SENTENZA N. 204
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo e terzo comma del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 9 giugno 1983 dal TAR per l'Emilia Romagna sul ricorso proposto da Sacchi Morsiani Gianguido contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altri iscritta al n. 1012 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 95 dell'anno 1984;
2) ordinanza emessa il 14 dicembre 1983 dal TAR per la Lombardia sul ricorso proposto da Talamona Mario contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altri iscritta al n. 453 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 dell'anno 1984.
Visti gli atti di costituzione di Sacchi Morsiani Gianguido e di Talamona Mario nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1985 il Giudice relatore Oronzo Reale;
uditi l'avv. Mario Nigro per Sacchi Morsiani Gianguido e Talamona Mario e l'Avvocato dello Stato Umberto Tarin per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza in data 9 giugno 1983 (n. 1012 del reg. ord. 1983) il tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, nel corso di un procedimento promosso dal prof. Gianguido Sacchi Morsiani per ottenere l'annullamento del decreto datato 26 ottobre 1982, n. 1477, con cui il Rettore dell'Università di Bologna lo aveva collocato in aspettativa senza assegni, nella sua veste di ordinario presso la stessa Università a seguito della nomina a presidente di Cassa di Risparmio, solleva questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, per preteso contrasto con il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione.
Osserva il Collegio rimettente che la norma citata comporta il collocamento d'ufficio in aspettativa senza assegni dei docenti universitari chiamati alle cariche indicate nel primo comma dello stesso articolo. Poiché le Casse di Risparmio (art. 21, primo e secondo comma, del r.d. 25 aprile 1929, n. 967) possono corrispondere ai loro amministratori soltanto medaglie di presenza, la disposizione impugnata comporta la privazione di un trattamento economico fisso e continuativo, cui non corrisponde un trattamento di eguale tipo.
Ciò creerebbe disparità di trattamento per un verso rispetto ai docenti di scuola di grado non universitario, per i quali (artt. 91 e 92 del d.P.R. n. 417 del 1974) la nomina a presidente di Cassa di Risparmio non comporta collocamento in aspettativa, per altro verso con i docenti universitari chiamati alla presidenza di istituti di credito di diritto pubblico, in quanto questi ultimi possono attribuire compensi fissi ai loro amministratori, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, che deve essere considerato "nella sua unitarietà, cioé nelle reciproche implicanze tra i suoi due commi".
Con particolare riferimento al caso di docenti universitari privi di beni di fortuna chiamati alla presidenza di Casse di Risparmio, si rileva che la norma de qua creerebbe un ostacolo di ordine economico, che non insorge in fattispecie analoghe o addirittura identiche dal punto di vista sostanziale, alla effettiva partecipazione all'organizzazione economica del Paese di soggetti, che, per il loro impegno personale, hanno conseguito una particolare qualificazione tecnica.
Con sentenza in pari data lo stesso tribunale aveva dichiarato manifestamente infondate altre questioni di legittimità costituzionale proposte dal ricorrente e relative ad un preteso contrasto del primo comma dell'art. 13, citato, con gli artt. 36 e 97 della Costituzione e del terzo comma della stessa norma con gli artt. 36 e 51 della Costituzione.
La rilevanza della questione é affermata nell'ordinanza, ma non é specificamente motivata.
2. - Si é costituito il ricorrente, il quale ha chiesto che la proposta questione sia dichiarata fondata ed altresì che la Corte, d'ufficio, estenda il proprio esame anche alle questioni che il Collegio a quo ha dichiarato infondate.
A sostegno del profilo d’incostituzionalità rimesso all'esame della Corte dal TAR, si osserva tra l'altro che la disciplina dettata dalla norma in esame non tiene distinte le situazioni in cui i docenti sono chiamati a ricoprire uffici che prevedono un adeguato trattamento economico da quelle in cui tali uffici sono considerati "munus publicum" e quindi sono svolti a titolo gratuito o con compenso meramente simbolico ed eventuale.
3. - Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la proposta questione sia dichiarata infondata.
Quanto alla lamentata disparità di trattamento con i docenti di scuola media, si osserva che il TAR sarebbe incorso in un equivoco avendo confuso l'ipotesi dell'incompatibilità, ex art. 92 del d.P.R. n. 417 del 1974, con quella dei limiti e delle modalità con cui può assumersi il diverso ufficio; l'incompatibilità andrebbe ravvisata nell'art. 13, comma primo, del d.P.R. n. 382 del 1980, che sancisce il divieto di cumulo dell'ufficio di professore con altri impieghi, pubblici o privati, sotto la comminatoria di sanzioni disciplinari. Il collocamento in aspettativa senza assegni costituirebbe concreta manifestazione delle modalità con cui al professore universitario é consentito assumere gli uffici previsti nei numeri da 1 a 13 del citato art. 13, per i quali non sussiste alcuna incompatibilità in linea di principio.
A prescindere dall’allegata non omogeneità delle due situazioni, si esclude che nei confronti del professore universitario sia stata configurata un’ipotesi di incompatibilità non sussistente per i professori di scuola media.
Per ciò che attiene alla pretesa disparità di trattamento tra docenti universitari chiamati alla presidenza di Casse di Risparmio e quelli chiamati alla presidenza di istituti di credito di diritto pubblico, si rileva che la stessa non deriva dalla norma impugnata, che non pone differenziazioni al riguardo, bensì da quella che attiene all'organizzazione delle Casse di Risparmio.
Così precisata, la questione sarebbe irrilevante, poiché l'eventuale pronuncia della Corte su quest'ultima normativa non potrebbe spiegare efficacia alcuna sul giudizio in corso, in quanto rimarrebbe fermo siccome legittimo il decreto rettoriale impugnato.
4. - Con ordinanza in data 14 dicembre 1983 (n. 453 del reg. ord. 1984) il tribunale amministrativo regionale della Lombardia, nel corso di un procedimento promosso dal prof. Mario Talamona per ottenere l'annullamento del decreto rettoriale n. 16663 del 14 ottobre 1982, con cui esso ricorrente, ordinario presso l'Università di Milano, era stato collocato in aspettativa senza assegni a seguito della sua nomina a presidente del Banco del Monte di Milano, sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo e terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, per preteso contrasto con gli artt. 3, 97, 51 e 36 della Costituzione.
Con riferimento al primo comma della norma surrichiamata, il Collegio rileva che la disciplina ivi contenuta laddove regola in modo uniforme situazioni diverse, disponendo che la nomina a presidente di un ente pubblico economico comporti, a prescindere dalle dimensioni dell'ente stesso, il collocamento in aspettativa del professore universitario che abbia optato per il tempo pieno, sarebbe irrazionale. Dovrebbe rilevarsi che la presidenza di un banco del Monte comporta compiti di ben più modesto rilievo se rapportati alla presidenza dell'IRI o del Banco di Sardegna o simili. Va pure tenuto presente che il legislatore ha ritenuto di escludere dallo stesso regime tutte le cariche amministrative concernenti gli enti locali infraregionali, sicché i criteri posti dal legislatore delegato "non appaiono del tutto razionali": la norma de qua colliderebbe pertanto sia con il principio di eguaglianza che con quello del buon andamento della pubblica amministrazione.
Quanto al preteso contrasto del terzo comma della norma surricordata con il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, vengono addotte motivazioni largamente coincidenti con quelle già esposte con riferimento all'ordinanza del TAR dell'Emilia Romagna.
Si assume anche che lo stesso terzo comma dell'art. 13 colliderebbe con l'art. 36 della Costituzione in quanto imporrebbe un trattamento economico differenziato senza un motivo costituzionalmente apprezzabile e perciò irrazionale; ed anche con l'art. 51, primo comma, della Costituzione, in quanto non verrebbe in tal modo assicurato a tutti i cittadini l'accesso alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza.
Con sentenza parziale, lo stesso Collegio aveva dichiarato manifestamente infondati altri profili d’incostituzionalità della stessa disposizione.
La rilevanza delle questioni é affermata, ma non esplicitamente motivata.
5. - Si é costituito il ricorrente nel giudizio a quo chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate.
A sostegno della prospettata incostituzionalità, la difesa del ricorrente adduce ragioni largamente coincidenti con quelle contenute nell'ordinanza di rimessione.
La stessa difesa pone in particolare risalto che la ratio dell’incompatibilità e dell’aspettativa obbligatoria di cui al primo comma dell'art. 13 é da ravvisarsi nel fatto che l'esercizio di certe funzioni pubbliche particolarmente elevate comporta un tale impegno di lavoro da impedire di fatto al docente di assolvere ai propri doveri di insegnamento (in tal senso sarebbe del resto l'art. 4, lett. d, della legge delega 21 febbraio 1980, n. 28). Nel caso di specie tale assorbente impegno non si verificherebbe e pertanto irrazionalmente verrebbero normativamente parificati dalla norma in questione tutti gli enti pubblici, senza tener conto delle diverse dimensioni e rilevanza dell'ente.
Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato ed ha chiesto che le proposte questioni vengano dichiarate non fondate.
Nell'atto d’intervento si sottolinea che il fondare la questione di costituzionalità su un dato di mero fatto (a proposito dell'art. 13, comma primo) quale é la diversa rilevanza dell'ente é criterio non condivisibile atteso che la situazione giuridica é identica e sarebbe da dimostrare che la presidenza di un ente pubblico economico anche di modesta rilevanza comporti un impegno compatibile con il regime del tempo pieno.
Anche la censura relativa alla pretesa violazione dell'art. 51, primo comma, della Costituzione, sarebbe infondata, in quanto ai docenti non é affatto precluso, in base alla normativa vigente, l'accesso alle cariche pubbliche.
Per il resto l'Avvocatura si riferisce a motivazioni identiche a quelle esposte a proposito dell'ordinanza del TAR dell'Emilia Romagna.
Nell'imminenza della discussione, sia il prof. Sacchi Morsiani, sia il prof. Talamona attraverso le rispettive difese hanno presentato memorie illustrative della fondatezza della questione. In particolare la difesa del prof. Sacchi Morsiani insiste anche sui motivi d’illegittimità della legge la cui fondatezza fu esclusa dal giudice rimettente e la difesa del prof. Talamona introduce un nuovo motivo d’illegittimità, cioé denunzia la violazione dell'art. 76 della Costituzione.
6. - Alla pubblica udienza del 21 maggio 1985 la difesa delle parti e l'Avvocatura generale dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri hanno ribadito le rispettive tesi.
Considerato in diritto
1. - Le due ordinanze del TAR dell'Emilia Romagna e della Lombardia propongono alla Corte la stessa questione, benché diversamente articolata quanto alla disposizione impugnata e ai parametri di riferimento. I giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza, ma le ordinanze vanno separatamente esaminate.
2. - L'art. 13, comma primo, del d.P.R. n. 382 del 1980 indica i casi nei quali "il professore ordinario é collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio", fra i quali sta (n. 10) la "nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fine di lucro".
Questo comma dell'art. 13 non é impugnato dal TAR dell'Emilia Romagna, che anzi, essendo stato esso evocato dal ricorrente denunziando la disparità di trattamento tra professore universitario nominato presidente e professore universitario nominato vicepresidente di Cassa di Risparmio, ha riconosciuto la manifesta infondatezza della questione nella sentenza parziale emessa contemporaneamente all'ordinanza con la quale é stato promosso il giudizio di legittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980; e quindi non é soggetto a sospetto di illegittimità costituzionale che il professore ordinario nei casi detti non possa continuare la sua attività didattica e di ricerca e venga collocato in aspettativa.
É invece impugnato il terzo comma dell'art. 13 del detto d.P.R. n. 382, nella parte in cui stabilisce che, in mancanza di disposizioni contrarie, "la aspettativa é senza assegni".
Ora il TAR dell'Emilia Romagna denunzia in primo luogo che tale mancanza di assegni "crea sul piano oggettivo, una disparità di trattamento rispetto ai docenti di scuola di grado non universitario per i quali (artt. 91 e 92 del d.P.R. n. 417 del 1974) la nomina a presidente di Cassa di Risparmio non comporta il collocamento in aspettativa".
Senonché la "disparità di trattamento" non deriverebbe dal comma terzo dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980, ma dal comma primo del detto articolo, che non é denunciato di illegittimità costituzionale e del quale anzi, come già ricordato, il TAR ha in sentenza escluso l'illegittimità.
Ora, rispetto alla domanda del prof. Sacchi Morsiani che il TAR ha preso in considerazione, diretta (come si legge nell'ordinanza del TAR) all'"accertamento, con conseguente statuizione di condanna, del suo diritto a percepire per la durata dell'aspettativa disposta per tutta la durata dell'incarico di presidente della Cassa di Risparmio, il trattamento economico di docente", é evidente l'incongruenza di una comparazione tra il trattamento economico del professore universitario (posto in aspettativa) e quello del docente non universitario che continua ad insegnare e perciò a percepire il suo stipendio di pubblico dipendente.
3. - Una ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione nascerebbe, secondo il TAR dell'Emilia Romagna, per la disparità di trattamento dei professori universitari chiamati alla presidenza di Casse di Risparmio "rispetto ai docenti universitari chiamati alla presidenza di istituti di credito di diritto pubblico, che possono attribuire compensi fissi ai loro amministratori o chiamati a cariche comportanti la corresponsione di attività fisse e continuative". Il TAR rimettente ritiene che "tale disparità oggettiva, se appare giustificabile per taluni suoi aspetti, non sembra... compatibile col disposto dell'art. 3 della Costituzione che... va considerato nella sua unitarietà, cioé nelle reciproche implicanze tra i suoi due commi". Infatti tale disparità "sembra risolversi... in una antinomia con il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione specie nei casi di docenti universitari chiamati alla presidenza di Casse di Risparmio, privi di beni di fortuna", creando "un ostacolo di ordine economico che non insorge in fattispecie analoghe o addirittura identiche dal punto di vista sostanziale, alla effettiva partecipazione all'organizzazione economica del Paese di soggetti che, per impegno personale, hanno conseguito una particolare qualificazione tecnica e, in conseguenza di ciò, vengono a trovarsi nella necessità di accettare con la carica conferita nell'interesse pubblico il mutamento di un trattamento economico certo e continuativo con un trattamento diverso".
A ben vedere, sono due e distinte le questioni poste dal TAR nelle riprodotte considerazioni. La prima é relativa alla violazione del principio di eguaglianza e deriverebbe dalla diversità di trattamento economico dei professori nominati presidenti di istituti economici che corrispondono assegni fissi e continuativi rispetto ai loro colleghi chiamati a presiedere Casse di Risparmio. Ora di tutta evidenza tale questione non é pertinente, nei confronti dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980, il quale, nel terzo comma, disponendo che l'aspettativa é senza assegni (e del resto anche nel primo comma, n. 10, che enuncia alcune categorie di nomine che comportano la collocazione dei professori in aspettativa), non si occupa dei trattamenti economici riservati ai presidenti degli enti presso i quali avvengono le nomine.
Quindi una questione di costituzionalità per disparità di trattamento relativa a tali trattamenti andrebbe riferita, se mai, alla normativa regolante le Casse di Risparmio che esclude, a differenza di quanto avviene per altri enti pubblici economici, la corresponsione agli amministratori di compensi fissi e continuativi, consentendo solo l'assegnazione di medaglie di presenza.
Quando poi (seconda questione) si assume violato l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, per il preteso ostacolo di ordine economico sociale alla partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, che deriverebbe dalla mancata corresponsione da parte delle Casse di Risparmio di compensi fissi e continuativi ai presidenti, e specialmente a coloro che non hanno beni di fortuna, anche questo lamentato "impedimento" deriverebbe dalla normativa regolante le Casse di Risparmio e non dalle denunciate disposizioni dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980.
E ciò a parte la considerazione che in punto di rilevanza il TAR avrebbe dovuto accertare o quanto meno affermare che nella fattispecie al suo esame si verificavano due situazioni: mancanza di beni di fortuna e insufficienza del trattamento economico complessivo assicurato mediante corresponsione di medaglie di presenza dalla Cassa di Risparmio Emilia Romagna al presidente, tenendo conto che lo Statuto della Cassa prevede la corresponsione al presidente di medaglie di presenza oltre il rimborso spese, per l'intervento alle adunanze del Consiglio, del Comitato, normalmente due per settimana, di eventuali compensi anche per le prestazioni connesse alle esigenze di servizio o di norme regolamentari, col solo limite "che non può essere corrisposta più di una medaglia di presenza nella stessa giornata".
Del resto, lo stesso ricorrente non afferma, ma ipotizza soltanto, che il trattamento economico supposto insoddisfacente possa "indurre l'interessato a rifiutare la nomina", e quindi possa impedire la di lui partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Rivolta, invece, al detto art. 13, comma terzo, la censura é certamente infondata. A tutto concedere, essa dovrebbe tradursi nella critica al legislatore per non aver distinto nella predetta norma tra professori ordinari forniti o sforniti di altri mezzi economici, fra nomine a Casse di Risparmio importanti e meno importanti e a Casse di Risparmio che corrispondono medaglie di presenza di importo rilevante o modesto, e in numero sufficiente o insufficiente. Il che conferma, per assurdo, l’infondatezza della questione in esame.
4. - L'ordinanza (n. 453 del reg. ord. 1984) del TAR Lombardia estende la questione di legittimità costituzionale anche al primo (oltre che al terzo) comma dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980, senza indicazione alcuna di parametri nel dispositivo, ma con chiaro riferimento in motivazione agli artt. 3, primo e secondo comma, 36, primo comma e 51 della Costituzione, nonché con una semplice non motivata menzione dell'art. 97.
Ciò che differenzia l'ordinanza di Milano da quella di Bologna é il coinvolgimento del primo comma dell'art. 13 del d.P.R. n. 382, e cioé il fatto che sempre il professore universitario che ha optato per il tempo pieno debba essere collocato in aspettativa quando é nominato presidente di Cassa di Risparmio, e ciò: a) indipendentemente dalla dimensione dell'ente; b) a differenza di quanto lo stesso art. 13, comma primo, n. 10, dispone per la nomina a presidente di enti infraregionali, come per esempio una Camera di commercio importante.
Per quanto riguarda la lamentata indifferenza del legislatore per la dimensione della Cassa di Risparmio presso la quale avviene la nomina, torna il rilievo che, in punto di rilevanza, il TAR di Milano avrebbe dovuto quanto meno affermare la scarsa dimensione ed importanza della Banca del Monte di Milano, a presiedere la quale era stato nominato il professor Talamona. Inoltre il TAR avrebbe dovuto ritenere ed affermare che il regime di tempo pieno del professore ordinario, con le sue condizioni quali prescritte negli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 382 del 1980 (non impugnati) é compatibile con l'esercizio della carica di presidente di una Cassa come la Banca del Monte di Milano, il cui Statuto attribuisce al presidente una somma di incombenze ed attività continue ed assorbenti (cfr. art. 17 dello Statuto della Banca del Monte che attribuisce al presidente la rappresentanza legale dell'istituto, la presidenza del Consiglio di amministrazione, del Comitato e delle Commissioni consultive, la vigilanza sull'esecuzione delle deliberazioni degli organi amministrativi e sull'andamento generale dell'istituto e ogni altra decisione o nei casi di urgenza, e richiede il suo intervento e consenso per tutti gli atti di cancellazione di ipoteche, di surrogazione a favore di terzi, di annotazione di inefficacia delle trascrizioni, di restituzione di pegni e cauzioni ecc.) remunerabili con medaglie di presenza (oltre il rimborso spese) il cui numero é soggetto al solo limite che "non può essere corrisposta più di una medaglia di presenza nella stessa giornata" (art. 9 del citato Statuto).
A prescindere dal dubbio di ammissibilità della questione per le ragioni indicate, fra le quali la mancata impugnazione del citato art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980, é impossibile disconoscere il fondamento razionale, e il rispetto, non la violazione, dell'art. 97 della Costituzione, del divieto di cumulo tra l'attività di presidente della importantissima Banca del Monte di Milano e l'attività didattica e di ricerca prescritta al "professore universitario che abbia optato per il regime di impegno a tempo pieno".
Vero é che il TAR della Lombardia, a sostegno della affermazione che "i criteri posti a fondamento della scelta operata dal legislatore delegato non appaiono del tutto irrazionali", istituisce un confronto fra "gli incarichi di modesto rilievo del presidente di una Banca del Monte" e quello di "presidente dell'IRI, dell'ENI, del Banco di Sicilia, del Banco di Sardegna ecc.", tutti trattati allo stesso modo, cioé soggetti alla incompatibilità stabilita per gli enti pubblici economici dall'art. 13, comma primo, n. 10, del d.P.R. n. 382; ma la pretesa, nella quale la censura si risolve, che il legislatore stabilisse l'incompatibilità di cui si tratta valutando e discriminando l'importanza dei singoli enti pubblici economici al fine di includerne alcuni, di escludere altri dal regime di incompatibilità, non ha alcun fondamento di natura costituzionale e urta contro la naturale genericità e astrattezza della norma legislativa che non può piegarsi a considerare singole e variabili fattispecie.
La quale osservazione vale anche a negare la fondatezza dell'altro confronto che l'ordinanza istituisce fra l'importanza del Banco del Monte di Milano e ipotizzati enti locali infraregionali, come le "Camere di Commercio di taluni capoluoghi di provincia".
La sola differenza fra questo confronto e quello con gli enti pubblici economici a carattere nazionale interregionale e regionale sta nel fatto che per questi si rimprovera al legislatore l'eguale trattamento con le Casse di Risparmio, per quelli (gli enti infraregionali, esclusi dall'incompatibilità) si rimprovera il diverso trattamento. Ma la censura coinvolge sempre un apprezzamento della discrezionalità del legislatore nel valutare la importanza da attribuire, in base all'id quod plerumque accidit, alle varie categorie degli enti pubblici economici; apprezzamento non censurabile in sede di giudizio di legittimità costituzionale.
5. - Il TAR della Lombardia investe anche il comma terzo dell'art. 13 del d.P.R. n. 382 il quale stabilisce che l'aspettativa é senza assegni. Ma lo fa con argomenti coincidenti, anche per espresso richiamo, con quelli enunciati nell'ordinanza del TAR dell'Emilia Romagna, che sono già stati esaminati e disattesi nel precedente paragrafo 3, escludendo la violazione dell'art. 3, commi primo e secondo, della Costituzione.
Non occorre quindi indugiare su questo punto, se non per riaffermare che il lamentato diverso trattamento fra professori universitari e docenti non universitari può essere censurato solo in relazione al primo comma, n. 10 , (non al terzo comma) dell'art. 13 del d.P.R. n. 382, poiché il docente non universitario continua a percepire gli assegni in quanto continua a svolgere la sua attività di docente.
6. - Con la sola apodittica affermazione che "la norma in questione" (cioé il terzo comma dell'art. 13 del d.P.R. n. 382) "impone un trattamento economico differenziato senza un motivo costituzionalmente apprezzabile e quindi irragionevolmente", il TAR della Lombardia assume violati anche l'art. 36, primo comma, e l'art. 51, primo comma, della Costituzione.
Ma deve escludersi la fondatezza di tali censure.
Quanto all'art. 36, primo comma (diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare anche alla famiglia una esistenza libera e dignitosa) esso potrebbe essere preso in considerazione solo se la domanda del prof. Talamona fosse proposta contro il Banco del Monte che compensa (in ipotesi insufficientemente) il lavoro del presidente, e comunque solo impugnando, come si é già innanzi rilevato, la normativa regolante le Casse di Risparmio e i Monti di Pietà. E ciò, inoltre, dopo avere accertato la rilevanza in relazione all'ammontare del trattamento economico che la Banca del Monte di Milano fa al suo presidente.
La difesa del prof. Talamona nella sua memoria presentata alla vigilia dell'udienza riconosce che ciò "può essere vero in astratto", ma soggiunge che il legislatore nel disporre l'aspettativa dovrebbe "provvedere per quei casi in cui la normativa dell'ente non contempli per determinati incarichi, un compenso propriamente retributivo". In sostanza il legislatore avrebbe dovuto provvedere per ciascuna delle nomine per le quali l'art. 13, comma primo, del d.P.R. n. 382 del 1980 dispone il collocamento in aspettativa dei professori ordinari, un trattamento economico sostitutivo o integrativo di quello, che apparisse insufficiente, dell'ente presso il quale la nomina é avvenuta. Pretesa di contestabile ragionevolezza e possibilità di attuazione, la cui soddisfazione, comunque, é certamente non consentita alla Corte in surrogazione del legislatore.
Quanto all'art. 51, primo comma, della Costituzione, non si vede come esso possa essere coinvolto nella controversia sottoposta al TAR della Lombardia. Infatti, come aveva già osservato il TAR dell'Emilia Romagna nella causa iniziata dal prof. Sacchi Morsiani, dichiarando manifestamente infondata la questione sollevata con riferimento all'art. 51 (come del resto all'art. 36), il comma primo dell'art. 51 tende ad assicurare l'eguaglianza fra i cittadini che accedono o che intendono accedere a un dato ufficio pubblico o a una data carica elettiva, evitando ogni discriminazione personale, ma secondo i requisiti di legge.
7. - Di altri profili d’illegittimità della norma impugnata esposti nella difesa sia del prof. Talamona sia del prof. Sacchi Morsiani, ma non proposti nelle ordinanze dei TAR o addirittura dichiarati manifestamente infondati la Corte non deve occuparsi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo e terzo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica) sollevate dai TAR dell'Emilia Romagna e della Lombardia in riferimento agli artt. 3, 36, 51 e 97 della Costituzione con le ordinanze (n. 1012 del reg. ord. 1983 e n. 453 del reg. ord. 1984) di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1985.
Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1985.