Sentenza n.4 del 1986

 

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SENTENZA N. 4

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 70, in relazione all'art. 68 legge 26 luglio 1975, n. 354 ( Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ) promosso con ordinanza emessa il 4 ottobre 1983 dalla Sezione di Sorveglianza di Bologna sull'istanza proposta da Intelligente Vincenzo iscritta al n. 822 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 dell'anno 1984.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 1985 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari.

Ritenuto in fatto

1. - Il 4 ottobre 1983, la sezione di sorveglianza di Bologna teneva udienza nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia per decidere in merito all'istanza di revoca anticipata della misura di sicurezza, proposta da tale Intelligente Vincenzo. Questi, chiamato a rispondere di omicidio continuato per avere cagionato la morte dei propri genitori, era stato riconosciuto non imputabile, dal giudice istruttore presso il Tribunale di Chiavari, per totale incapacità di intendere e di volere, con conseguente applicazione della misura del ricovero nel suddetto manicomio giudiziario per la durata minima di anni dieci, decorrenti dal 23 dicembre 1981 ed aventi termine il 23 dicembre 1991. Senonché, meno di un anno e mezzo dopo il ricovero, l'Intelligente chiedeva la revoca anticipata della misura di sicurezza applicatagli, ed il Presidente della sezione di sorveglianza, acquisita la relazione sanitaria, che ribadiva la pericolosità dell'internato e ne segnalava una riacutizzazione della sintomatologia psichiatrica, fissava la data della prescritta udienza, nel corso della quale l'Intelligente non accennava più menomamente alla istanza di revoca anticipata, limitandosi a chiedere il trasferimento nell'ospedale psichiatrico provinciale di Genova-Quarto. La sezione di sorveglianza si riservava ed emetteva ordinanza (r.o. 822/1984), sollevando d'ufficio, in riferimento all'art. 102, secondo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, in rapporto all'art. 68, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui si configura la sezione di sorveglianza, non come sezione specializzata, ma come giudice speciale.

2. - Premesso che il citato precetto costituzionale ha voluto porre il requisito della sussistenza di un nesso organico fra sezioni specializzate ed organi giudiziari ordinari (secondo quanto ritenuto dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 76 del 1961), il giudice a quo afferma che l'art. 70 della legge n. 354 del 1975, istituendo la sezione di sorveglianza in ciascun distretto di Corte d'appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di Corte d'appello, e non invece presso la Corte d'appello, presti ossequio solo nominale al precetto primario. La norma denunciata avrebbe in realtà costituito un organo autonomo, non legato da alcuna relazione organica o funzionale alla Corte d'appello (né, tantomeno, al Tribunale), il riferimento alla quale sarebbe diretto esclusivamente a definire la coincidenza dell'ambito della competenza territoriale, come sarebbe dato evincere dalla circostanza che, ex art. 68, comma quarto, della stessa legge n. 354 del 1975, l'ufficio di sorveglianza che ha sede nel capoluogo del distretto provvede anche alle spese relative al funzionamento della sezione di sorveglianza.

Del resto - continua l'ordinanza - gli stessi uffici di sorveglianza, presenti in sole 56 sedi secondo circoscrizioni non coincidenti con quelle dei tribunali (tabella A, allegata alla legge citata), sono totalmente autonomi sotto i profili organizzativo, funzionale ed amministrativo rispetto ai tribunali presso i quali sono costituiti. Anche qui l'espressione presso il tribunale, di cui al cit. art. 68, sarebbe priva di significato funzionale e invece diretta ad indicare la mera coincidenza territoriale della sede.

Lo sviluppo della funzione di sorveglianza attraverso l'ampliamento degli spazi dell'intervento giurisdizionale nella fase dell'esecuzione della pena - continua il giudice a quo - non é stato dalla legge del 1975 perseguito, secondo una concezione organica ed unitaria della giurisdizione penale, mediante il potenziamento all'interno dell'organo giudiziario ordinario, il tribunale, dell'ufficio del giudice di sorveglianza (art. 45 dell'ord. giudiziario); bensì con la creazione di un assetto istituzionale nuovo che, costituendo l'ufficio di sorveglianza come organo autonomo totalmente esterno al tribunale e privo di qualsiasi relazione con esso, ha sortito l'effetto di frantumare l'unità della giurisdizione penale.

Gli uffici di sorveglianza costituirebbero invero, anche territorialmente, un ordine speciale separato dagli organi ordinari nell'ambito della Corte d'appello, ove ha sede la sezione di sorveglianza, tuttavia dalla prima totalmente autonoma, secondo quanto riconosciuto anche dal Consiglio superiore della Magistratura con deliberazione in data 8 marzo 1978.

La prassi avrebbe poi accentuato la condizione di totale separazione degli uffici di sorveglianza rispetto agli organi giudiziari ordinari, sovente collocati in diversi edifici, addirittura riconoscendo al magistrato d'appello della sezione di sorveglianza funzioni di vigilanza nei confronti degli altri uffici del distretto e così avallando l'esistenza di un ordine di uffici collaterale e separato dagli organi giudiziari ordinari, in netto contrasto col disposto dell'art. 102, comma secondo, Cost., che inequivocamente postula un rapporto di integrazione organica fra organo giudiziario ordinario e sezione specializzata.

Né varrebbe invocare in contrario il potere di vigilanza o di temporanea destinazione che comunque compete al Presidente della Corte d'appello (ex art. 14, comma secondo, d.l. n. 511 del 1946), ovvero il rapporto funzionale tra uffici di sorveglianza ed organi del pubblico ministero, non sembrando ciò sufficiente per ritenere sussistente quel rapporto di immedesimazione di cui s'é detto. Neppure varrebbe ad inserire la sezione di sorveglianza nel sistema degli organi giudiziari la norma di cui all'art. 71, comma primo, della stessa legge n. 354 del 1975, che non estende la disciplina del procedimento di sorveglianza alla istanza di revoca anticipata della misura di sicurezza, ché, anzi, essendo in materia previsto (ex art. 640 c.p.p.) il ricorso alla Corte d'appello come giudice di secondo grado avverso le decisioni della sezione di sorveglianza, resta definitivamente escluso che la seconda possa riguardarsi come sezione specializzata della prima.

3. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione venga dichiarata infondata, negando che la Sezione di sorveglianza possa essere ritenuta giudice speciale. L'espressione " sezioni specializzate ", di cui all'art. 102 Cost., non esclude invero " moduli organizzativi diversi da quelli previsti nell'ordinamento giudiziario ", ma impone solo un rapporto da genus a species che, sulla scorta degli elementi di identificazione indicati nella sentenza n. 76 del 1961, devono ritenersi ricorrere nella specie (designazione dei componenti da parte del C.S.M.; vigilanza da parte dei capi degli uffici della Magistratura ordinaria; sottoposizione del giudizio alle regole del codice di procedura penale; controllo di legittimità spettante alla Corte di cassazione).

La Sezione di sorveglianza sarebbe dunque assimilabile per alcuni aspetti strutturali al Tribunale per i minorenni, la cui natura di giudice speciale é stata esclusa sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina.

Considerato in diritto

1. - La sezione di sorveglianza di Bologna, reputando che la disciplina instaurata in materia con la riforma di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, peraltro modificata con la legge 12 gennaio 1977, n. 1, le abbia conferito natura di giudice speciale piuttosto che di sezione specializzata, denuncia l'illegittimità della propria costituzione. Ed al riguardo essa dedica larga parte della sua motivazione ai magistrati di sorveglianza.

Si legge, infatti, nell'ordinanza: che questi, " presenti in sole 56 sedi..., sono totalmente autonomi, organizzativamente, funzionalmente, amministrativamente rispetto ai tribunali " presso" i quali sono costituiti "; che in tal senso si pronunciò il Consiglio superiore della magistratura, quando, con deliberazione 8 marzo 1978, " riconobbe sciolto da ogni legame organico l'ufficio di sorveglianza rispetto al tribunale " e " ne riaffermò la completa autonomia funzionale, organizzativa, amministrativa e finanziaria, anche in rapporto al suo carattere policircoscrizionale "; che " l'espressione " presso il tribunale " di cui all'impugnato art. 68 é priva di significato funzionale essendo diretta ad indicare la mera coincidenza della sede, di luogo geograficamente inteso "; che, " mentre prima della riforma le più limitate funzioni del giudice di sorveglianza erano organizzate all'interno dell'organo-tribunale ", con la riforma si é, viceversa, creato " un assetto istituzionale nuovo ", in conseguenza del quale " il giudice di sorveglianza é stato per così dire espulso dal tribunale " e costituito " in autonomo organo totalmente esterno al tribunale "; che " nella prassi in concreto degli uffici di sorveglianza si é vieppiù accentuata la condizione di totale separazione e autonomia rispetto agli organi giudiziari ordinari, anche con sempre più frequenti sistemazioni logistiche in edifici distinti "; che " perciò é stata data vita ad un modello organizzativo - ufficio di sorveglianza - totalmente innovativo, con circoscrizioni pluricircondariali, secondo ritagli geografici talvolta capricciosi, sempre poco funzionali, privi, come si é detto, di rapporti orizzontali con gli organi ordinari-tribunali, ma collegati tra loro ". E " non pare sufficiente " - conclude l'ordinanza sul punto - " a far rientrare nel sistema degli " organi giudiziari ordinari " né il potere di vigilanza del presidente della Corte d'appello..., né il potere di temporanea destinazione - cioé applicazione - affidata allo stesso presidente della Corte d'appello, né, infine, il rapporto funzionale con gli organi del pubblico ministero... ".

2. - Con l'argomentazione testé riportata, il giudice a quo mostra palesemente di dubitare della legittimità costituzionale, non solo della propria costituzione, ma anche degli uffici e dei magistrati di sorveglianza; in definitiva, dubita di alcune fra le innovazioni più qualificanti dell'attuale ordinamento penitenziario. Senonché, l'impugnazione dell'art. 70 " in rapporto " con l'art. 68 non trova, in punto di rilevanza della proposta questione, una plausibile giustificazione, giacché l'art. 70 prevede e disciplina esclusivamente le sezioni di sorveglianza, mentre l'art. 68 prevede e disciplina gli uffici di sorveglianza. Ed invero, le deduzioni afferenti a questi ultimi, presumibilmente offerte nel disegno di puntellare la sollevata questione, non possono valere, quand'anche ne fosse indiscutibile la fondatezza, nei confronti della sezione di sorveglianza: esse travalicano, infatti, i precisi termini della sollevata questione, nel senso che riguardano pur sempre un organo distinto, per cui l'eventuale illegittimità di questo - che, comunque, non competerebbe al giudice a quo di denunciare - non comporterebbe l'illegittimità della sezione di sorveglianza.

3. - L'esame della questione va perciò portato prevalentemente sull'art. 70 e sugli argomenti da esso dedotti.

Tali argomenti si lasciano ridurre, a ben vedere, all'asserita e ribadita carenza di un " rapporto di immedesimazione (o integrazione o compenetrazione) organica " tra la sezione di sorveglianza, da un lato, e la Corte d'appello nel cui ambito territoriale essa risulta istituita, dall'altro lato. Benché, infatti, l'impugnato art. 70, primo comma, disponga che " in ciascun distretto di Corte d'appello... é costituita un'apposita sezione di sorveglianza ", questa - afferma l'ordinanza - é in realtà un " giudice autonomo ", cioé speciale e, quindi, illegittimo. Sempre secondo il giudice a quo, la Costituzione, adottando il principio dell'unità della giurisdizione, vieta la creazione di nuovi giudici speciali e consente (art. 102, secondo comma) che possano istituirsi soltanto " sezioni specializzate per determinate materie ", e soltanto " presso gli organi giudiziari ordinari ". Ma poiché, sia nel pensiero del costituente, sia nel suo significato letterale, " sezione " deve intendersi " come articolazione organizzativa interna agli esistenti organi giudiziari ordinari ", " come suddivisione, ripartizione in cui si articola l'unità organica ", come " ripartizione di un'unità complessiva unitaria ", nella specie - prosegue l'ordinanza - " la denominazione " sezione " si adegua solo nominalmente al precetto dell'art. 102, secondo comma, Cost. ": la sezione di sorveglianza insomma, non avendo con la Corte d'appello alcun legame, ma solo una mera " coincidenza della circoscrizione territoriale ", impropriamente verrebbe dal legislatore denominata " sezione ".

4. - L'insistita negazione dell'esistenza di un nesso organico tra la sezione di sorveglianza e la Corte d'appello nel cui distretto é costituita - a parte il rilievo che la dizione " rapporto di immedesimazione (o compenetrazione o integrazione) organica " si addice meglio al rapporto fra la persona giuridica ed i suoi organi, anziché a quello tra questi e le loro articolazioni - risulta sorreggersi su considerazioni, tutto sommato, di ordine esegetico - il significato lessicale del sostantivo " sezione " e della preposizione " presso " - a scapito di quelle di ordine sistematico e, soprattutto, su uno schematismo ancorato ad una visione incompleta, preconcetta e statica dell'ordinamento giudiziario. Non si spiegano altrimenti la svalutazione o distorsione di elementi non negligibili e tutt'altro che privi di rilievo.

Tutti gli uffici giudiziari del distretto sono posti sotto la sorveglianza del Presidente della Corte d'appello (art. 14, secondo comma, regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 sulle " guarentigie della magistratura "), e lo stesso Consiglio superiore della magistratura (C.S.M.) si é pronunciato nel senso che tale norma si applica anche agli uffici ed alle sezioni di sorveglianza: il giudice a quo, che pure rievoca il parere del C.S.M., disconosce al suddetto potere di sorveglianza il valore di rapporto fra la sezione di sorveglianza e la Corte d'appello. É espressamente previsto (art. 68, terzo comma, impugnato) che alla sostituzione di un magistrato impedito provveda con proprio decreto il Presidente della Corte d'appello: anche tale dato non avrebbe alcun pregio. Inoltre, secondo l'interpretazione comunemente accolta del combinato disposto degli artt. 71 e 71 ter della legge de qua, i provvedimenti in tema di revoca anticipata delle misure di sicurezza sono ricorribili in Corte d'appello: neppure tale ricorribilità configurerebbe un nesso tra i due organi ed, anzi, porterebbe ad escludere " definitivamente che questo organo possa considerarsi sezione specializzata della Corte d'appello ", quasi che sia inconcepibile nel nostro ordinamento - basterà in proposito ricordare anche solo il disposto di cui all'art. 383 c.p.c. - il riesame di una controversia da parte di un giudice di pari grado, purché diverso da quello che si é già pronunciato. Va rilevato ancora che la ripetuta attribuzione della qualifica di organo " autonomo " alla sezione di sorveglianza non assurge ad autonomo profilo, perché é semplicemente liberazione dell'asserita mancanza di alcun rapporto con la Corte d'appello. Ed in quanto, da ultimo, alla censura rivolta al legislatore di avere dato vita, con le sezioni (e gli uffici) di sorveglianza, ad un " modello organizzativo... anomalo ", essa, lungi dall'avvalorare la denunciata illegittimità, rivela una concezione fondamentalmente erronea, e perciò inaccettabile. É la concezione, secondo cui l'assetto stabilito dall'ordinamento giudiziario tuttora in vigore avrebbe valore paradigmatico pressoché vincolante per il legislatore ordinario, cui, viceversa, non é precluso, sia di creare strutture del tutto nuove e diverse dagli attuali uffici giudiziari - fatta salva, ben s'intende, la Corte di cassazione, che é l'unico organo della giurisdizione ordinaria previsto dal testo costituzionale, sia di modificare, anche radicalmente, strutture già esistenti. Ed al giudice a quo é, invece, sfuggito che proprio quest'ultima ipotesi si potrebbe dire essersi verificata nella specie.

5. - Per convalidare la denuncia di illegittimità, il Giudice a quo invoca una sentenza di questa Corte (n. 76 del 1961), di cui, anzi, riporta il passo nel quale si legge che l'art. 102, secondo comma, Cost. " consente quelle sole sezioni specializzate che siano istituite " presso " gli organi giudiziari ordinari: termine questo con il quale si é voluto significare l'esistenza di un nesso organico, di una compenetrazione istituzionale tra le une e gli altri ".

Senonché tale sentenza, contrariamente a quanto si ritiene nell'ordinanza, non conforta l'assunto. Ed invero, in quella pronuncia la Corte, dopo avere enunciato che, se effettivamente dall'art. 102, secondo comma, Cost. si deduce l'esistenza di un nesso, non é tuttavia agevole " determinare quali siano gli indizi sufficienti a far ritenere la presenza di tale nesso ", affermò che bastano, sotto il profilo funzionale, l'adozione nel procedimento, del codice di rito, le eventuali deroghe al quale " dovrebbero essere formulate in modo esplicito " e, sotto il profilo strutturale, l'assoggettamento delle sezioni " alla sorveglianza dei capi degli uffici giudiziari ai quali sono collegate ". Ora, nella presente fattispecie ricorrono e concorrono proprio quegli " indizi sufficienti " a far ritenere l'esistenza, tra la sezione specializzata e la Corte d'appello, del nesso di cui alla richiamata pronuncia: a tacer d'altro, per ciò che concerne il profilo funzionale, ai provvedimenti in tema di revoca anticipata delle misure di sicurezza si applicano le comuni norme del codice di rito ed il procedimento di sorveglianza é disciplinato con nonne espresse; per ciò che concerne il profilo strutturale, se anche non si voglia tener conto del collegamento con la Procura generale, non si comprende come a riguardo di un ordinamento cui ripugna qualsivoglia rapporto di tipo gerarchico possa - peraltro indimostratamente - disconoscersi il valore di legame alla sorveglianza che, secondo quanto si é già rilevato, il Presidente della Corte d'appello esercita su ogni ufficio giudiziario del distretto e, quindi, anche sulla sezione di sorveglianza.

La pronuncia risulta, insomma, invocata a torto; tanto che l'Avvocatura dello Stato, sia nell'atto di intervento, sia alla pubblica udienza, si giova proprio degli argomenti ivi contenuti per confutare convincentemente l'ordinanza, segnalando altresì, non infondatamente, che la sezione di sorveglianza " é per alcuni aspetti strutturali assimilabile al Tribunale dei minorenni, rispetto al quale la Corte di cassazione e la dottrina hanno escluso la natura di giudice speciale ".

Ma a riguardo di quella remota sentenza, a parte quanto si é testé osservato, non deve ignorarsi che la Corte fu allora sollecitata a decidere una questione ben diversa da quella odierna e tale, da non richiedere alcun approfondimento in ordine alla distinzione fra giudici speciali e sezioni specializzate. Trattandosi, infatti, di giudicare se un collegio giusdicente, composto in prevalenza di persone estranee alla magistratura, sia per tale sua composizione giudice speciale, non sezione specializzata, la Corte non aveva motivo di approfondire il punto. Essa, sentenziando nel senso dell'infondatezza, dopo avere osservato che il criterio discretivo fra giudici speciali e sezioni specializzate, già in passato " d'ardua determinazione ", é divenuto " ancora più incerto " oggi, stanti le maggiori garanzie prescritte dalla Costituzione anche per i primi, poté limitarsi a ricavare semplici " indizi " dal solo art. 102, secondo comma, Cost., anziché tentare di estrarre sicuri criteri dal sistema.

6. - Il costituente repubblicano ha dedicato alla giurisdizione un intero titolo, composto di tredici articoli - quasi tutti contenenti una pluralità di disposizioni -, cui si devono aggiungere i quattro articoli - da 24 a 27 - non a caso collocati nel titolo primo della parte prima della Costituzione, avente per oggetto i " rapporti civili ", nonché la sesta e settima disposizione, primo comma. Non più, dunque, i soli sei scarni articoli - da 68 a 73 - del perento Statuto regio, ma un complesso di nonne cospiranti ad assicurare a chiunque e contro chiunque l'effettiva ed obiettiva tutela di ogni diritto soggettivo - in primo luogo, della libertà - e di ogni interesse legittimo. Una parte di tali norme afferisce più propriamente all'esercizio della giurisdizione, l'altra parte più propriamente all'organizzazione e funzionamento di questa - all'" ordinamento giurisdizionale ", insomma, come appunto recita l'epigrafe della sezione prima, titolo quarto della parte seconda del testo costituzionale -, componendosi in due gruppi tra loro complementari. E nell'ambito di ognuno di questi le norme ivi comprese sono tanto univocamente ed intimamente legate, che sovente non può cogliersi il genuino e pieno senso dell'una, se non si tengono presenti le altre e, soprattutto, il sistema cui nel loro insieme danno vita. Nella specie, l'esame condotto unicamente sul dato testuale di cui all'art. 102, secondo comma, Cost. é inadeguato a risolvere il problema della individuazione del criterio discretivo fra giudici speciali e sezioni specializzate, sicché non può non essere insicuro ed inappagante il risultato.

Ora, limitando l'attenzione alla parte che qui interessa a quella, cioé, che disciplina l'ordinamento giudiziario sembra irrefutabile l'affermazione che pietra angolare di questo é il C.S.M.. Per espresso dettato della Costituzione (artt. 104-107), sono riservati al Consiglio superiore tutti i poteri in ordine allo status di tutti i magistrati ordinari, siano giudicanti o requirenti, collegiali o monocratici, professionali od onorari. Ed in coerenza con l'attribuzione della totalità dei poteri sui singoli magistrati si deve riconoscere che spetta ad esso di deliberare anche i " provvedimenti riflettenti gli organi giudiziari ", oltre che il pubblico ministero (art. 7 regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante l'" ordinamento giudiziario "): basti ricordare il potere di approvare le tabelle annuali relative alla composizione degli uffici giudiziari costituiti in più sezioni (artt. 7 cit., 91 regio decreto 14 dicembre 1865, n. 2641, recante " regolamento generale giudiziario", e 39, terzo comma, regio decreto n. 12 del 1941), ed il potere di promuovere inchieste sugli uffici giudiziari - sia pure, almeno allo stato, attraverso l'ispettorato presso il Ministero della giustizia -, quando ricorrano " esigenze relative all'esercizio delle funzioni ad esso attribuite " (artt. 8 legge 24 marzo 1958, n. 195, recante " norme sulla costituzione e sul funzionamento del C.S.M. ", e 40 d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, recante " disposizioni di attuazione e di coordinamento " della predetta legge).

La constatazione che tali poteri possono e devono essere esercitati esclusivamente dal C.S.M., ed esclusivamente sui magistrati ordinari e sugli organi giudiziari ordinari, rivela l'esistenza di un collegamento istituzionale di questi con quello. Ma allora questo rapporto, se può e deve correre, secondo il preciso e lucido disegno del costituente, solo fra magistrati ed organi giudiziari ordinari, da un lato, e C.S.M., dall'altro, assume il valore di sicuro indice di riconoscimento della giurisdizione ordinaria. Esso consente, insomma, di affermare che appartengono alla giurisdizione ordinaria gli organi giusdicenti riconducibili al Consiglio superiore della magistratura.

7. - Non rimane, allora, che verificare la corrispondenza, o meno, della posizione delle sezioni di sorveglianza al criterio testé enunciato.

All'uopo é agevole constatare che la loro composizione " é annualmente determinata secondo le disposizioni dell'ordinamento giudiziario " (art. 70, primo comma, legge n. 354 del 1975); che esse si compongono di due magistrati ordinari e di due esperti (art. 70 cit., terzo comma), alla cui assegnazione, per i primi, e nomina per i secondi, provvede il C.S.M. (art. 10, primo e secondo comma, legge n. 195 del 1958); che all'eventuale destinazione temporanea dei magistrati provvede il Presidente della Corte d'appello (art. 68, terzo comma, legge cit.); che, come già detto, quest'ultimo esercita la sorveglianza, sia sui magistrati, sia sulle sezioni (e sugli uffici) di sorveglianza. E vale aggiungere che, come in fondo riconosce lo stesso giudice a quo, anche per i magistrati delle sezioni di sorveglianza le valutazioni previste dall'ordinamento giudiziario (artt. 1, primo comma, legge 25 luglio 1966, n. 570, 2 legge 20 dicembre 1973, n. 831 ed 1, primo comma, legge 2 aprile 1979, n. 97) vengono esattamente ritenute di competenza del consiglio giudiziario, e precisamente di quello del distretto nel quale i magistrati in parola esercitano le loro funzioni.

Sono dati, questi, che, sia separatamente, sia ancor più congiuntamente, impongono di riconoscere che le sezioni di sorveglianza, risultando avere come referente il C.S.M., rientrano nella giurisdizione ordinaria. Se, poi, una volta esclusane la natura di giudice speciale, esse siano propriamente sezioni specializzate, oppure organi del tutto nuovi ovvero ancora una ristrutturazione dei preesistenti giudici di sorveglianza, é problema che non ha rilievo sul piano della giustizia costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, in rapporto all'art. 68, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (" Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà "), sollevata in riferimento all'art. 102, secondo comma, della Costituzione dalla sezione di sorveglianza di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Albero MALAGUGINI - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1986.