SENTENZA N. 73
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. LIVIO PALADIN, Presidente
Prof. ANTONIO LA PERGOLA
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI
Prof. GIUSEPPE FERRARI
Dott. FRANCESCO SAJA
Prof. GIOVANNI CONSO
Prof. ETTORE GALLO
Dott. ALDO CORASANITI
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO
Dott. FRANCESCO GRECO
Prof. RENATO DELL'ANDRO
Prof. GABRIELE PESCATORE, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 99 r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745 (Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie) e successive modificazioni, promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 1978 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione di Grazia e Giustizia e Cuscona Maria, iscritta al n. 482 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 dell'anno 1979.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino.
Ritenuto in fatto:
- - Con ordinanza emessa il 30 marzo 1978, nel procedimento civile tra l'amministrazione di Grazia e Giustizia e Cuscona Maria, il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745 e successive modificazioni, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Osserva l'ordinanza che la normativa predetta ha autorizzato l'assunzione di personale di cancelleria per l'esclusiva adibizione al lavoro di copiatura, disponendo i relativi compensi con una quota dei proventi di cancelleria. Per tale tipo di rapporto, conservato in vigore fino al 31 dicembre 1972, anche dopo l'istituzione, cioè, del ruolo del personale di dattilografia (art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1444), varie norme di legge hanno determinato, da un lato, la misura del compenso (nel periodo per cui è causa, l'art. 3 della legge 28 luglio 1960, n. 777 e l'art. 3 della legge 20 dicembre 1962, n. 1719) ed hanno precisato, dall'altro, che l'assunzione poteva comportare un rapporto protraentesi nel tempo, senza soluzione di continuità. Ciò premesso, il Tribunale ritiene di dover prospettare il dubbio di costituzionalità della citata norma di legge e successive modificazioni le quali, regolando un rapporto di lavoro che, nella sua concreta attuazione, potrebbe essersi atteggiato quale rapporto di lavoro subordinato, non hanno previsto, a favore del prestatore, il riconoscimento di istituti propri di tale tipo di rapporto, con violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Sotto il primo profilo, l'ordinanza evidenzia particolarmente la disparità di trattamento fra il personale assunto ex art. 99 e il personale di ruolo dal quale esso verrebbe esplicitamente distinto come non di ruolo (art. 3 della legge 28 luglio 1960, n. 777, art. 3 della legge 20 dicembre 1962, n. 1719, art. 1 della legge 29 dicembre 1966, n. 1196).
Sotto il secondo profilo, considerato che la misura del compenso ebbe a restare invariata a partire dalla l. 20 dicembre 1962, n. 1719, il Tribunale ipotizza la possibile violazione del diritto del lavoratore ad una retribuzione sufficiente, essendo stata essa determinata con un criterio rigido (compenso a facciata), idoneo a ledere, nel tempo, il minimo vitale.
- - Nel giudizio, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 23 gennaio 1979.
Si esclude, ivi, che il rapporto di lavoro degli amanuensi e dattilografi, Così come previsto dalla norma impugnata, sia qualificabile come lavoro subordinato, invocandosi a sostegno della tesi in questione la giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Né può avere rilievo alcuno ai fini di cui si discute, sempre secondo l'Avvocatura, il fatto che, con apposite disposizioni di legge, si sia consentito agli amanuensi in questione l'inquadramento nei ruoli organici del Ministero di Grazia e Giustizia, essendosi ciò effettuato mediante pubblici concorsi (legge 11 aprile 1964, n. 264), con una riserva di posti a favore dei medesimi.
Considerato, infine, quanto alla misura del compenso, che questo, scaturente da apposite previsioni normative, si deve considerare equo in rapporto a quanto corrisposto per prestazioni similari, l'atto d'intervento conclude chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto:
- - Il Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745 e successive modificazioni, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Prevedeva la norma in questione, oggi abrogata, che nelle cancellerie giudiziarie potesse provvedersi ai lavori di copiatura, sotto la responsabilità dei rispettivi dirigenti, mediante dattilografi o amanuensi retribuibili coi proventi della cancelleria.
E il giudice a quo, muovendo dal presupposto che la norma stessa non abbia sufficientemente delineato la natura del relativo rapporto di lavoro, collocandolo cioè, esplicitamente, nell'ambito di una prestazione autonoma ovvero di un rapporto subordinato, deduce che la disciplina legislativa era tale da non escludere che il rapporto medesimo, nel rispetto dei criteri positivamente indicati, potesse svolgersi, in concreta attuazione, anche sotto forma di lavoro subordinato: ovviamente, accedendosi a questa seconda ipotesi, discenderebbe, per l'amanuense, il diritto a percepire compensi propri del lavoratore con vincolo di subordinazione.
- - La questione non è fondata.
Le peculiari caratteristiche della prestazione ipotizzata nell'art. 99 precisato (e nelle disposizioni via via succedutesi ad integrarlo) identificano, con chiara evidenza, la costante, negli intenti legislativi, di disciplinare una attività (quella dell'amanuense) assolutamente priva di qualsivoglia connotazione di dipendenza e, in particolare, di inserimento continuativo del soggetto interessato nell'ambito della organizzazione giudiziaria: tale, in altri termini, se non ricorressero all'incontro gli estremi, da ricondurre il rapporto alla fattispecie tipica della prestazione subordinata.
Significativa, al riguardo, la saltuarietà del lavoro di copia, a seconda delle variabili esigenze dell'ufficio, con la correlata previsione di compensi percentualizzati (art. 3 legge 28 luglio 1960, n. 777 e art. 3 legge 20 dicembre 1962, n. 1719), aventi tratto cioè, in concreto, ai risultati richiesti, e Così forniti, in rapporto alle necessità contingenti.
Conforta in tali sensi l'univoco orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, da lontane pronunce del 1936 ad altre recentissime del 1985, le quali tutte, interpretando la normativa or qui impugnata, ne hanno affermato la inidoneità a rendere configurabile in fattispecie consimili - e là dove queste non avessero, per avventura, debordato dallo schema legale ipotizzato - un rapporto di lavoro subordinato, essendo e restando completamente assenti i requisiti della collaborazione e della subordinazione.
Nessun confronto, in conseguenza, risulta esperibile ex art. 3 Cost. con ipotesi di attività lavorative a carattere subordinato. Né, ancora, possono ravvisarsi in qualche modo vulnerati dalla norma i contenuti dell'art. 36 Cost., per una entità dei compensi presunta non conforme a parametri di equa retribuzione, sembrando bastevole qui ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha ognora ritenuto come, per le prestazioni di lavoro autonomo, di mero risultato cioè, il controllo circa l'osservanza reale del disposto costituzionale non possa essere operato in relazione a singole prestazioni enucleabili dal complesso dell'attività (per tutte, cfr. sentenza n. 36 del 1980).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745 e successive modificazioni, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1986.
F.to: LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI - GIUSEPPE BORZELLINO - FRANCESCO GRECO - RENATO DELL'ANDRO - GABRIELE PESCATORE.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere