Sentenza n.64 del 1986

 

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SENTENZA N. 64

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15, terzo comma, l. 9 ottobre 1971 n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) e 89 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 1977 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra l'impresa di costruzioni Marini Ermenegildo e altri ed il Comune di Padova, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 dell'anno 1978.

Visti gli atti di costituzione dell'Impresa di costruzioni Ing. A. Santinello e del Comune di Padova, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1986 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con citazione del 25 febbraio 1975 l'impresa Marini Ermenegildo ed altre esponevano che il Comune di Padova aveva loro corrisposto il compenso per alcuni contratti d'appalto stipulati dopo il 17 ottobre 1971, decurtato dell'importo corrispondente all'(abolita) imposta generale sull'entrata, in applicazione dell'art. 89 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.

Sostenendo l'illegittimità delle trattenute, le attrici chiedevano che il Tribunale della stessa città condannasse il convenuto al pagamento del relativo ammontare.

Con ordinanza del 14 luglio 1977 (reg. ord. n. 264 del 1978) il Tribunale sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 89 cit. e dell'art. 15, terzo comma, l. 9 ottobre 1971 n. 825, in riferimento all'art. 3 Cost..

L'ordinanza premetteva che nel regime anteriore alla citata legge n. 825 del 1971, contenente la delega al Governo della Repubblica per la riforma tributaria, il contribuente, obbligato al pagamento dell'imposta generale sull'entrata sulle somme percepite quale corrispettivo per le cessioni di beni o per le prestazioni di servizi, aveva facoltà di rivalsa nei confronti del cessionario o dell'utilizzatore. Ne conseguiva che, qualora per legge o per clausola contenuta nei contratti aventi ad oggetto le dette prestazioni o cessioni fosse esclusa la rivalsa, i contraenti di regola pattuivano un aumento del prezzo corrispondente all'ammontare del tributo: il che permetteva al debitore d'imposta di trasferire il carico della medesima sulla controparte.

La sopravvenuta legge n. 825 del 1971 aveva previsto: a) l'istituzione dell'imposta sul valore aggiunto e la contemporanea abolizione dell'imposta generale sull'entrata (art. 1, punto II, lett. a); b) l'obbligo del contribuente di rivalersi dell'imposta nei confronti del cessionario del bene o dell'utilizzatore del servizio (art. 5, n. 7); c) l'entrata in vigore delle disposizioni delegate istitutive dell'i.v.a. e abolitive dell'i.g.e. al 1 gennaio 1972 (art. 17; termine successivamente spostato al 1 luglio 1972 con l. n. 1036 del 1971 ed al 1 gennaio 1973 con l. n. 321 del 1972).

L'art. 15, terzo comma, della stessa legge aveva poi previsto la determinazione di norme per la revisione dei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge medesima (17 ottobre 1971), qualora si fosse ritenuta necessaria una compensazione dell'aumentato o ridotto carico fiscale determinato dall'i.v.a.

In attuazione di quest'ultima previsione il d.P.R. delegato n. 633 del 1972, istitutivo dell'i.v.a., aveva stabilito (art. 89): "i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi da effettuare dopo il 31 dicembre 1972 in dipendenza di contratti conclusi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 9 ottobre 1971 n. 825, per i quali a norma di legge o in virtù di clausola contrattuale era esclusa la rivalsa dell'imposta generale sull'entrata, sono ridotti di un ammontare pari a quello dell'imposta stessa".

Tutto ciò premesso, il collegio rimettente osservava che nel caso di specie i contratti erano stati conclusi dopo l'entrata in vigore della l. n. 825 del 1971, ciò che escludeva l'operatività dell'art. 89 cit. E tuttavia la conclusione dei medesimi era altresl' anteriore all'entrata in vigore del d.P.R. n. 633 del 1972, onde era stato possibile escludere la rivalsa dell'imposta e Così stabilire un compenso aumentato di un ammontare corrispondente all'imposta stessa.

Da questa situazione normativa era conseguito, ad avviso del Tribunale, un ingiusto arricchimento degli appaltatori. E l'ingiustizia, che integrava una violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., era eliminabile solo attraverso una dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 89 cit., in quanto non applicabile ai contratti conclusi dopo il 17 ottobre 1971 e fino all'entrata in vigore del d.P.R. n. 633 del 1972.

La violazione del principio di eguaglianza derivava, secondo il Tribunale, anche dalla disposizione dell'art. 15, terzo comma, l. n. 825 del 1971, in attuazione della quale era stato emanato il più volte citato art. 89, in quanto anch'essa si riferiva ai contratti stipulati prima del 17 ottobre 1971 e lasciava fuori dalla sua previsione quelli conclusi tra l'anzidetta data e quella dell'entrata in vigore del decreto delegato istitutivo dell'i.v.a.

Inoltre - rilevava il collegio - le norme impugnate non avevano distinto tra contratti di diritto privato e contratti stipulati da enti pubblici, come quelli di specie, vincolati ad un particolare procedimento di formazione, tale da impedire al Comune di modificare tempestivamente le clausole di esclusione della rivalsa e di determinazione del prezzo.

2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva chiedendo che le questioni fossero dichiarate non fondate. Infatti la conoscenza dei criteri informatori del nuovo regime dell'i.v.a., chiaramente espressi già nella l. n. 825 del 1971, avrebbe permesso alle parti, che fossero state diligenti ed avvedute, di stipulare i negozi di cessione di beni e di prestazione di servizi evitando ogni ingiusto arricchimento degli appaltatori o dei prestatori di servizi. Né lo speciale iter procedimentale dei contratti posti in essere dalla pubblica amministrazione impediva alla medesima di pervenire alla stipulazione definitiva tenendo conto della nuova normativa.

3. - La non fondatezza delle questioni veniva sostenuta altresì dalle imprese appaltatrici, le quali svolgevano sostanzialmente gli stessi argomenti esposti dalla Presidenza del Consiglio.

Il Comune di Padova, per contro, ripeteva i motivi contenuti nell'ordinanza di rimessione, in un atto di costituzione presentato peraltro fuori termine.

Considerato in diritto

1. - La legge delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971 n. 825, in vigore dal 17 successivo, dopo aver disposto l'istituzione dell'imposta sul valore aggiunto e la correlativa abolizione dell'imposta generale sull'entrata (art. 1, II, sub a), prescrisse per il nuovo tributo l'obbligo, da parte del contribuente, della rivalsa nei confronti del cessionario di beni o dell'utilizzatore di servizi (art. 5, n. 7); rivalsa che, per contro, rispetto all'imposta generale sull'entrata, era soltanto facoltativa (art. 6., primo comma, r.d.l. 9 gennaio 1940 n. 2, conv. in l. 19 giugno 1940 n. 762).

L'art. 15 della cit. l. n. 825/1971, con previsione generale, concernente anche la modificazione testé accennata, statuì che potevano essere emanate norme per la revisione dei contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, qualora fosse necessaria una compensazione dell'aumentato o ridotto carico fiscale determinato dall'imposta sul valore aggiunto. In attuazione di tale norma, il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, istitutivo di detto tributo, dopo aver previsto l'obbligo della rivalsa (art. 10), stabilì nell'art. 89 che i corrispettivi da pagare dopo il 31 dicembre 1972 in dipendenza di contratti conclusi anteriormente alla data di entrata in vigore della cit. legge delega (ossia prima del 17 ottobre 1971), per i quali, a norma di legge o in virtù di una clausola contrattuale, era esclusa la rivalsa dell'imposta generale sull'entrata, venivano ridotti di un ammontare pari a quello dell'imposta stessa.

2. - La restio dell'indicata disciplina é evidente.

Invero, nei casi in cui il trasferimento del tributo era escluso, come la disciplina della imposta generale sull'entrata consentiva, le parti di norma concordavano nei singoli contratti un corrispettivo più elevato, per compensare il soggetto, che cedeva i beni o prestava i servizi, del mancato introito conseguente alla suddetta esclusione. Introdotta la regola dell'obbligatorietà della rivalsa per tutti i corrispettivi da pagare dopo il 31 dicembre 1972 (ossia in coincidenza con l'entrata in vigore del cit. d.P.R. n. 633/1972), pur se relativi a contratti stipulati anteriormente alla legge delega (la quale aveva enunciato il nuovo criterio valevole in subiecta materia), la pattuizione contenuta in detti contratti in ordine al corrispettivo dovuto determinava per il soggetto suindicato un ingiustificato arricchimento, conseguente, da una parte, al compenso maggiorato (per via della esclusione della rivalsa, che prima era possibile) e, dall'altra, al trasferimento del tributo stesso, divenuto obbligatorio in base alla legge sopravvenuta: ne discendeva un'indebita locupletazione che il legislatore, per intuitive ragioni di giustizia fiscale, ha inteso impedire, con il rimedio introdotto dalla ricordata disciplina.

3. - Ciò coglie esattamente il giudice a quo, il quale però lamenta che la riduzione del corrispettivo sia stata dal legislatore limitata ai contratti stipulati anteriormente alla cit. l. n. 825/1971 e non sia stata anche estesa a quelli posti in essere dopo quella data, ma prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 633/1972.

Premesso che l'obbligo della rivalsa, pur se stabilito nella detta legge delega, si ricollega immediatamente al ricordato decreto delegato, lo stesso giudice ritiene che relativamente ai negozi da ultimo indicati (ossia stipulati tra il 17 ottobre 1971 e il 1 gennaio 1973) si verifichi lo stesso inconveniente che il legislatore ha inteso evitare con le cit. disposizioni degli artt. 15 l. 825/1971 e 89 d.P.R. n. 633/1972, sicché la previsione contenuta in tali norme, in quanto limitata - come si é ora ricordato - ai contratti stipulati anteriormente alla legge delega, offenderebbe il principio di eguaglianza sancito nell'art. 3, primo comma, della Costituzione.

4. - La proposta questione non si dimostra fondata, in quanto le due situazioni messe a raffronto non sono eguali ovvero analoghe, ma risultano sensibilmente diverse, sicché la denunciata differenza di disciplina non viola l'invocato parametro costituzionale.

Invero, per i contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della l. n. 825/1971, l'unica normativa vigente era quella concernente l'imposta generale sull'entrata, che, come si é detto, consentiva di escludere la traslazione del tributo: ciò spiega perché il legislatore si é preoccupato di disciplinare quelle situazioni giuridiche che risultavano profondamente alterate per via della sopravvenuta previsione dell'obbligo di rivalsa.

Invece, rispetto ai contratti stipulati successivamente a quella data, la cit. legge 9 ottobre 1971 n. 825 aveva già sancito i criteri aspiratori della nuova imposta sul valore aggiunto, tra cui l'obbligo testé ricordato. Le parti avevano quindi piena consapevolezza della nuova disciplina da applicare anche ai rapporti posti in essere tra la data di entrata in vigore della legge delega e quella del decreto delegato, come si evince dalla sopra riportata disposizione della stessa legge (art. 15); di conseguenza non si ripeteva quella automatica e necessaria alterazione del sinallagma contrattuale, che sta alla base della riduzione del corrispettivo, autoritativamente disposta in maniera generalizzata per i contratti precedenti.

In relazione all'ultimo argomento dell'ordinanza di rimessione, va infine osservato che la natura pubblicistica di uno dei contraenti (nella specie il Comune di Padova), con la conseguente incidenza nel procedimento di formazione dei contratti da esso stipulati, non può avere alcun rilievo; infatti, rispetto ai negozi non ancora conclusi prima del 17 ottobre 1971, ancorché le trattative e l'intero iter procedimentale si fossero svolti sulla base della disciplina precedente, l'ente pubblico, per effetto della sopravvenuta normativa, doveva rifiutare la definitiva stipulazione e attenersi ai criteri dettati dalle nuove disposizioni.

Deve quindi concludersi che, mancando l'identità, o comunque l'analogia tra le due situazioni messe a raffronto, il principio di eguaglianza non é stato invocato a proposito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, terzo comma, l. 9 ottobre 1971 n. 825 e 89 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1986.