificazione quindi la sopravvivenza di quella stessa normativa una volta che si siano esaurite le specifiche ragioni della sua adozione.
4. - La raggiunta conclusione sulla natura formale del rinvio del quale é discorso, conduce evidentemente a rigettare il corollario dell'opposta tesi: l'ininfluenza, sulla indennità premio di servizio, della entrata in vigore della l. n. 297 del 1982. Tutt'al contrario, l'abrogazione espressa della normativa del 1977 non può non riflettersi anche sugli effettivi contenuti normativi della disposizione impugnata. Non più operante va perciò ritenuto, in seguito a detta abrogazione, il limite temporale di cui all'art. 1 della l. n. 91 del 1977, recepito originariamente dall'art. 3 della l. n. 299 del 1980.
La piena applicabilità, per la parte che qui interessa, della riforma del 1982 alle indennità premio di servizio erogate dall'INADEL, del resto, non é certo preclusa - come invece vorrebbe il Pretore di Genova - dall'art. 4, sesto comma, della stessa l. n. 297 del 1982, atenor del quale "resta... ferma la disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici". Tale disposizione, invero, se impedisce l'integrale omogeneizzazione del trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici e di quelli privati, non può tuttavia impedire che gli effetti della riforma del 1982 si estendano anche ai dipendenti pubblici qualora un collegamento con la normativa riguardante i dipendenti privati sia già stato in precedenza voluto e disposto dal legislatore: ed é quanto precisamente accade, limitatamente al profilo indicato, nel caso di specie.
Né, come invece ancora osserva il Pretore di Genova, potrebbe farsi leva sull'art. 5 della l. n. 297 del 1982, che ha disposto il recupero dei punti di contingenza congelati dalla l. n. 91 del 1977, ma solo a scadenze prefissate e con una ben precisa gradualità. Non vale infatti obiettare, come fa il Pretore, che la definizione come formale del rinvio operato dalla norma impugnata indurrebbe ulteriori disparità di trattamento, stavolta in danno dei dipendenti privati, che si produrrebbero in forza dell'assenza di qualunque graduazione nel recupero dei punti di indennità integrativa speciale spettanti ai dipendenti pubblici iscritti all'INADEL. La disparità che deriverebbe dall'eventuale riconoscimento in sede amministrativa o giudiziale del diritto al recupero dei punti "congelati", quand'anche si producesse, deriverebbe non già da un vizio proprio della normativa impugnata per come qui interpretata, ma da un semplice elemento di fatto, privo di rilievo in sede di giudizio di legittimità costituzionale delle leggi: l'ormai avvenuto decorso dei termini utili per il gradato recupero dei punti "congelati", per come disposto dall'art. 5, secondo comma, 1. n. 297 del 1982. Fatto, questo, che non può evidentemente esplicare alcuna influenza nei confronti del solo problema che qui interessa, quello cioé della persistenza o meno, anche successivamente alla riforma del 1982, del limite temporale di cui alla l. n. 91 del 1977.
L'affermata recezione, in forza del rinvio formale operato dalla norma impugnata, degli effetti abrogativi prodotti, nei sensi prima precisati, dalla l. n. 297 del 1982, rende pertanto inutile l'esame, da parte di questa Corte, dei singoli dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalle autorità giurisdizionali rimettenti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 7 luglio 1980 n. 299, sollevata dal Pretore di Roma in riferimento agli artt. 3,36 e 38 Cost., ancora dal Pretore di Roma in riferimento all'art. 38 Cost. e dal Pretore di Genova in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con ordinanze, rispettivamente, 9 aprile 1985 (nn. 362 e 363 r.o. 1985), 30 marzo 1985 (n. 364 r.o. 1985), 14 maggio 1985 (n. 524 r.o. 1985), 22 aprile 1985 (n. 550 r.o. 1985),30 maggio 1985 (nn. 557 e 558 r.o. 1985); 10 aprile 1985 (n. 525 r.o. 1985); 18 marzo 1985 (n. 486 r.o. 1985).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1986.
Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 18 novembre 1986.