SENTENZA N. 369
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa l'8 novembre 1977 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Marcoz Alessio e S.p.a. Istituto De Angeli iscritta al n. 585 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 dell'anno 1978;
2) ordinanza emessa il 27 novembre 1978 dal Pretore di Piacenza nel procedimento civile vertente tra Filipponi Giovanni e R.D.B. Putin Company S.p.a. iscritta al n. 36 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 80 dell'anno 1979;
3) ordinanza emessa il 3 aprile 1984 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Colella Michele e I.N.A.I.L. iscritta al n. 1235 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 335 dell'anno 1984.
Visti gli atti di costituzione della S.p.a. Istituto De Angeli e dell'I.N.A.I.L. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1985 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;
uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'Avv. Carlo Monaco per l'I.N.A.I.L..
Ritenuto in fatto
1. - Con due ordinanze emesse dal Tribunale di Milano in data 8 novembre 1977 e dal Pretore di Piacenza il 27 novembre 1978, nel corso di distinti procedimenti nei quali gli attori chiedevano la condanna degli ex datori di lavoro alla costituzione del rapporto assicurativo presso gli enti previdenziali ed assistenziali ovvero al risarcimento dei danni ex art. 2116 cod. civ. per omesso versamento di quanto dovuto all'I.N.P.S., viene denunciato, in riferimento agli artt. 3, 35 e 38 Cost., l'art. 1 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, "nella parte in cui, limitando la sfera d'azione dell'I.N.P.S. al territorio della Repubblica, non consente la tutela previdenziale, ad opera dello stesso istituto, dei rapporti di lavoro che, pur sorti in Italia, abbiano (stabile) esecuzione all'estero".
In entrambe le ordinanze si espone che il datore di lavoro aveva fondatamente eccepito l'insussistenza del proprio obbligo ex lege a versare contributi di previdenza ed assistenza presso istituti previdenziali operanti nell'ambito del territorio nazionale a favore di lavoratori che, pur assunti in Italia, avevano tuttavia prestato la propria attività lavorativa interamente all'estero, nella fattispecie in paesi (Thailandia e Libia) con i quali non risultavano stipulati accordi internazionali in materia di assicurazione obbligatoria e di sicurezza sociale. Il Pretore di Piacenza ritiene poi irrilevante che la società alle dipendenze della quale l'attore aveva prestato la propria opera avesse attivato una convenzione facoltativa a carattere privatistico con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale (secondo quanto previsto dalle circolari n. 142 del 15 luglio 1965 e n. 226 dell'8 ottobre 1969) versando contributi all'I.N.P.S. su una retribuzione mensile convenzionale di lire 80.000 a fronte di quella effettiva di lire 800.000.
La limitazione della sfera di azione dell'I.N.P.S. al territorio della Repubblica, così come posta dalla disposizione denunciata, sembra ai giudici a quibus contrastare con l'art. 3 Cost. per la disparità di trattamento fra lavoratori in ipotesi dipendenti dalla stessa persona fisica o giuridica a seconda che prestino la propria opera in Italia o all'estero in un paese non vincolato - come nei casi di specie - da accordi internazionali in tema di sicurezza sociale; con l'art. 35, commi primo e quarto, Cost., che impone la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e, specificamente, del lavoro italiano all'estero; con l'art. 38, comma secondo, Cost., che proclama il diritto di ogni lavoratore alla previsione ed assicurazione di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia indipendentemente da ogni considerazione dal luogo in cui l'attività lavorativa é prestata.
2. - Il Pretore di Firenze - adito da un lavoratore dipendente da una società italiana ed assunto in Italia, il quale aveva convenuto in giudizio l'I.N.A.I.L. chiedendo il riconoscimento della natura professionale della bronco-pneumopatia contratta nello svolgimento delle mansioni di tubista saldatore in cantieri posti in Irak, Libia ed Egitto, con la conseguente condanna dell'istituto convenuto a corrispondergli la relativa rendita - con ordinanza in data 3 aprile 1984 ha invece sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 35, comma quarto, e 38, comma secondo, Cost. questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 "in quanto non prevedono l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali a favore del lavoratore italiano operante all'estero alle dipendenze di impresa italiana".
Premesso che l'I.N.A.I.L. aveva fondatamente resistito in giudizio richiamandosi al principio della territorialità delle norme pubblicistiche sulle assicurazioni sociali obbligatorie, all'assenza, nel caso di specie, di convenzioni nonché delle condizioni previste dalle disposizioni interne emanate dall'I.N.A.I.L. stesso allo scopo di dare la massima estensione possibile alla tutela assicurativa (condizioni consistenti nella temporaneità delle lavorazioni svolte all'estero, nel loro stretto collegamento con quelle svolte di norma ed essenzialmente in Italia, nello svolgimento della parte prevalente del rapporto di lavoro e della lavorazione in Italia), il giudice a quo osserva che giurisprudenza e dottrina effettivamente non si discostano, allo stato dalla posizione fatta propria dall'istituto convenuto, tal che l'ordinamento non sembra imporre l'assicurazione obbligatoria da parte dell'I.N.A.I.L. contro gli infortuni e le malattie professionali a favore dei lavoratori italiani, dipendenti di imprese nazionali, i quali operino costantemente o prevalentemente all'estero.
La descritta situazione normativa - continua l'ordinanza - appare in contrasto coi principi posti dagli indicati parametri costituzionali i quali, secondo quanto ritenuto anche dai più attenti commentatori del testo fondamentale, impongono allo Stato compiti di tutela che non possono esaurirsi sul piano delle relazioni internazionali, concernenti per di più il caso dei lavoratori emigrati che abbiano stabilito all'estero la propria definitiva residenza e che si siano occupati presso un datore di lavoro straniero e non anche quello del lavoratore che - come nel caso di specie - svolga il proprio lavoro a favore dell'economia nazionale ed abbia mantenuto il legame con la madre patria, onde é da presumersi che l'eventuale occorrenza delle prestazioni previdenziali ed assicurative si manifesti per lui nel territorio nazionale. Sembra dunque incongruo "in presenza della proclamazione costituzionale sulla tutela del lavoro italiano (tale a tutti gli effetti nel caso di specie, per la cittadinanza del lavoratore a nazionalità dell'impresa, l'inerenza della lavorazione all'economia nazionale), come specificazione della più generale tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35, comma primo, Cost.), che la copertura assicurativa contro i rischi incontrati da simile lavoratore sia rilasciata a forme di assicurazione privata", pur nella specie poste in essere dalla società datrice di lavoro.
Né la negazione della pubblica tutela offerta dall'assicurazione obbligatoria può trovare giustificazione nella difficoltà degli accertamenti concernenti le cause dell'infortunio o della malattia. É invero diffusamente riaffermata l'esigenza del potenziamento e della revisione degli strumenti diretti di assistenza e di sicurezza sociale dei lavoratori italiani all'estero sembrando il principio di sicurezza sociale posto dall'art. 38, comma secondo, Cost. gravemente limitato da una lettura che ne circoscriva gli effetti al solo lavoro svolto entro i patrii confini e non rinvenendosi altro valore costituzionale che giustifichi la discriminazione in danno del lavoratore che, per le dimensioni di mercato dello specifico settore ovvero per le caratteristiche del prodotto abbia necessità di spostarsi all'estero.
3. - Nel giudizio promosso dal Pretore di Firenze si é costituito l'I.N.A.I.L. riaffermando la legittimità costituzionale delle disposizioni denunciate.
4. - In quello promosso dal Tribunale di Milano con ordinanza in data 8 novembre 1977 si é costituito l'Istituto De Angeli S.p.a., convenuto nel giudizio a quo, che ha instato per la declaratoria di inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale, peraltro svolgendo argomentazioni esclusivamente a sostegno della sua infondatezza.
Si sostiene in atto di costituzione che dalla natura sicuramente pubblicistica dell'assicurazione sociale e, in genere, delle varie forme previdenziali obbligatorie discende l'ovvia conseguenza, in base all'elementare principio della sovranità territoriale degli Stati, che le relative norme sono destinate a spiegare efficacia esclusivamente entro quell'ambito spaziale, oltre il quale, tra l'altro, l'Istituto assistenziale si troverebbe in una situazione di materiale impossibilità a fornire le prestazioni in ipotesi dovute. Alla stregua di tali considerazioni si esclude che la denunciata disposizione di cui all'art. 1, r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 ingeneri alcuna disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 Cost. entro l'ambito della propria sfera di applicazione, che non può essere altro che quello del territorio nazionale. E, del pari, che infranga i precetti di cui agli artt. 35, comma primo e quarto, e 38, comma secondo, Cost., entrambi i quali si riferiscono ad obblighi da soddisfarsi da enti previdenziali italiani sul presupposto che il lavoro si svolga in Italia. L'assicurazione e la previdenza sociale dei lavoratori all'estero potrebbe essere, in definitiva, regolata solo da accordi internazionali, in difetto dei quali non potrebbe legittimamente farsi carico agli enti assistenziali e previdenziali italiani di assumere oneri incompatibili con i propri fini d'istituto.
5. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri nei giudizi promossi dal Tribunale di Milano e dal Pretore di Piacenza ha chiesto che le due identiche questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 del r.d.l. n. 1827 del 1935 vengano dichiarate infondate.
Premesso che il rapporto giuridico previdenziale ha caratteristiche autonome e distinte dal rapporto di lavoro e che é regolato ex lege con norme di diritto pubblico, si osserva in atto d’intervento che é del tutto conforme ai principi che la legge sulla previdenza e sull'assicurazione sociale, in quanto legge di ordine pubblico, non si sottragga alla regola generale della territorialità per quanto riguarda la sua sfera di applicazione nello spazio. Logico corollario é che al rapporto di lavoro sorto in Italia che, però, abbia esecuzione all'estero si applichino le norme previdenziali vigenti nel Paese nel cui territorio l'attività é prestata.
Né la possibile diversità di trattamento previdenziale rispetto al lavoratore che abbia svolto la propria attività in Italia integra alcuna disparità costituzionalmente rilevante attese le indubbie differenze di carattere oggettivo fra le due situazioni; differenze consistenti nella diversità del luogo d'esecuzione del rapporto lavorativo, nella diversa entità dei contributi previdenziali versati, nella diversa retribuzione percepita dal lavoratore a parità di lavoro prestato. Neppure continua l'Avvocatura - é fondatamente ipotizzabile alcuna violazione degli artt. 35 e 38 Cost., giacché la tutela cui fanno riferimento le due norme costituzionali non può non trovare il proprio limite territoriale in quello spaziale della sovranità dello Stato italiano, come del resto avviene per tutte le forme di tutela garantite dalla Costituzione (si pensi, ad esempio, al diritto all'istruzione).
Sotto altro profilo l'Avvocatura nega poi che la addotta carenza di tutela previdenziale sia correttamente ricollegabile alla norma denunziata, che é poi quella istitutiva dell'I.N.P.S., così per certo verso prospettando l'inammissibilità della questione così come sollevata. Posto invero che il principio della territorialità dell'azione pubblica é una diretta conseguenza del principio di sovranità nazionale e di pacifica convivenza fra gli Stati (art. 10 Cost.), qualsivoglia forma di tutela previdenziale pubblica per i rapporti di lavoro che abbiano esecuzione all'estero dovrebbe essere perseguita con strumenti diversi da quelli previsti per i rapporti di lavoro svolgentisi sul territorio nazionale; e ciò in quanto l'ente pubblico preposto a tale funzione non potrebbe in nessun caso esercitare i propri poteri al di là del limite territoriale dello Stato.
Da ultimo - osserva l'Avvocatura - va ricordato che l'attuale assetto normativo contempla delle forme di previdenza anche per i periodi di lavoro trascorsi all'estero (art. 51, comma secondo, l. 30 aprile 1969, n. 153, come modificato con l. 16 aprile 1974 n. 114), sicché appare evidente, da un lato, come il preteso difetto di tutela non sussista, o quantomeno non nel grado lamentato, e, dall'altro, che esso non é in ogni caso ricollegabile al limite territoriale dell'azione dell'I.N.P.S., posto dalla norma denunciata con disposizione meramente dichiarativa e conseguenziale al principio di sovranità.
Alla pubblica udienza del 21 maggio 1985 le parti ribadivano i propri assunti insistendo per l'accoglimento delle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Le tre ordinanze in epigrafe, attenendo tutte al problema della tutela dei lavoratori italiani operanti alle dipendenze di una impresa italiana in Stati non appartenenti alla Comunità europea - su cui questa Corte si é già pronunciata con la sentenza n. 199/1985 - e con i quali non esiste alcuna convenzione al riguardo, vanno riunite e decise con unica sentenza.
2. - In base al principio della territorialità della legislazione sociale, che é un portato della natura pubblicistica delle relative norme, la disciplina italiana in tema di previdenza e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali é pacificamente ritenuta operativa solo nell'ambito del territorio nazionale. Reputando i giudici a quibus che questo sistema si risolva in violazione degli artt. 3, 35 e 38 Cost. ed individuando tale violazione negli artt. 1 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 ("perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale") ed 1 e 4 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), chiedono che ne sia dichiarata l'illegittimità costituzionale, nonostante che né il r.d.l. 1827/1935, né, meno ancora, il d.P.R. 1124/1965, risultino formulati in maniera da impedire una interpretazione meno rigida. Ma poiché le ordinanze in esame, adeguandosi al diritto vivente, imputano all'impugnata disciplina - Tribunale di Milano (r.o. 585/1977) e Pretore di Piacenza (r.o. 36/1979) - di limitare la sfera di azione dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale (Inps) al territorio della Repubblica e - Pretore di Firenze (r.o. 1235/1984) - di non avere previsto, a favore dei lavoratori italiani operanti all'estero alle dipendenze di impresa italiana, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, questa Corte é tenuta a pronunciarsi sulla asserita violazione degli invocati principi costituzionali da parte delle norme impugnate.
3. - É testualmente scritto in Costituzione (art. 35, u.c.) che "la Repubblica... tutela il lavoro italiano all'estero". La chiarezza e perentorietà del dettato non si prestano ad alcuna elusione, ad alcuna distorsione, ad alcuna dilazione, e non lasciano perciò alcun margine di dubbio sulla fondatezza della questione in esame. Del resto, il problema é ammesso ed anche pienamente avvertito dal potere politico. Sollevato già nel 1970 dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro in seguito ad un'indagine conoscitiva sull'emigrazione italiana, se ne é tentata varie volte la soluzione in sede legislativa, sia su iniziativa parlamentare, sia su iniziativa governativa. Una di queste era stata addirittura approvata, il 27 aprile 1983, dalle commissioni riunite "affari esteri" e "lavoro" della Camera dei deputati in sede referente, ma decadde in seguito allo scioglimento anticipato delle Camere. E nella presente legislatura, oltre a tre proposte di legge, risulta presentato, il 4 marzo 1985, un disegno di legge governativo, - recante appunto "norme per la tutela dei lavoratori italiani dipendenti da imprese operanti all'estero nei paesi extracomunitari" -, nella cui relazione si legge, fra l'altro, che la "regolamentazione della materia" ivi prevista ha lo scopo di permettere "una più ampia tutela - nello spirito dei valori fondamentali affermati dalla Costituzione - di tale categoria di lavoratori" e che l'appartenenza allo Stato italiano, sia del datore di lavoro, sia del lavoratore, sembra sufficiente per "esigere l'osservanza di condizioni di lavoro conformi a quelle inderogabili stabilite" nel nostro ordinamento.
4. - Il principio della tutela del lavoro italiano all'estero é uno dei valori fondamentali proclamati in Costituzione, da cui dipende l'inderogabilità delle condizioni di lavoro, come del resto riconosce il citato disegno di legge governativo. La questione deve, quindi, dirsi fondata.
É bensì vero - lo mostra con tutta evidenza il più volte menzionato disegno di legge governativo - che solo il legislatore é in grado di dettare una compiuta disciplina del lavoro italiano all'estero - stanti la complessità ed il tecnicismo dei problemi che ne nascono -, ma é altrettanto vero che questa Corte, istituita a garanzia dell'osservanza del sistema costituzionale, non può sottrarsi, quando sia denunciata la violazione di un valore fondamentale, al suo indeclinabile dovere di riconoscerla e sanzionarla. La Corte non ignora che sono numerosi e tutt'altro che semplici gli inconvenienti i quali hanno sinora ritardato la soluzione del problema in sede legislativa, nonché impedito di stipulare convenzioni di sicurezza sociale rispettose dei precetti costituzionali con tutti gli Stati, ove prestano la loro opera lavoratori italiani, e tuttavia, a fronte del precetto costituzionale, non può dichiarare che gli inconvenienti giustifichino la carenza di protezione sociale per il lavoratore italiano che presti la sua opera all'estero alle dipendenze di un'impresa italiana. Ovviamente, esulano dal thema decidendum le situazioni di lavoratori italiani, dipendenti da ditte italiane operanti in Stati esteri con i quali la Repubblica italiana ha stipulato apposite convenzioni di protezione sociale; impregiudicato restando, altrettanto ovviamente, il giudizio sulla conformità delle convenzioni medesime al dettato costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 ("perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale") ed 1 e 4 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ("testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all'estero alle dipendenze di impresa italiana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1985.
Guglielmo ROEHRSSEN - Giuseppe FERRARI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1985.