Sentenza n. 176 del 1986

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SENTENZA N. 176

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma primo, della legge 15 luglio 1966 n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1984 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Nalin Adolfo contro Insirilli Angelo, iscritta al n. 538 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 bis dell'anno 1985;

udito nella camera di consiglio del 23 aprile 1986 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

Con lettera raccomandata dell'1 agosto 1981 il Centro Studi "Aleardo Aleardi" di Verona comunicava il licenziamento al Prof. Insirilli Angelo e successivamente, su richiesta dell'interessato, ne indicava, per iscritto, il motivo nell'avvenuto compimento, da parte di quest'ultimo, del sessantacinquesimo anno di età.

Impugnato giudizialmente il licenziamento, l'Insirilli ne otteneva l'annullamento ad opera del Pretore, che lo riteneva ingiustificato e conseguentemente condannava il suddetto centro studi a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno. Queste statuizioni venivano confermate dal Tribunale di Verona, in grado di appello.

Nel susseguente giudizio di Cassazione, l'adita Corte, con ordinanza emessa il 27 marzo 1984 (R.O. n. 538/85), sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge 15 luglio 1966 n. 604, nel testo emendato con la sentenza di questa Corte 14 luglio 1971 n. 174 e nella parte in cui, in contrasto con gli artt. 3, 4 e 38 Cost., esclude, nei riguardi dei prestatori di lavoro ultrasessantacinquenni, non pensionati né in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia, l'applicabilità del divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

Osservava in particolare che:

a) contrariamente a quanto opinato dal giudice di appello, con la menzionata sentenza n. 174/71 questa Corte non ha esteso alla suddetta categoria di lavoratori anziani il divieto di licenziamento ingiustificato, ma soltanto le garanzie di cui agli artt. 2 (forma scritta del licenziamento e comunicazione, se richiesta, dei motivi) e 5 (assoggettamento del datore di lavoro all'onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo) della legge n. 604/66: e ciò al fine di una più puntuale tutela di tali lavoratori rispetto all'eventualità di licenziamenti determinati da motivi illeciti e colpiti da nullità ai sensi dell'art. 4 della medesima legge, applicabile, a differenza del cennato divieto di cui ai precedenti artt. 1 e 3, anche a detti lavoratori;

b) l'effetto di questa parziale declaratoria di illegittimità costituzionale implica, dunque, soltanto che, da un lato, il lavoratore ultrasessantacinquenne ha diritto alla osservanza della ricordata disciplina formale del licenziamento e, dall'altro lato, in caso di impugnazione giudiziale di questo, proposta per asserita violazione dell'art. 4 della legge n. 604 del 1966, il datore di lavoro é onerato della prova indiretta contraria e cioé della dimostrazione della effettiva sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo eventualmente addotto: fermo restando, poi, che in caso di fallimento di tale Frova non sarebbe dato ricavarne de iure la conseguenza della sussistenza di un motivo illecito ex art. 4 cit., la cui dimostrazione é onere, invero e pur sempre, del lavoratore, secondo i princìpi generali, non diversamente dal caso in cui il datore di lavoro nessun'altra giustificazione adduca se non quella dell'avvenuto superamento del sessantacinquesimo anno;

c) di qui la rilevanza della proposta questione: nella fattispecie l'impugnazione del licenziamento, concernente il solo aspetto della carenza di giusta causa o di giustificato motivo, dovrebbe essere respinta alla stregua degli esposti princìpi, pacifico essendo, per il resto, che l'impugnante aveva superato l'età limite per l'applicazione delle garanzie di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 604/66, che era impiegato alle dipendenze di un datore di lavoro con più di trentacinque dipendenti e che non vi era questione di nullità ex art. 4 stessa legge: solo l'accoglimento della pregiudiziale questione di costituzionalità potrebbe, perciò, condurre ad un diverso esito della lite;

d) la non manifesta infondatezza della questione discende in primo luogo dal rilievo che la norma censurata crea, soltanto alla stregua dell'età e, pertanto, irragionevolmente una discriminazione fra lavoratori che versano nella comune condizione di carenza del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia: soltanto per taluni di essi, invero, ed a cagione del solo superamento del sessantacinquesimo anno, resta esclusa la applicabilità del divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, accompagnandosi poi a siffatta violazione del principio di uguaglianza anche quella del diritto al lavoro sancito nell'art. 4 Cost., come ineluttabile conseguenza della carenza di tutela della stabilità del posto di lavoro, implicata dal superamento suddetto;

e) mentre l'esclusione di questa tutela nei confronti dei lavoratori aventi diritto alla pensione di vecchiaia risponde ad una ragionevole scelta del legislatore, poiché riguarda coloro che, in caso di licenziamento, non rimangono "senza retribuzione e senza trattamento di quiescenza" (sent. n. 174/ 71 cit.), non altrettanto può dirsi per i lavoratori ultrasessantacinquenni privi di identico diritto, poiché qui é proprio il difetto di tale presupposto che induce a negare la ragionevolezza della estensione, anche a questi ultimi, della medesima esclusione;

f) questa stessa Corte, inoltre, ha rilevato che la semplice maggior probabilità che tali lavoratori siano inidonei al lavoro a causa dell'età avanzata non può essere assunta a valida e sufficiente giustificazione di un trattamento differenziato in loro pregiudizio. Ed a tale considerazione va aggiunta l'altra che detta probabilità, ove concretamente avveratasi, non precluderebbe al datore di lavoro, in ipotesi tenuto all'osservanza del divieto de quo anche nei confronti di lavoratori ultrasessantacinquenni, la possibilità di avviare opportuni accertamenti al riguardo, nelle forme dell'art. 5 della legge n. 300/70, al fine di comminare un licenziamento per giustificato motivo;

g) infine, l'avere accomunato nell'identica esclusione della operatività del divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo sia i lavoratori con diritto a pensione che quelli ultrasessantacinquenni privi di tale diritto comporta ulteriori discriminazioni in danno dei secondi perché comporta per loro l'impossibilità di conseguire il suddetto trattamento di quiescenza, con la correlata violazione anche dell'art. 38 Cost..

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata con la Gazzetta Ufficiale del 18 dicembre 1985 n. 297 bis.

Nessuno si é costituito.

Considerato in diritto

1. - La Corte di Cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge 15 luglio 1966 n. 604, nel testo emendato con la sentenza di questa Corte del 15 luglio 1971 n. 174, nella parte in cui esclude l'applicazione del divieto di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, ai lavoratori che hanno compiuto il sessantacinquesimo anno di età e non siano pensionati o non in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia.

Ha osservato che, con la detta sentenza n. 174/71, questa Corte ha esteso a tali lavoratori solo le garanzie di cui agli artt. 2 (cioé la necessità della forma scritta del licenziamento e la comunicazione, se richiesta, dei motivi) e 5 (onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo a carico del datore di lavoro) della citata legge n. 604/66, al fine di una loro più puntuale tutela, nell'ipotesi di licenziamenti determinati da motivi illeciti o da ragioni di credo politico o fede religiosa, anziché il divieto più generale di cui agli artt. 1 (necessità di giusta causa a fondamento del licenziamento del prestatore di lavoro ai sensi dell'art. 2119 cod. civ. o di un giustificato motivo) e 3 (sussistenza di un giustificato motivo determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro o al regolare funzionamento di essa).

Ed ha riferito il sollevato dubbio di legittimità costituzionale agli artt. 3, 4, 38 Cost. rilevando: a) che sussiste discriminazione ingiustificata ed irrazionale tra lavoratori ultrasessantacinquenni che hanno diritto alla pensione di vecchiaia e lavoratori che non l'hanno ancora conseguito e sono perciò soggetti a licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo solo per avere raggiunto la detta età;

b) che si verifica violazione del diritto al lavoro perché i detti lavoratori subiscono la perdita delle garanzie di stabilità del posto di lavoro solo per la suddetta ragione;

c) che la sopravvenuta carenza di stabilità si risolve in una remora all'acquisizione del diritto al trattamento di quiescenza da parte di soggetti che ne sono ancora privi.

La Corteremittente ha aggiunto che la scelta del legislatore é ragionevole quando cade su coloro che, in caso di licenziamento, non restano senza retribuzione e senza trattamento di quiescenza (conforme sent. Corte Cost. n. 174/71) ma non lo é quando cade su lavoratori che sono licenziati solo per avere raggiunto i 65 anni di età, tanto più che non é precluso al datore di lavoro di fare accertare, nelle forme di cui all'art. 5 legge n. 300 del 1970, la sussistenza della loro inidoneità alla continuazione della prestazione di lavoro, conseguente al raggiungimento della detta età e concretante una giusta causa o un giustificato motivo di recesso, mentre agli stessi lavoratori dovrebbe essere garantito, in ogni caso, il conseguimento del trattamento di quiescenza.

2. - La questione é fondata.

Questa Corte, nella sentenza n. 174/71 con la quale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della norma, ora di nuovo denunciata, in una fattispecie relativa a lavoratori ultrasessantacinquenni, licenziati per motivi politici, religiosi o sindacali, senza la comunicazione scritta del licenziamento e senza l'indicazione dei detti motivi, necessaria ai fini della contestazione (artt. 2 e 5 della legge n. 604/66), ha formulato dei princìpi che fondano anche la decisione della questione, ora sottoposta al suo esame, la quale concerne la più generale ipotesi di lavoratori licenziati solo per avere raggiunto il sessantacinquesimo anno d'età, senza avere diritto a pensione o avere conseguito le condizioni necessarie, previste dal legislatore per il conseguimento della pensione di vecchiaia e l'applicabilità ad essi degli artt. 1 e 3 della legge n. 604/66.

La Corte ritenne allora, ed ora non ha ragione di non ribadire, che non potevano essere considerati sullo stesso piano lavoratori che fossero in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia e lavoratori che avevano comunque superato il sessantacinquesimo anno d'età senza diritto a pensione e che sarebbero esposti alla perdita della retribuzione senza trattamento di quiescenza per vecchiaia; che, oltre a sussistere disparità di trattamento tra le due categorie di lavoratori, non risultava attuata in concreto, per la seconda categoria, la tutela del diritto al lavoro nei modi e nei limiti costituzionalmente garantiti.

Aggiunse che non ricorrevano particolari ragioni perché a quei lavoratori venisse negato o non egualmente riconosciuto il diritto a determinate garanzie; che non poteva essere desunta a valida e sufficiente ragione del trattamento differenziato la semplice maggiore probabilità che, in quanto anziani, quei lavoratori non si trovassero nelle migliori condizioni per il normale dispiegamento delle energie fisiche e psichiche in favore del datore di lavoro e che questi, correlativamente, attraverso la loro collaborazione, non conseguisse il regolare adempimento delle obbligazioni contrattuali e di legge, oppure il normale apporto all'esercizio dell'impresa.

3. - Le suddette ragioni trovano oggi un maggior fondamento perché la durata della vita media si é prolungata, mentre l'introduzione nelle fabbriche e, in genere, nelle imprese, di macchine di varie specie ha reso il lavoro meno usurante.

Sicché devesi ritenere che non possono essere negate, per il solo fatto dell'età, quelle cautele e quelle garanzie che sono informate al rispetto della personalità umana e che costituiscono altresì indici del valore spettante al lavoro nella moderna società.

Pertanto, anche al lavoratore anziano (cioé ultrasessantacinquenne) va riconosciuta la medesima tutela che é accordata agli altri lavoratori. Per essi non opera il recesso ad nutum del datore di lavoro solo per il raggiungimento della detta età, ma il loro licenziamento deve trovare ragione in una giusta causa o in un giustificato motivo, dati gli artt. 1 e 3 della legge n. 604/66.

Inoltre, essi devono ricevere dal datore di lavoro la comunicazione scritta del licenziamento con l'indicazione dei motivi, se richiesta entro il termine di legge, mentre l'onere della prova della sussistenza del motivo é a carico del datore di lavoro (artt. 2 e 5 legge n. 604/66).

L'inidoneità fisica, conseguente all'età, che impedisca la continuazione della prestazione della sua opera a favore del datore di lavoro in adempimento delle obbligazioni contrattuali o di legge o il normale apporto all'esercizio dell'impresa può concretare un giusto motivo del licenziamento del lavoratore ma essa non può essere solo presunta per l'età (di oltre 65 anni) ma deve essere provata ed il datore di lavoro può anche farla accertare con i mezzi e le modalità di cui all'art. 5 della legge n. 300/70.

La Corteribadisce anche (sent. n. 174/71) che la norma denunciata risulta in contrasto con l'art. 4 Cost. ove si consideri che la tutela del diritto al lavoro é strettamente connessa all'attuazione del principio di uguaglianza innanzi affermata.

E conferma poi l'interpretazione del detto art. 4 Cost., secondo cui al cittadino non sono garantiti il diritto al conseguimento di un'occupazione ed il diritto alla conservazione del posto di lavoro ma, ove siano previsti i casi, i tempi ed i modi dei licenziamenti, la disciplina, per essere conforme alla Costituzione deve rispecchiare l'esigenza di un trattamento giuridico eguale per situazioni eguali ed, in relazione ad esse, può essere diversificato solo in presenza di giustificate ragioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge 15 luglio 1966 n. 604 (contenente norme sui licenziamenti individuali) nella parte in cui esclude l'applicabilità degli artt. 1 e 3 della stessa legge nei riguardi di prestatori di lavoro che, senza essere pensionati o in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia, abbiano superato il sessantacinquesimo anno di età.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.