SENTENZA N. 158
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, lett. d, della legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione e per la sperimentazione organizzativa e didattica) e art. 13, comma primo, n. 7 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, promosso con ordinanza emessa il 12 maggio 1983 dal TAR per la Liguria sul ricorso proposto da Cuocolo Fausto contro Università degli Studi di Genova, iscritta al n. 748 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 dell'anno 1984.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 febbraio 1985 il Giudice relatore Francesco Greco;
udito l'Avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il prof. Fausto Cuocolo, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova, con decreto del Rettore del 9 novembre 1981, in quanto eletto alla carica di Presidente del Consiglio Regionale della Liguria, é stato collocato in aspettativa di ufficio, ai sensi dell'art. 13, comma primo, n. 7 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, emanato in attuazione della legge di delega 21 febbraio 1980, n. 28, sul riordinamento della docenza universitaria.
Il prof. Cuocolo ha impugnato dinanzi al TAR della Liguria il decreto del Rettore ed ha sollevato, in quella sede, questione di illegittimità costituzionale del suddetto art. 13 per contrasto con gli artt. 3, 4, 76 Cost..
Il TAR, con ordinanza del 12 maggio 1983, regolarmente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata ed ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte.
Il TAR, anzitutto, ha ritenuto di verificare d'ufficio la conformità alla Costituzione dell'art. 4 della legge di delega n. 28 del 1980 e ne ha rilevato un primo dubbio di costituzionalità per violazione dell'art. 76 Cost..
A) Premesso che detta norma ha segnato un radicale mutamento del regime delle incompatibilità per i dipendenti pubblici, nominati alle cariche politiche, in quanto, mentre prima l'art. 88 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (testo modificato dall'art. 4 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261), in caso di mandato parlamentare, ha disposto il collocamento in aspettativa, di ufficio, del dipendente pubblico ed invece a domanda per il docente universitario, ora, la norma suddetta ha disposto il collocamento in aspettativa d'ufficio anche per il docente universitario, il giudice a quo ha rilevato che, per giunta, tale mutamento é intervenuto relativamente ad ipotesi più ampie e diverse per le quali é previsto il collocamento in aspettativa del dipendente pubblico a domanda: ciò, poi, in base a criteri qualitativi ed estrinseci, senza specifico riguardo all'impegno effettivo che la carica può importare.
Inoltre, a suo giudizio, l'indeterminatezza del concetto di "carica elevata" sfocia in scelte di merito legislativo che si sottraggono a qualunque sindacato giurisdizionale ed anche in possibili scelte discriminanti ed irrazionali, in assenza di specifici principi informatori.
B) Lo stesso giudice ha ritenuto che la citata norma di delega viola anche gli artt. 1 e 3 della Costituzione, in relazione all'art. 51 Cost. che garantisce il diritto di elettorato passivo del cittadino.
A suo giudizio, situazioni sostanzialmente identiche non risultano discriminate in base ad elementi obiettivi e, quindi, la distinzione non é ragionevole. Ed in definitiva, é stata attuata una limitazione all'accesso alle cariche pubbliche per una categoria di persone.
La discriminazione effettuata in base a criteri generici, nuoce al docente che é sottratto all'insegnamento e nuoce alle istituzioni, con conseguente lesione dell'interesse pubblico in quanto determina un forzato allontanamento dalle cariche politiche di persone di provata esperienza.
Tanto più che non é stato considerato il tipo di carica cui ci s’intende riferire, le sue caratteristiche ed il grado di impegno, anche in termini temporali, che essa richiede.
Il sospetto d’incostituzionalità non può essere fugato dalla possibilità, data al docente in aspettativa, di svolgere, presso l'università di provenienza, cicli di conferenze, attività seminariali e di ricerca anche applicativa e, comunque, detta possibilità si pone in contrasto con le finalità della norma che sono quelle di assicurare alla funzione di docenza la piena disponibilità di tempo.
C) Il TAR Liguria, con la stessa ordinanza in epigrafe, ha ritenuto, poi, sospetta d’incostituzionalità la norma delegata, ossia l'art. 13, n. 7 del d.P.R. n. 382 del 1980;
1) per violazione dell'art. 76 Cost. in quanto non sarebbero stati osservati i limiti posti dalla legge di delega, poiché questa menziona solo il caso di "nomina ad elevate cariche" mentre la norma impugnata riguarda una carica alla quale si accede "per elezione" e, comunque, quest'ultima consegue l'effetto di una compressione dell'esercizio dei diritti politici, ipotizzabile, del resto, sia rispetto a cariche cui si accede per nomina, sia rispetto a cariche cui si accede per elezione.
Inoltre, la dedotta violazione sussiste in ogni caso in quanto non risulta che si sia tenuto conto dei minori impegni che la carica di Presidente del Consiglio regionale importa, poiché i suoi compiti sono limitati alla direzione dei lavori del Consiglio regionale e all'esercizio della rappresentanza esterna; il che consente anche il compiuto esercizio dell'attività di docente universitario;
2) per violazione dell'art. 4 Cost. in quanto, a parere dello stesso giudice, la sancita situazione d’incompatibilità presenta carattere arbitrario e conculca il diritto al lavoro che é correlativo all'esercizio dei diritti politici; presenta caratteri di arbitrarietà stante l'assenza di giustificazioni obiettive e ragionevoli, a fondamento del trattamento discriminatorio riservato ai docenti universitari rispetto alla generalità dei cittadini;
3) per violazione dell'art. 3 della Cost. sotto un triplice profilo di disparità di trattamento:
a) in danno dei docenti universitari nei confronti degli altri dipendenti pubblici per cui é prevista l'aspettativa a domanda;
b) esistente in seno alla stessa categoria di professori universitari per i quali é stata disposta l'aspettativa a domanda, se eletti alla carica di Consiglieri regionali, e l'aspettativa d'ufficio se eletti alla carica di Presidente del Consiglio regionale, senza ragionevoli motivi per ritenere che tale carica comporti oneri più rilevanti rispetto alla carica di Consigliere regionale o di Vice-presidente del Consiglio regionale;
c) tra professori ordinari e professori incaricati per i quali la norma impugnata non trova applicazione, pur sussistendo una sostanziale parità di condizioni e la ricorrenza alla stessa ratio legis.
Nel giudizio ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri con memoria. Essa ha contestato:
a) la pretesa violazione dell'art. 76 Cost., in quanto é carattere connaturale e necessario della legge di delega la indicazione, oltre che di limiti temporali, di principi generici, da specificarsi, poi, dal legislatore delegato. Il che é avvenuto nella specie in quanto l'art. 4 della legge di delega n, 28 del 1980 detta una direttiva (collocamento in aspettativa di ufficio al fine di favorire un impegno il più possibile esclusivo, a favore dell'attività didattica ed accademica), mentre la legge delega prevede una scelta opzionale del docente tra tempo pieno e tempo definito e, nell'ambito del primo, a seguito della scelta dell'interessato, l'incompatibilità con gli impegni assunti anche in relazione allo svolgimento della collaterale attività professionale ed alla eleggibilità alle cariche accademiche;
b) l’insussistenza della dedotta compressione dei diritti di elettorato passivo in quanto le previste situazioni di incompatibilità, con il conseguente regime di collocamento in aspettativa di ufficio, corrispondono ad una valutazione dell'interesse generale in considerazione della qualità e quantità dell'impegno richiesto dal mandato pubblico, mentre l'obbligo imposto del temporaneo allontanamento dall'insegnamento universitario é un elemento di apprezzamento lasciato alla libera determinazione individuale;
c) la insussistenza della violazione dell'art. 3 Cost. per disparità di trattamento con gli altri dipendenti pubblici in quanto il regime di incompatibilità instaurato trova adeguata e razionale giustificazione nella peculiare posizione giuridica dei professori universitari, disciplinata, anzitutto, da norme speciali e poi da quelle generali solo in caso di mancata previsione e di insussistenza di contrasto;
d) l’insussistenza di una disparità di trattamento dei professori ordinari rispetto ai professori incaricati in quanto, anche per questi ultimi, il regime di incompatibiiltà é sancito dall'art. 118 del d.P.R. n. 382 del 1980.
Alla udienza pubblica, la sola Avvocatura Generale dello Stato presente si é riportata agli scritti.
Considerato in diritto
1. - Per ragioni di ordine logico possono essere esaminate congiuntamente le violazioni dell'art. 76 Cost., denunciate dal giudice a quo in relazione all'art. 4 della legge di delega 21 febbraio 1980, n. 28 ed in relazione all'art. 13, primo comma, n. 7 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.
L'art. 4 della legge n. 28 del 1980, alla lett. d) prevede il collocamento in aspettativa di ufficio del docente universitario, tra l'altro, "nominato ad elevate cariche amministrative, politiche o giornalistiche", salva la possibilità di svolgere, nell'università presso cui é titolare, cicli di conferenze, attività seminariali ed attività di ricerca, anche applicativa.
L'art. 13, primo comma, n. 7 del d.P.R. n. 382 del 1980, emanato in attuazione della delega, prevede il collocamento in aspettativa, per la durata della carica, del docente, tra l'altro, nominato Presidente del Consiglio regionale.
Il giudice rileva che l'art. 4 della legge di delega innanzi citata, in contrasto con quanto prescritto dal precetto costituzionale (art. 76 Cost.), il quale riserva al legislatore delegante la fissazione dei "principi e dei criteri direttivi" nel cui ambito, poi, si dovrà esprimere la norma delegata, ha preso in considerazione solo il concetto ampio e generico di "carica elevata", senza specifico riguardo all'impegno di tempo che l'esercizio della carica possa comportare.
Dalla rilevata genericità della formulazione della norma di delega conseguirebbe, a parere dello stesso giudice, la possibilità di scelte di merito legislativo sottraibili a sindacato giurisdizionale ed esorbitanti dai poteri costituzionalmente propri del legislatore delegato nonché di scelte discriminanti ed irrazionali rispetto alla ratio della stessa legge di delega.
La stessa ragione del collocamento di ufficio in aspettativa del docente universitario rimarrebbe inattuata proprio per la mancata formulazione di principi specifici.
La legge delegata violerebbe l'art. 76 Cost. anzitutto perché, mentre la legge di delega fa testuale menzione della sola ipotesi della "nomina" ad elevate cariche politiche, amministrative e giornalistiche, la legge delegata prevede, invece, tra quelle determinatrici dell'incompatibilità per il docente universitario, la carica di Presidente del Consiglio regionale, cui si accede per "elezione".
Inoltre, la stessa norma delegata disattenderebbe la ratio del regime d’incompatibilità, da individuarsi nell'esigenza di assicurare all'attività del docente pienezza di impegno e di disponibilità, perché non avrebbe tenuto conto del fatto che la carica di Presidente del Consiglio regionale comporta l'espletamento di compiti limitati alla direzione dei lavori del Consiglio ed all'esercizio della rappresentanza esterna e, quindi, richiederebbe ridotti impegni, in termini di tempo, tali da non ostacolare l'esercizio dell'attività di docente.
Le censure non possono trovare accoglimento. Invero, questa Corte, interpretando l'art. 76 Cost., ha più volte affermato che la legge di delega deve contenere, oltre i limiti di durata e la definizione degli oggetti, l'enunciazione dei principi e criteri direttivi e che, all'uopo, il precetto costituzionale é da ritenersi soddisfatto allorché sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre, allo stesso legislatore delegato é demandata la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilire, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante.
Le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l'hanno determinata, ma, dall'altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare.
In particolare, la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità, inidonee o insufficienti ad indirizzare l'attività normativa del legislatore delegato.
Il controllo di costituzionalità riservato a questa Corte riguarda le difformità della norma delegata rispetto a quella delegante e non le scelte del legislatore che investono il merito della legge delegata.
Nella fattispecie, la legge di delega ha osservato il precetto costituzionale indicando al legislatore delegato, con sufficiente approssimazione e nei giusti limiti, quelle situazioni determinatrici d’incompatibilità per l'eventuale, contemporaneo svolgimento dell'ufficio pubblico e dell'attività di docenza universitaria ed in concreto individuandole, tra le altre, nelle "elevate cariche politiche, amministrative e giornalistiche".
L'elevatezza della carica non deve essere valutata soltanto in relazione all'impegno di tempo che essa richiede per l'espletamento delle relative funzioni, ma anche in considerazione della posizione che essa conferisce e per la situazione di prestigio, di imparzialità e di indipendenza che esige il corretto svolgimento dell'incarico.
La legge delegata ha attuato le direttive ed i criteri della legge di delega allorché ha compreso, tra le cariche elevate, quella di Presidente del Consiglio regionale.
Non può dubitarsi che si tratti di una carica elevata se si considerano le funzioni che ne derivano. Sono, non solo quelle di rappresentanza esterna del Consiglio Regionale e nei rapporti con la Giunta, ma quelle di compilazione degli ordini del giorno, della direzione dei lavori dell'assemblea, di regolamentazione della discussione, della disposizione della votazione, della proclamazione dei risultati, del controllo di legittimità delle deliberazioni, di tutela delle minoranze, della nomina dei Commissari, della comminazione, delle sanzioni al Consiglieri ecc. ...
Risulta altresì rispettata la ratio della legge di riforma della docenza universitaria che esige il massimo impegno del docente universitario nello svolgimento dell'attività didattica di insegnamento e di ricerca, non potendo, il docente universitario, svolgere ed attuare i suoi compiti contemporaneamente alle altre funzioni di così notevole importanza e di così notevole impegno.
Per quanto riguarda, poi, più specificamente la legge delegata, non é stato certamente violato l'art. 76 Cost. per effetto della menzione, tra le elevate cariche, di quella di Presidente del Consiglio regionale per quanto riguarda le modalità dell'accesso alla stessa.
Il termine "nomina", utilizzato dalla legge di delega, é da intendersi in senso generico, con riferimento specifico alla carica e non al modo di conseguirla, di guisa che non si può distinguere la chiamata diretta dall’elezione.
Il significato della norma risulta palese, senza ombra di dubbio, se si pone attenzione alle altre cariche che ugualmente creano l'incompatibilità per il docente universitario. Ad alcune di esse si accede per chiamata diretta o per elezione, quale, ad esempio, la carica di Presidente del Consiglio, la nomina a giudice della Corte costituzionale, la nomina a componente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Restano, infine, sottratte a sindacato costituzionale, da parte di questa Corte, tutte le scelte "di merito" effettuate dal legislatore delegato nell'esercizio della discrezionalità di cui gode.
2. - Il giudice a quo denuncia, poi, ulteriori motivi di illegittimità costituzionale dello stesso art. 4, lett. d), della legge di delega n. 28 del 1980 per violazione dell'art. 51 Cost. in relazione agli artt. 1 e 3 della Costituzione e dell'art. 13, primo comma n. 7 della legge delegata n. 382 del 1980 in relazione all'art. 3 Cost..
Rileva all'uopo che la contestata incompatibilità prevista per i professori universitari, nonostante la garanzia di carattere costituzionale che assiste il soggetto posto in aspettativa di ufficio, si pone come limitativa dell'accesso alle cariche pubbliche in quanto imporrebbe al docente una scelta tra la carriera universitaria e la carica pubblica e lo costringerebbe a non abbracciare la carriera politica per non lasciare l'insegnamento universitario.
Sussisterebbe, quindi, anche la violazione del basilare principio democratico sancito dall'art. 1 della Costituzione e del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. in quanto la difformità del trattamento imposto al professore universitario nei confronti della generalità dei cittadini, per i quali non vi sono limiti per l'accesso alle cariche pubbliche, non trova giustificazione in un criterio di ragionevolezza che consenta una discriminazione, in base ad elementi obiettivi, di situazioni sostanzialmente identiche, tanto più che la "elevata carica" non é bene specificata.
Lo stesso giudice a quo soggiunge che il sospetto di incostituzionalità non può essere fugato dalla possibilità che la norma impugnata attribuisce al docente universitario collocato d'ufficio in aspettativa, di tenere, presso l'università di provenienza, cicli di conferenze e seminari e svolgere attività di ricerca, anche applicativa.
La violazione dell'art. 4 Cost. da parte della norma delegata sussisterebbe in quanto, in sostanza, la sancita situazione di incompatibilità produrrebbe una compressione del diritto al lavoro, configurandosi questo come uno dei termini della correlazione tra l'esercizio di diritti politici e la libera esplicazione di attività lavorativa e stante la mancanza di una giustificazione obiettiva e ragionevole del trattamento discriminatorio, riservato ai docenti universitari rispetto alla generalità dei cittadini.
Anche questi motivi non persuadono.
Questa Corte ha più volte precisato che l'art. 1 della Costituzione afferma solo il principio ispiratore della tutela del lavoro e non vuole determinare i modi e le forme di questa tutela e che l'art. 4 Cost. mette solo in risalto l'importanza sociale del diritto al lavoro (sent. 194/76; 16/80).
Per quanto concerne l'art. 51 Cost., la Corte osserva che la norma riguarda indubbiamente i rapporti politici in senso ampio; comprende, cioé, non solo l'elezione a membro dei due rami del Parlamento ma anche l'elezione agli organi elettivi previsti nel nostro ordinamento, regionali, provinciali e locali, tutti considerati costituenti il tessuto connettivo dell'ordinamento statuale e tutti rilevanti per attuare gli interessi generali, onde rimanga assicurato il pieno svolgimento della vita democratica del Paese.
Come già ha considerato questa Corte (sent. 194/1976, 16/1980), i precetti costituzionali invocati (l'art. 51 Cost. in relazione all'art. 3) riconoscono ai cittadini chiamati a ricoprire cariche pubbliche, in parità ed in eguaglianza per tutti, la disponibilità del tempo necessario all'adempimento dei compiti propri degli uffici e delle cariche pubbliche e la conservazione del posto di lavoro.
Ad una esplicita affermazione del principio contenuto nella prima parte (uguaglianza dei cittadini nell'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive) corrisponde un'altrettanto esplicita dichiarazione di volontà, contenuta nell'ultimo comma, con il quale il costituente ha individuato, come garanzia di attuazione del precetto contenuto nel primo comma, la disponibilità del tempo necessario per l'adempimento dei compiti degli uffici e delle cariche pubbliche ed il mantenimento del posto di lavoro.
L'uguaglianza non solo é riferita al trattamento ed alla conservazione delle posizioni soggettive del cittadino, nella specie del dipendente pubblico, ma essa, come la parità delle condizioni obiettive, riguarda la disponibilità del tempo, l'autonomia e l'indipendenza da vincoli che possano costituire, in qualsiasi modo, remore al libero esercizio del mandato e della carica.
Il diritto di conservare il posto di lavoro va inteso però come diritto a mantenere il rapporto di lavoro o d’impiego e non come diritto all'effettivo esercizio delle funzioni.
Lo stesso art. 51, pur contenendo l'affermazione, come precetto costituzionale, della uguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dell'elettorato passivo, contiene anche un rinvio alla legge ordinaria; riconosce, cioé, al legislatore ordinario la facoltà di disciplinare in concreto l'esercizio dei diritti garantiti; di fissare, cioé, le relative modalità, a condizione, però, che non risultino menomati i diritti riconosciuti. Egli ha, cioé, il potere di disciplinare in modo diverso situazioni che ritiene abbiano carattere di particolarità, a condizione, però, che la diversità di trattamento si ispiri a criteri di razionalità e risultino prese in considerazione intere categorie e non singoli cittadini.
Nel caso che interessa, il legislatore ha preso in considerazione l'intera categoria dei docenti universitari ed ha, in concreto, stabilito quali siano le cariche pubbliche che comportano l'assorbimento quasi totale delle capacità lavorative di colui che é chiamato a ricoprirle. E rientra nei suoi poteri la relativa indagine di fatto che prende in considerazione la natura, la complessità e l’importanza dell'incarico in relazione alla natura dell'ente alla direzione del quale l'eletto é stato designato.
La diversità del trattamento fatto ai docenti universitari nei confronti degli altri dipendenti pubblici, trova adeguata e razionale giustificazione proprio nella ratio della riforma dell'ordinamento universitario e negli obiettivi che il legislatore con essa ha inteso raggiungere.
Queste ragioni sono ben individuate nella necessità che sia garantita un'ampia disponibilità del docente per i compiti propri della didattica e della ricerca.
Le incompatibilità sancite trovano giustificazione proprio nella considerazione, fondata, dell’impossibilità del contemporaneo svolgimento, in modo adeguato, dell'attività di docente universitario nei compiti nuovi e complessi derivanti dalla riforma dell'ordinamento universitario e dei compiti di notevole impegno connessi alla carica pubblica cui si é eletti nonché nella natura stessa della carica che esige piena autonomia ed imparzialità.
La norma, altresì s’ispira anche a criteri di opportunità pratica suggeriti, oltre che dalla considerazione dei compiti e del lavoro che impegna il Presidente del Consiglio regionale, anche dall'esigenza di assicurare il buon andamento dell'amministrazione.
Il collocamento in aspettativa di ufficio del docente non comprime i suoi diritti di elettorato passivo a lui spettanti come a qualsiasi altro cittadino né coarta la sua volontà. Egli é libero nella scelta e nell’autodeterminazione.
In definitiva, il diritto di elettorato passivo risulta tutelato in maniera più decisa in quanto l'aspettativa che esonera il docente per la durata della carica conferisce allo stesso una maggiore disponibilità di tempo.
La disciplina apprestata dal legislatore é certamente ragionevole.
Tanto più che al docente posto in aspettativa é consentito di svolgere l'attività di ricerca, anche applicativa, ed il lavoro seminariale, nonché di tenere cicli di conferenze. In tal modo da un verso si é tenuto conto del valore sociale della docenza universitaria e del servizio che il docente può rendere in assemblee elettive e, dall'altro, del servizio che egli può continuare a svolgere nell'università, garantendo, così, all'università l'apporto dell'esperienza civile e politica che il docente compie nel campo politico-amministrativo.
In altri termini, é attuato un collegamento tra attività reciprocamente utili, dal punto di vista obiettivo e sociale e, per il profilo soggettivo, é realizzato un equo comportamento tra le esigenze, da riconoscersi al docente come a tutti i cittadini, di partecipare alla vita politica con la garanzia dell'accesso alle cariche pubbliche, e le esigenze del mantenimento dei contatti del docente con la vita universitaria alla quale non rimane estraniato ed assente del tutto, svolgendo un'attività di docenza, sia pur limitata.
Pertanto, nessuna delle norme costituzionali invocate risulta violata, per avere il legislatore stabilito, nei confronti di soggetti ai quali il lavoro é assicurato da un rapporto di pubblico impiego, una incompatibilità volta ad assicurare le finalità sociali che il tipo di lavoro é diretto a realizzare, e le finalità pubbliche, con la maggiore efficienza possibile per entrambe.
3. - Infine, il giudice a quo ha denunciato la violazione dell'art. 3 Cost. sotto un triplice profilo di disparità di trattamento:
a) che si verificherebbe, senza ragionevole giustificazione, in danno dei professori universitari rispetto agli altri pubblici dipendenti per i quali si applica il regime dell'aspettativa a domanda anziché quello d'ufficio, sia nel caso di elezione alla carica di Consigliere regionale sia in quello di elezione alla carica di Presidente del Consiglio regionale;
b) che sussisterebbe nell'ambito della stessa categoria di professori universitari in quanto per i medesimi opera il regime del collocamento in aspettativa a domanda, se eletti consiglieri regionali, e quello del collocamento in aspettativa di ufficio, se eletti, successivamente, alla carica di Presidente del Consiglio regionale, sebbene non vi siano ragionevoli motivi per ritenere che tale carica, rispetto a quella di Consigliere regionale o di Vice-Presidente del Consiglio regionale, comporti oneri più rilevanti;
c) che esisterebbe, senza ragionevole giustificazione, tra i professori ordinari ed i professori incaricati, per i quali non trova applicazione la norma impugnata, nonostante che, in ordine all'esercizio della funzione docente, una sostanziale parità di condizioni sembri caratterizzare entrambe le categorie e si debba realizzare la stessa ratio legis.
Come questa Corte, in questione analoga (sent. n. 6/1960), ha già ritenuto e già si é detto innanzi, il legislatore ordinario, nel disciplinare le modalità di esercizio dei diritti individuali preveduti dall'art. 51, terzo comma, Cost., può emanare norme che si adattino alla possibile diversità delle situazioni considerate.
In altri termini, il legislatore ordinario ha il potere di apprezzare se per talune categorie di dipendenti pubblici ricorrano situazioni particolari che rendano opportuno disporre per esse un trattamento speciale o differenziato che tenga conto della effettiva possibilità di esercitare i relativi compiti contemporaneamente all'espletamento di attività in altri uffici pubblici o in altre cariche pubbliche.
Può ritenersi giustificato e razionale il diverso trattamento se effettivamente l'appartenente ad una categoria abbia maggiore disponibilità di tempo rispetto all'altro o se ciascun appartenente ad essa abbia la possibilità di regolare direttamente le modalità o l'impiego di tempo per il proprio lavoro (così era all'epoca della fattispecie esaminata per i professori universitari rispetto agli altri impiegati pubblici).
Ed il trattamento ora previsto per i professori universitari (ossia il collocamento in aspettativa di ufficio), rispetto agli altri impiegati pubblici (collocamento in aspettativa a domanda), dal legislatore ordinario nell'esercizio del potere discrezionale a lui attribuito, trova adeguata e razionale giustificazione nella situazione diversa del professore rispetto a quello degli altri impiegati pubblici, che si é venuta a creare a seguito della riforma della docenza universitaria per effetto della legge n. 28 del 1980, nella sua multiforme attività didattica.
Gli attuali impegni del docente universitario (insegnamento, ricerca, seminari, esami, conferenze nella facoltà e nell'istituto o nel dipartimento) esigono orari non sempre predeterminabili con sufficiente anticipo o con un certo margine di certezza, sicché egli non ha il tempo libero sufficiente per svolgere contemporaneamente anche l'attività in uffici o cariche pubbliche, specie se elevate ed impegnative come quella di Presidente del Consiglio regionale rispetto a quella di Consigliere regionale, come già si é detto innanzi.
Del resto, può anche dirsi che la norma di previsione, diversa per gli impiegati pubblici, difficilmente può avere pratica attuazione in quanto anche per essi, in realtà, é difficile lo svolgimento di attività nell'ufficio di appartenenza e nell'ufficio politico-amministrativo cui sono stati eletti.
E altresì trova giustificazione razionale il trattamento differenziato, predisposto per i professori universitari, per la elezione alle diverse cariche di Consigliere regionale e di Presidente del Consiglio regionale per la diversità delle cariche e degli uffici.
Il Consigliere regionale non ha certo quegli impegni che ha il Presidente del Consiglio regionale, che sono stati partitamente ricordati innanzi, all'interno del Consiglio ed all'esterno; e le due cariche non sono uguali anche per il rango, l'importanza, l'imparzialità e l'autonomia assoluta che richiedono.
La stessa carica di Vice-Presidente é diversa, trattandosi normalmente di un ufficio vicario senza compiti propri, specifici e particolari.
Infine, non sussiste disparità di trattamento tra i professori universitari e gli incaricati.
Invero, per gli incaricati stabilizzati sussistono le stesse incompatibilità ad essi estese dall'art. 118 della stessa legge n. 28 del 1980.
Per i non stabilizzati, il diverso trattamento trova razionale giustificazione nella situazione del tutto precaria in cui essi si trovano.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, lett. d), della legge 21 febbraio 1980, n. 28 in riferimento agli artt. 1, 3, 51 e 76 Cost. e dell'art. 13, primo comma, n. 7 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in riferimento agli artt. 3, 4, 76 Cost., proposte dal TAR della Liguria, con ordinanza del 12 maggio 1983.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 1985.
Leopoldo ELIA - Francesco GRECO
Depositata in cancelleria il 23 maggio 1985.