Sentenza n. 116 del 1986

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SENTENZA N. 116

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) nel testo modificato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 novembre 1979 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Matera, sul ricorso proposto da Giannasio Luigi iscritta al n. 567 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 dell'anno 1980;

2) ordinanza emessa il 19 dicembre 1980 dalla Commissione tributaria di primo grado di Rovigo, sul ricorso proposto da Zerbinati Giancarlo iscritta al n. 239 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 144 dell'anno 1981.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 13 novembre 1979 (n. 567 R.O. 1980) la Commissione tributaria di secondo grado di Matera ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24 (recte art. 58, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 come sostituito dall'art. 1 d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24), in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Nell'ordinanza si espone che la Commissione in data 3 dicembre 1977 aveva già sollevato tale questione di legittimità dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ma la Corte costituzionale (con ordinanza n. 22 dell'anno 1979), prendendo atto che medio tempore era entrata in vigore la normativa dettata con d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, aveva rinviato gli atti per un riesame della rilevanza.

Il Collegio a quo sottolinea che con la propria precedente ordinanza aveva dedotto il contrasto con il principio di eguaglianza, dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto tale norma prevedeva la possibilità di definizione della vertenza tributaria soltanto con riferimento alle "violazioni constatate in occasione degli accessi, verifiche o indagini, ai sensi dell'art. 52", e non anche nella ipotesi in cui le violazioni fossero state constatate a seguito di controllo formale da parte dell'Ufficio. In tale ordinanza si era dedotto che per due fattispecie, obiettivamente identiche, il legislatore aveva previsto un trattamento differenziato, conseguentemente ponendo in una situazione deteriore il contribuente la cui violazione fosse stata accertata attraverso controllo formale, dato che per detto contribuente veniva sostanzialmente negata la possibilità di evitare la irrogazione della sanzione.

Il sopra delineato sospetto di incostituzionalità, a parere della Commissione tributaria di Matera, persiste anche a seguito dell'entrata in vigore del nuovo testo di legge (introdotto dal d.P.R. n. 24 del 1979) in quanto la nuova formulazione dell'art. 58, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, non dirime il contrasto dato che, nel momento in cui prevede che la controversia possa essere definita con il versamento del sesto della pena massima "nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di constatazione della violazione", altro non fa che rinviare all'art. 52 stesso d.P.R. rimasto immutato, nel cui sesto comma si parla appunto di "processo verbale". Rimarrebbe, quindi, la impossibilità della definizione della vertenza, con le forme indicate, nel caso in cui l'accertamento della violazione scaturisca da controllo formale, nonostante che l'art. 15 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, preveda, in via generale, per ogni forma di violazione delle leggi finanziarie, l'oblazione mediante il pagamento di una somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria.

2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata in quanto sollevata sulla base di una erronea interpretazione della normativa che regola la materia.

La norma dell'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972, sia nella iniziale come nella nuova formulazione, non disciplinerebbe l'istituto della oblazione, che estingue la obbligazione relativa alla pena pecuniaria già irrogata, ma disporrebbe soltanto in ordine alla irrogazione delle sanzioni, rendendo possibile, con la norma del quarto comma, impedire in via preventiva tale irrogazione qualora "nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di constatazione della violazione sia stata versata all'ufficio una somma pari ad un sesto del massimo della pena".

Secondo l'Avvocatura, ricorrerebbe sempre la possibilità dell'oblazione ai sensi dell'art. 15 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, ove la conciliazione in via amministrativa delle violazioni delle norme delle leggi finanziarie per cui é stabilita la pena pecuniaria, mediante il pagamento di una somma pari al sesto del massimo della pena, é prevista in via generale, purché eseguita nel termine di 15 giorni dalla notifica del verbale di accertamento.

3. - Con ordinanza in data 19 dicembre 1980 (n. 239 R.O. 1981) la Commissione tributaria di primo grado di Rovigo - che aveva anch'essa già posto questione analoga alla precedente e a seguito di restituzione degli atti alla stessa da parte di questa Corte (ord. n. 129 del 1979) - ha sollevato nuovamente questione di legittimità dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, modificato dagli artt. 1 e 3, quarto comma, del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, in quanto limita la possibilità di versamento di un sesto del massimo della pena pecuniaria alle sole violazioni riscontrate con verbale di constatazione", ponendosi così in contrasto con l'art. 3 Cost..

Nell'ordinanza si osserva che anche dalla nuova normativa deriva una ingiustificata disparità di trattamento fra i contribuenti, nei confronti dei quali viene redatto il verbale di constatazione della violazione, e quegli altri, ai quali é notificato avviso di accertamento o di rettifica a seguito della dichiarazione spontaneamente presentata, con la comunicazione della irrogazione delle sanzioni.

Considerato in diritto

1. - La questione, sollevata con le due ordinanze in epigrafe, é prospettata in termini sostanzialmente analoghi; pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con una unica sentenza.

2. - L'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 nel testo sostituito dall'art. 1 del successivo d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, consente, in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e per il caso di violazioni da parte del contribuente, di evitare la irrogazione della pena pecuniaria mediante il versamento di una somma pari al sesto del massimo della pena medesima.

Ciò a condizione che in tali sensi si provveda nel termine di giorni trenta dalla data del "verbale di constatazione" della violazione.

Secondo i giudici a quibus il disposto contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione (per la Commissione tributaria di Matera anche con l'art. 53), per una disparità di trattamento fra i contribuenti oggetto di controllo cartolare e segnatamente quelli che avessero a presentare, spontaneamente, una rettifica di precedente dichiarazione del tributo (sono queste le fattispecie dedotte) e coloro i quali fossero oggetto, invece, di esplicita constatazione.

3. - La questione non é fondata.

Per l'Avvocatura generale dello Stato, che ha dispiegato intervento, tale infondatezza discenderebbe dal disposto dell'art. 15, primo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) là dove ed in via generale appunto resta consentito ai trasgressori per violazione, comunque, delle norme finanziarie di corrispondere, con effetti liberatori, il sesto della pena pecuniaria relativa.

Tale asserto, tuttavia, non ha pregio poiché - a ciò confortando anche la giurisprudenza tributaria - l'art. 58, quarto comma, del d.P.R. n. 633 (così come ora sostituito, ma di ciò si dirà in appresso) ha introdotto un istituto assolutamente diverso dalla definizione in via breve prevista dal richiamato art. 15 della legge n. 4/1929, in quanto consente di determinare, con effetti estintivi della sola pena pecuniaria, il mero aspetto sanzionatorio delle violazioni, escludendosi, per intanto, il contestuale pagamento del tributo, così come richiesto invece dalla legge del 1929 con tutte le conseguenze a ciò inerenti.

4. - Per una corretta disamina della questione qui considerata - limitata come si é espresso alla estinzione della pena pecuniaria e fuori, pertanto, dalla portata della legge n. 4 del 1929 - va chiarito che la dizione originaria dell'art. 58 circoscriveva la facoltà dei versamenti estintivi in parola ai soli casi relativi ad accessi, verifiche o indagini dell'Autorità finanziaria, attività tutte correlate per principio generale (art. 24 legge n. 4), ancor prima che in forza dell'art. 52, comma sesto, d.P.R. n. 633, al puntuale rigore di redazione del processo verbale delle operazioni accertative conseguenti.

All'incontro, la nuova normativa (art. 1 del d.P.R. n. 24 del 1979) pone in luce un contenuto più ampio rispetto alla primitiva norma, dalla quale sono stati chiaramente espunti gli ambiti iniziali, strettamente connessi, come detto, ad un accertamento specifico - mediante accessi, verifiche o indagini - delle perpetrate violazioni.

Consegue, e anche qui sorregge in parte la giurisprudenza tributaria, che la lata dizione "verbale di constatazione", se e quando svincolata dalle richiamate formalità del procedimento ispettivo in contradittorio ex art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 (suscettibile addirittura di operazioni necessitanti di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria), consente di esser riportata, a seconda delle ipotesi che abbiano in concreto a ricorrere, alla più generale nozione di "atto ufficiale" di constatazione: con una flessibile equipollenza, cioé, fra documenti, pur sempre ufficiali quanto a origine e sostanza, che abbiano tuttavia, allorché inerenti a fattispecie radicate su di un mero controllo cartolare, a trovare loro spiegazione funzionale e correlato senso tecnico nello svolgersi di situazioni concrete pur diverse, ma riconducibili onnicomprensivamente alla ratio di legge, ostativa comunque, ricorrendo la certezza documentale ai fini del versamento in termini, alle irrogande sanzioni pecuniarie.

Il che comporta, indubbiamente la collocazione paritaria delle varie situazioni, per gli scopi di cui é causa, non potendosi, pertanto, ravvisare inciso dalla norma l'art. 3 della Costituzione (e meno ancora il successivo art. 53, sul quale - peraltro - la relativa ordinanza non ha portato argomentazione di sorta).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi (ordinanze n. 567/1980 e 239/1981);

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) nel testo modificato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO - Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 30 aprile 1986.