SENTENZA N. 156
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 27 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (Norme integrative e correttive del d.P.R. n. 636 del 1972 concernente la revisione della disciplina del contenzioso tributario), dell'art. 17, comma secondo, legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo per la riforma tributaria) e dell'art. 48, comma primo, legge 24 aprile 1980, n. 146 promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1984 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Scotto Ignazio ed altri c/Ministero delle finanze ed altra, iscritta al n. 1185 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 328 del 1984.
Visti gli atti di costituzione di Scotto Ignazio, di Toro Enrico ed altri nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 febbraio 1985 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
uditi l'avv. Federico Sorrentino per Scotto Ignazio ed altri e l'Avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Consiglio di Stato, Sezione IV giurisdizionale, ha sollevato, con ordinanza del 26 giugno 1984, una serie di questioni incidentali di legittimità costituzionale.
La prima riguarda l'art. 27 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, nella parte in cui fissa a 75 anni il limite di età per far parte delle Commissioni tributarie. Si assume che tale disposizione violi gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, avendo con essa il Governo espressamente abrogato l'art. 45, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che aveva fissato tale limite di età a 78 anni ed era stato emanato nell'esercizio della legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825 (Riforma tributaria). La norma impugnata, quindi, é stata emanata o in assenza di apposita delega del Parlamento o comunque eccedendo dai limiti della delega ricevuta, rientrando anche il d.P.R. n. 739/1981 nell'ambito della legge delega n. 825 del 1971.
2. - La seconda questione attiene, invece, all'art. 17, secondo comma, della legge di delega n. 825/1971, che attribuisce al Governo il potere di legiferare sulla materia.
Se tale norma venisse, infatti, interpretata estensivamente, così da attribuire al Governo la facoltà di ripetute e successive modificazioni sostanziali della normativa vigente, essa travalicherebbe i limiti propri della delega legislativa, nei quali rientra - secondo l'ordinanza di rinvio - il principio già citato della non reiterabilità dell'esercizio della delega, con conseguente lesione dell'art. 76 della Costituzione.
3. - Lo stesso art. 17 della legge di delega viene denunciato sotto altro profilo, sempre in relazione all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui ammette interventi "integrativi e correttivi" da parte del legislatore delegato senza specificare i principi e criteri direttivi da osservare in detti interventi.
Se infatti il concetto di disposizione correttiva si intende in termini molto ristretti - prosegue il giudice a quo - poteva forse essere sufficiente il rinvio agli stessi principi e criteri direttivi imposti dal delegante al delegato ai fini dell'emanazione delle prime disposizioni delegate; se invece si dà al potere correttivo un'interpretazione molto lata - così da comprendervi l'emanazione della norma impugnata - allora certamente avrebbe dovuto il Parlamento "circoscrivere e puntualizzare i poteri del delegato mediante l'imposizione di ulteriori appositi criteri direttivi necessariamente non coincidenti con quelli dettati per le prime norme delegate".
4. - Con la quarta questione si impugna, sempre in relazione all'art. 76 della Costituzione, anche l'art. 48 della legge 24 aprile 1980, n. 146 (e derivatamente del citato art. 27 d.P.R. n. 739/1981), che proroga ulteriormente sino al 31 dicembre 1981 il termine per l'esercizio della delega, originariamente fissato al 31 dicembre 1972, rendendo così possibile l'emanazione della disposizione "correttiva" denunciata. Anche se la prorogabilità della delega é ammessa in virtù del principio generale secondo il quale chi ha l'autorità di fissare un termine lo può prorogare, salvo norme in contrario, tale principio comporterebbe - secondo il giudice a quo - anche la regola universalmente riconosciuta che il potere di prorogare non può essere più esercitato a termine scaduto.
Il che non toglie naturalmente la possibilità di una delega nuova nella stessa materia, ma allora la legge di delega avrebbe dovuto contenere i nuovi criteri direttivi, non essendo sufficiente il semplice richiamo a quelli della prima legge, ormai vecchi di quasi un decennio e concepiti per una riforma già integralmente attuata.
5. - Un'ulteriore questione viene sollevata in via subordinata riguardo all'art. 27 d.P.R. n. 739/1981, in riferimento agli artt. 25 (intangibilità del giudice naturale precostituito per legge) e 108 (indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali) della Costituzione.
Con la disposizione impugnata, infatti, il Governo avrebbe in sostanza determinato la cessazione dalle funzioni dei più anziani membri della Commissione centrale tributaria (tutti facilmente identificabili), con conseguente alterazione della composizione dei collegi anche per i ricorsi già pendenti.
6. - Un'ultima questione d’incostituzionalità riguarda infine lo stesso art. 27 già impugnato in riferimento all'art. 76 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dal legislatore delegante con il citato art. 17, secondo comma, della legge n. 825/1971. Di tali criteri faceva parte anche l'acquisizione obbligatoria di un parere dell'apposita commissione parlamentare di cui al primo comma dello stesso art. 17.
Ora, sebbene tale parere non fosse vincolante - si legge nell'ordinanza di rinvio - la sua negatività, proprio in merito all'abrogazione dell'art. 45 d.P.R. n. 636/1972 sui limiti di età, avrebbe dovuto indurre il Governo a dare una adeguata motivazione alla sua decisione diametralmente opposta al parere esplicito e motivato della commissione parlamentare.
La richiesta obbligatoria del parere non era quindi un adempimento meramente formale, ma intendeva piuttosto porre un limite alla discrezionalità del Governo, costringendolo a darsi carico dell'orientamento manifestato nel parere attraverso un’espressa giustificazione del diverso indirizzo adottato.
7. - Si sono costituite in giudizio le parti private, rappresentate e difese dall'avv. Federico Sorrentino del Foro di Roma. Nel giudizio di merito esse avevano impugnato davanti al TAR del Lazio il provvedimento che aveva disposto il loro collocamento a riposo dal 1 gennaio 1982 (ovvero al compimento del 75' anno di età, se successivo), in applicazione dell'impugnato art. 27 d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739. Avverso la decisione del TAR, che aveva dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale già proposte in quella sede, i ricorrenti hanno adito il Consiglio di Stato.
Nelle deduzioni di parte si svolgono le medesime argomentazioni poste a fondamento dell'ordinanza di rimessione.
8. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, deducendo l'infondatezza di tutte le questioni sollevate.
Il primo dubbio - incentrato sulla distinzione del concetto di "norma solamente correttiva" nel più vasto ambito delle norme modificative - verrebbe infatti a cadere se si considera che la stessa legge di delega menziona espressamente proprio le "disposizioni ... correttive" da emanare "con uno o più decreti", ragion per cui nella stessa ordinanza di rimessione si avverte la necessità di prospettare un subordinato dubbio di costituzionalità.
La seconda questione si fonda, infatti, sul principio della "istantaneità della consumazione del potere di delega", che tuttavia - osserva l'Avvocatura - da un lato é contestato in dottrina (cfr. Paladin), dall'altro nel caso di specie é escluso dal momento che la stessa legge di delega dispone in senso contrario.
Né avrebbe maggior fondamento la terza questione, in quanto le "disposizioni correttive" previste dalla delega postulano chiaramente la valutazione di una esperienza specifica sulla base delle prime norme emanate nell'esercizio della delega. Ed i criteri direttivi originari erano più che sufficienti per tale verifica, non potendosi esigere - come non esige la Costituzione - l'imposizione nella legge di delega di ulteriori "appositi" criteri direttivi formulati a priori.
Anche la quarta questione non ha fondamento in quanto pretendere, per una mera proroga del termine di una legge di delega, la determinazione di altri criteri direttivi contrasterebbe con il concetto stesso di proroga e sottrarrebbe, comunque, al legislatore ordinario la valutazione circa la lamentata "vecchiaia" dei criteri stessi e la "integrale attuazione" della riforma, che certamente non compete al giudice.
Né appare violato - prosegue l'Avvocatura - il principio dell’intangibilità del giudice naturale. Questi, infatti, non é tale perché costituito da persone determinate, ma perché preposto a garantire determinati diritti e interessi in una determinata materia. Altrimenti quel principio sarebbe di continuo violato da qualsiasi trasferimento o sostituzione di giudici. Né può esservi interferenza del Governo nella sfera giurisdizionale, quando esso esercita una funzione di legislazione delegata.
Infine anche l'ultima questione, con la quale si lamenta che il Governo non abbia tenuto nel dovuto conto il parere contrario della commissione parlamentare, non ha fondamento, in quanto un parere non vincolante può ben essere disatteso tanquam non esset dal legislatore delegato.
Venendo alla sostanza della norma impugnata, la difesa dello Stato osserva che la eccezionalità del limite di età a settantotto anni (art. 45 d.P.R. n. 636/1972), in un sistema che lo fissa per le funzioni giurisdizionali ordinarie a settanta anni e per quelle tributarie a settantacinque, poteva giustificarsi solo per garantire nella prima applicazione della riforma tributaria la utilizzazione di una specifica e matura esperienza ai fini della continuità di indirizzo; ma a distanza di dieci anni questi fini si devono presumere pienamente raggiunti con il superamento della fase di prima applicazione della riforma.
Considerato in diritto
1. - Sei sono le questioni formalmente sottoposte all'esame di questa Corte.
Con la prima si chiede se contrasti o meno con gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione l'art. 27 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, nella parte in cui fissa a settantacinque anni il limite di età per far parte delle Commissioni tributarie; per il dubbio che tale norma - abrogando l'art. 45, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che aveva fissato tale limite a settantotto anni - ecceda dalla delega concessa al Governo dalla legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Riforma tributaria), violando, con l'emanazione reiterata di due norme di contenuto contrastante nella stessa materia, il principio della istantaneità e non reiterabilità dell'esercizio della delega.
Una delle caratteristiche essenziali della delega del potere legislativo - argomenta il giudice a quo - sarebbe infatti l'istantaneità del suo esercizio, nel senso che il Governo può sì dividere una disciplina vasta e complessa in più testi normativi, anche a distanza di tempo, purché si tratti di disposizioni logicamente diverse e non incompatibili tra loro, ma non può, una volta posta una norma per determinati fini, valersi ancora della stessa delega originaria per abrogarla.
Né si può considerare la norma impugnata semplicemente correttiva - si legge nell'ordinanza - in quanto essa anziché confermare sostanzialmente il disposto della norma originaria - come sarebbe proprio delle norme correttive - la capovolge radicalmente, privando determinati soggetti, tutti inequivocabilmente identificabili, del titolo a mantenere ed esercitare un munus publicum che la norma originaria aveva loro attribuito.
2. - Alla violazione del medesimo principio si ricollega anche la seconda questione, con la quale si chiede se contrasti o meno con lo stesso art. 76 della Costituzione l'art. 17, secondo comma, della citata legge di delega n. 825 del 1971, nella parte in cui consente al Governo di adottare a distanza di tempo disposizioni di contenuto contrario nella stessa materia (artt. 45 d.P.R. n. 636/1972 e 27 d.P.R. n. 739/1981). In sostanza - secondo il giudice a quo - o é stato il Governo ad eccedere dalla delega ricevuta esercitandola reiteratamente con l'emanazione di norme contrastanti (prima questione) o é stato lo stesso Parlamento a conferire una delega eccedente i limiti fissati dall'art. 76 della Costituzione (seconda questione).
3. - Entrambe le questioni sono infondate.
Quanto alla prima occorre osservare che la legge di delega n. 825 del 1971 aveva per oggetto l'attuazione di una riforma ampia e complessa che copriva l'intera materia del prelievo fiscale, per cui lo stesso legislatore delegante previde la necessità di emanare, nei termini di tempo prefissati e in conformità di determinati principi direttivi indicati dal Parlamento, più provvedimenti normativi delegati.
Ed occorre soprattutto ricordare che la delega originaria é stata più volte rinnovata per mezzo di successive leggi di proroga, in virtù di una delle quali (legge 24 aprile 1980, n. 146) é stata prodotta la norma impugnata. Ben poteva perciò il Governo legiferare in una materia così vasta e complessa con più testi normativi emanati anche a distanza di tempo, di tal ché viene a cadere il primo dubbio sollevato dal giudice a quo: che cioé l'impugnato art. 27 sia stato emanato senza il sostegno di una delega.
Né maggior fondamento ha l'altro profilo prospettato dal Consiglio di Stato: che cioé il Governo, pur essendo legittimato dalla legge di delega ad emanare più disposizioni nella stessa materia a distanza di tempo, abbia ecceduto con la norma impugnata i limiti di tale delega. Questa, infatti, disponeva all'art. 17, secondo comma, che il legislatore delegato aveva la facoltà di emanare ulteriori "disposizioni integrative e correttive" delle prime, "nel rispetto dei principi e criteri direttivi", anche con uno o più decreti successivi. Ora - secondo il giudice a quo - l'art. 27 non sarebbe una norma correttiva o integrativa, ma sostanzialmente modificativa, tale quindi da travalicare i limiti della delega fissati dal Parlamento.
Senonché tale valutazione sulla natura della norma delegata non può essere seguita.
Nel primo esercizio della delega, infatti, il Governo dispose all'art. 45, secondo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972 che "nella prima applicazione del decreto" il limite di età per i componenti delle commissioni tributarie, stabilito nel terzo comma dell'art. 10, veniva elevato di tre anni. Ed il terzo comma dell'articolo citato fissava tale limite a settantacinque anni.
La regola, quindi, per la cessazione dall'ufficio era - nella normativa delegata - il raggiungimento del settantacinquesimo anno di età. Solo in via transitoria ed eccezionale, cioé per la prima fase di applicazione della nuova normativa, tale limite veniva portato al settantottesimo anno di età, allo scopo evidente di assicurare una continuità di esperienza giurisprudenziale nella fase delicata di transizione dalla vecchia alla nuova disciplina fiscale.
La norma impugnata del d.P.R. n. 739 del 1981 non fece che ripristinare la regola generale di cui all'art. 10 del decreto del 1972.
Tale norma aveva quindi il carattere di norma integrativa, la cui emanazione era consentita al Governo dall'art. 17 della legge di delega.
Una volta, infatti, che lo stesso legislatore delegato, nel pieno esercizio della delega ricevuta, abbia esplicitamente prodotto una norma per disciplinare una certa materia soltanto nella fase iniziale di applicazione di una normativa riformatrice, rientra nei poteri dello stesso legislatore delegato, conferitigli nella stessa legge di delega, integrare - senza necessità di una delega ulteriore o di fissazione di ulteriori criteri o principi direttivi - la norma transitoria iniziale con norme di contenuto anche diverso, al fine di coprire il vuoto normativo che altrimenti si produrrebbe con la cessazione della prima fase di applicazione della riforma. Né può essere sottratta allo stesso legislatore delegato la valutazione discrezionale del momento in cui la fase iniziale di applicazione deve ritenersi esaurita, dato che il Parlamento stesso - come nel caso in esame - gli ha conferito tale discrezionalità.
Il fatto poi che le norme delegate, pur nel rispetto dei principi direttivi e criteri fondamentali, siano state emesse, sempre per lo stesso oggetto, a dieci anni di distanza (la legge di delegazione é del 1971 e la disposizione impugnata del 1981) non basta a far ritenere che nella specie si sia in presenza di un vero e proprio trasferimento delle funzioni legislative dal Parlamento al Governo e non soltanto di una normale delega, dal momento che il Parlamento, nel concedere in modo reiterato la proroga del termine per l'emanazione dei provvedimenti delegati (come poteva certamente fare giacché l'organo che ha l'autorità di fissare una scadenza può anche prorogarla) ha pur sempre effettuato le proprie valutazioni nel rispetto delle prescrizioni dettate dall'art. 76 della Costituzione.
Né tale facoltà di valutazione discrezionale del legislatore delegante viene meno nell'ipotesi di proroga di un termine quando questo sia già scaduto, non essendovi alcun ostacolo di natura costituzionale che impedisca al legislatore ordinario di far rivivere retroattivamente una delega ormai scaduta.
4. - Con la terza questione si domanda alla Corte se il citato art. 17 della legge n. 825 del 1971 contrasti o meno con l'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui ammette interventi integrativi e correttivi ad opera del legislatore delegato senza specificare i principi e i criteri direttivi da osservare in detti interventi; per il dubbio che tale disposizione violi il principio della necessaria conformità delle leggi delegate alle finalità delle rispettive leggi di delegazione.
Anche detta questione non é fondata poiché lo stesso art. 17, nell'autorizzare il Governo ad emettere uno o più provvedimenti delegati, ha espressamente stabilito che tali provvedimenti dovevano attenersi ai principi e ai criteri direttivi determinati dalla stessa legge di delega n. 825 del 1971.
Alla quarta questione sottoposta all'esame della Corte (se contrasti o meno con l'art. 76 della Costituzione l'art. 48 della legge 24 aprile 1980, n. 146, nella parte in cui proroga ulteriormente fino al 31 dicembre 1982 il termine per l'esercizio della delega previsto dalla legge n. 825 del 1971, malgrado il termine, ripetutamente prorogato, fosse già scaduto) si é già data risposta (cfr. sopra sub 3), cosicché anch'essa risulta non fondata.
5. - Ugualmente infondata é la successiva questione sollevata con l'ordinanza di rimessione: se contrasti o meno con gli artt. 25 e 108 della Costituzione il più volte citato art. 27 del d.P.R. n. 739 del 1981 sotto il profilo della violazione dei principi dell'intangibilità del giudice naturale precostituito per legge e dell'indipendenza dei magistrati speciali. Fissando infatti il limite d'età a settantacinque, anziché a settantotto anni - sostiene il giudice a quo - si verrebbe a determinare in sostanza la cessazione dalle funzioni dei componenti più anziani della Commissione tributaria centrale.
La censura non merita accoglimento in quanto - a parte la considerazione che l'imposizione del nuovo limite d'età riguarda i membri di tutte le Commissioni tributarie e non soltanto di quella centrale - la norma impugnata non priva i cittadini dell'organo giurisdizionale preposto per legge alla garanzia di determinati diritti ed interessi, ma regola in via generale uno dei criteri di appartenenza all'organo stesso, con riferimento all'età massima, conformandolo tra l'altro alla regola generale prevista nello stesso provvedimento delegato che aveva introdotto in via transitoria ed eccezionale l'elevazione del limite a settantotto anni. I parametri costituzionali invocati non garantiscono infatti la permanenza delle persone fisiche in un determinato organo giurisdizionale, ma la certezza del cittadino di veder tutelati i propri diritti e interessi da un organo già preventivamente stabilito dall'ordinamento e indipendente da ogni influenza esterna. Pertanto i parametri costituzionali indicati non appaiono violati.
6. - L'ultima questione sollevata é se lo stesso art. 27 del d.P.R. n. 739 del 1981 contrasti o meno con l'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui fissa il predetto termine d'età malgrado il parere contrario dell'apposita commissione parlamentare, violando così senza una adeguata motivazione i principi e i criteri direttivi stabiliti dal legislatore delegante con l'art. 17, primo comma, della legge n. 825 del 1971.
Anche tale questione non é fondata. Infatti il Governo, nell'adottare il decreto n. 739 del 1981, ha preventivamente richiesto il parere della commissione parlamentare, così come prescriveva la legge di delega. Poiché tale parere non era però vincolante, il solo fatto che il legislatore delegato non abbia dato motivazione della ragione per cui se ne é discostato, non può costituire motivo di incostituzionalità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (Norme integrative e correttive del d.P.R. n. 636 del 1972 concernente la revisione della disciplina del contenzioso tributario); 17 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo per la riforma tributaria) e 48 della legge 24 aprile 1980, n. 146 (proroga del termine per l'esercizio della delega predetta), sollevate in riferimento agli artt. 76, 77, 25 e 108 della Costituzione dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 1985.
Leopoldo ELIA - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Depositata in cancelleria il 23 maggio 1985.