Sentenza n.120 del 1985

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SENTENZA N. 120

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 21 legge 21 luglio 1965, n. 903 (avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 maggio 1977 dal Pretore di Mantova nel procedimento civile vertente tra Lavagnini Rosina e l'INPS, iscritta al n. 326 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 251 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa l'11 ottobre 1977 dal Pretore di Varese nel procedimento civile vertente tra Baratelli Battista e l'INPS, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 dell'anno 1978;

3) ordinanza emessa il 17 marzo 1982 dal Pretore di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra Pilato Giovanni e l'INPS, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 dell'anno 1982.

Visti gli atti di costituzione di Lavagnini Rosina e dell'INPS nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1985 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

uditi l'avv. Giacomo Giordano per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento vertente tra Lavagnini Rosina e l'INPS ed avente ad oggetto il riconoscimento del diritto alla corresponsione delle quote di maggiorazione della pensione di invalidità in dipendenza della vivenza a carico di sorella inabile al lavoro, l'adito Pretore di Mantova - con ordinanza emessa il 10 maggio 1977 (reg. ord. n. 326 del 1977) - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, l. 21 luglio 1965, n. 903 (di avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale) nella parte in cui non prevede la categoria dei fratelli e delle sorelle inabili a carico del pensionato ai fini della corresponsione delle quote di maggiorazione della pensione, diversamente da quanto previsto in tema di assegni familiari per il lavoratore non pensionato, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Il giudice a quo ha motivato l'ordinanza di rimessione partendo dal presupposto secondo il quale "alla stregua della normativa succedutasi non può essere posto in dubbio che si sia attuato un progressivo movimento di equiparazione del trattamento di maggiorazione agli assegni familiari".

In particolare, ciò si sarebbe verificato per effetto della legge 30 aprile 1969, n. 153 (artt. 44, 45, 46), del d.l. 30 giugno 1972, n. 267, art. 5 (conv. in l. 11 agosto 1972, n. 485) ed infine del d.l. 2 marzo 1974, n. 30, art. 4 (conv. in l. 16 aprile 1974, n. 114), il quale "ha concluso - afferma sempre l'ordinanza - il progressivo movimento di equiparazione stabilendo che ai titolari delle pensioni dell'assicurazione generale obbligatoria competono, in luogo delle quote di maggiorazione, gli assegni familiari".

Data anche "l'assimilazione teleologica delle quote di maggiorazione con gli assegni predetti" (finalizzati entrambi gli istituti al "sollievo di un maggior stato di bisogno, connesso con particolari situazioni familiari, indipendentemente dalla circostanza che la garanzia del reddito sia assicurata in via principale dal trattamento previdenziale o dalla retribuzione per attività lavorativa subordinata"), il Pretore remittente ha quindi sospettato di incostituzionalità l'art. 21, l. n. 903/1965 per violazione del principio di uguaglianza poiché limiterebbe, senza alcuna "giustificazione logica", il diritto alle quote di maggiorazione, per il titolare di pensione, alle categorie dei figli e del coniuge a carico, con l'esclusione di fratelli e sorelle inabili pure a carico, previsti invece per il prestatore di lavoro in tema di assegni familiari.

Tale diversità di trattamento, a parere del giudice a quo, sarebbe in contrasto - oltre che con l'art. 3 - anche con il "principio che vuole assicurato ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere il diritto all'assistenza sociale, nonché con il principio che assicura al lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita in caso di malattia, invalidità e vecchiaia" (con riferimento all'art. 38 della Costituzione).

2. - Nel corso di un giudizio instaurato da Baratelli Battista per ottenere dall'INPS l'attribuzione della quota di maggiorazione della pensione in dipendenza di figlia maggiorenne a carico, invalida, il Pretore di Varese con ordinanza emessa in data 11 ottobre 1977 (ord. n. 532 del 1977) ha sollevato questione di legittimità costituzionale sempre dell'art. 21 l. 21 luglio 1965, n. 903, in quanto condiziona l'attribuzione della quota di maggiorazione della pensione per il figlio maggiorenne (a carico) allo stato di inabilità al lavoro dello stesso, e non a quello di invalidità, come previsto invece per il coniuge, e ciò in violazione degli artt. 3, 30, 31 e 38 della Costituzione.

Per il Pretore remittente, "presentando gli assegni familiari - sotto forma dei quali l'erogazione dell'aumento di pensione é prevista - carattere e finalità dichiaratamente alimentari, sfugge la ratio di subordinare il beneficio in argomento a requisiti diversi", inabilità, che é totale e assoluta in un caso; invalidità, che é parziale, nell'altro.

3. - La questione di cui al punto 2 é stata sollevata, in identici termini, anche dal Pretore di Caltanissetta con ordinanza emessa il 17 marzo 1982 (ord. n. 388 del 1982) in un giudizio vertente tra Pilato Giovanni e l'INPS ed avente per oggetto ugualmente il riconoscimento di quote di maggiorazione della pensione in dipendenza di figlia maggiorenne a carico.

Per il giudice a quo l'impugnata norma creerebbe una discriminazione che "non appare giustificata in quanto la Costituzione afferma il diritto di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, impone il dovere di mantenimento dei figli, agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, e tutela i minorati".

4. - a) Nel giudizio instaurato dal Pretore di Mantova si é costituita Rosina Lavagnini, la quale ha ribadito le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione. Ha in particolare posto in evidenza come la norma impugnata comporti al momento del pensionamento del lavoratore "una restrizione della tutela della sfera familiare dei soggetti a carico, per i quali lo stesso lavoratore ha percepito, durante tutto il periodo di attività, gli assegni familiari".

La Lavagnini ha altresì rilevato come "la trasformazione delle prestazioni previdenziali accessorie dall'iniziale configurazione di quote percentuali, attribuite in aggiunta al trattamento pensionistico, alla previsione dell'erogazione degli assegni familiari" come per i lavoratori dell'industria debba essere inquadrata nel "processo di uniformizzazione delle pensioni alle retribuzioni".

Da ciò l'irragionevolezza dell'esclusione della provvidenza relativa a fratelli e sorelle inabili a carico in favore del pensionato che versi nella stessa identica situazione familiare del lavoratore ovvero di assistito dalle assicurazioni contro la disoccupazione e contro la tubercolosi, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La norma denunciata contrasterebbe anche con l'art. 38, primo comma, della Costituzione in quanto la diversità di trattamento finirebbe per "privare di tutela un cittadino inabile al lavoro" violando "in modo inaccettabile il principio dell'assistenza sociale".

b) Nello stesso giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha contestato la fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale rilevando in primo luogo come gli istituti posti a confronto (assegni familiari e maggiorazione della pensione) abbiano "differente base finanziaria": specifici contributi posti a carico dei datori di lavoro per gli assegni familiari e fondo pensione dei lavoratori dipendenti per la maggiorazione della pensione. Quindi, a parere dell'Avvocatura, una più estesa applicazione della maggiorazione della pensione inciderebbe sensibilmente sulla situazione finanziaria dell'INPS in tutti i fondi previdenziali amministrati da detto Istituto.

In secondo luogo, é stato posto in evidenza come il legislatore abbia tenuto conto del "nucleo familiare in senso stretto" nel caso del pensionato (nucleo generalmente limitato alla moglie e ai figli) e della "famiglia in senso lato" nel caso del lavoratore attivo, per il quale appare "ipotizzabile in astratto" una differente situazione familiare (obbligo del mantenimento dei genitori, fratelli ecc.).

Nessuna irrazionalità, quindi, e nessuna offesa al principio di uguaglianza deriverebbero, secondo l'Avvocatura, dalla norma denunciata.

Escluso per la questione in esame ogni riferimento al secondo comma dell'art. 38 della Costituzione, l'Avvocatura ha rilevato, quanto al primo comma dello stesso articolo, che il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale del cittadino inabile (previsto in detto comma) " non deve necessariamente avvenire attraverso una estensione del contenuto dell'istituto della legittimità costituzionale del quale il Pretore dubita".

5. - Nel giudizio promosso dal Pretore di Varese (ord. n. 532 R.O. 1977) si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo la infondatezza della questione sollevata.

In ordine alla ratio della norma, il legislatore, a parere dell'Avvocatura, ha evidentemente ritenuto che "nella normalità dei casi, il coniuge, che pure conservi molto ridotta capacità lavorativa, non sia più in condizioni, per ragioni di età, di trarre da tale ridotta capacità di lavoro, proventi apprezzabili e che ciò, invece, non sia se si tratti di figlio al quale, normalmente in età tuttora valida sul piano del lavoro, una certa invalidità consentirebbe di trarre ancora apprezzabili proventi. É per ciò che per il figlio la legge esige l'inabilità assoluta".

Infine, é stata rilevata la mancanza di motivazione, nell'ordinanza in esame, circa la assunta violazione degli artt. 30, 31 e 38 della Costituzione da parte della norma impugnata.

6. - Nel giudizio instaurato con l'ordinanza del Pretore di Caltanissetta si é costituito soltanto l'INPS, che ha concluso le proprie deduzioni chiedendo una pronuncia di non rilevanza e, comunque, di non fondatezza della questione sollevata.

Sulla rilevanza l'Istituto ha osservato che il Pretore "non ha puntualmente individuata la normativa di legge da applicarsi al caso sottoposto al suo giudizio".

A parere dell'INPS, infatti, per effetto della norma di cui all'art. 4 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (conv. con modif. in l. 16 aprile 1974, n. 114) "per le persone di cui all'art. 21 della legge 21 luglio 1965, n. 903 e all'art. 5 della legge 11 agosto 1972, n. 485 (e cioé coniugi e figli) in luogo delle maggiorazioni" competono gli assegni familiari di cui al T.U. approvato con il d.P.R. n. 797/1955.

Ciò importa secondo l'Istituto previdenziale l'applicazione di "tutte le norme del medesimo Testo Unico concernente i requisiti di carico, di età, di reddito ecc.", con la conseguenza che mentre l'art. 4, ultimo comma del citato T.U. riproduce per i figli a carico maggiorenni il concetto di "inabilità al lavoro" contenuto nell'art. 39 d.P.R. n. 818/1957, l'art. 6 del T.U. suddetto, per quanto riguarda gli assegni familiari per il coniuge a carico, prescinde totalmente dallo stato di invalidità di quest'ultimo.

Talché il raffronto operato dal Pretore di Caltanissetta a fondamento dell'assunta disparità di trattamento tra il requisito di inabilità per il figlio a carico e quello di invalidità per il coniuge a carico, non avrebbe ragione di sussistere non essendo più vigente la norma che prevede per il coniuge tale requisito.

L'INPS ha quindi affermato che per effetto di tale interpretazione "per detti figli maggiorenni la relativa regolamentazione si presenta in piena autonomia e lo stato di inabilità all'uopo richiesto ne costituisce un cardine imprescindibile, pienamente giustificato sotto ogni profilo, anche e precipuamente costituzionale, trattandosi appunto di un requisito che il legislatore - a fronte di persone di maggiore età - dove va necessariamente richiedere così come ha richiesto per altre prestazioni previdenziali".

Nel merito l'Istituto ha concluso per l'infondatezza della questione ponendo in evidenza la diversità della posizione del figlio del pensionato rispetto a quella del coniuge, quest'ultima maggiormente gravata da oneri quali, tra gli altri, il mantenimento dei figli.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le tre ordinanze di rimessione di cui in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale connesse, poiché incentrate sull'art. 21 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (trattamenti di pensione della previdenza sociale); pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Una prima questione, avente ad oggetto l'art. 21 predetto, é stata sollevata dal Pretore di Mantova, con ordinanza emessa in data 10 maggio 1977 e con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, non prevedendo la denunciata norma la categoria dei fratelli e delle sorelle inabili al lavoro, a carico del pensionato, tra i soggetti aventi diritto alle quote di maggiorazione della pensione (quote che, per effetto dell'art. 4 d.l. 2 marzo 1974, n. 30, conv. con modif. in l. 16 aprile 1974, n. 114, sono state sostituite dagli assegni familiari).

Il dubbio prospettato muove dal raffronto tra la norma denunciata e la disciplina stabilita - all'incontro - per il prestatore in costanza di lavoro, nei cui confronti, per i soggetti in questione, inabili e a carico, opera la corresponsione degli assegni familiari.

Il giudice a quo muove dal presupposto che per effetto della legge 30 aprile 1969, n. 153, artt. 44, 45, 46; del d.l. 30 giugno 1972, n. 267, art. 5 (conv. in l. 11 agosto 1972, n. 485) ed infine, soprattutto, del d.l. 2 marzo 1974, n. 30, art. 4 (conv. in l. 16 aprile 1974, n. 114) l'istituto delle quote di maggiorazione della pensione é stato tendenzialmente equiparato a quello degli assegni familiari sino anzi, con l'art. 4 del citato d.l. n. 30/1974, alla definitiva sostituzione del primo con il secondo, mantenendosi - peraltro - ferme le esclusioni soggettive di cui in discorso. E quindi, per la conseguita, obiettiva "assimilazione teleologica" l'ordinanza, conclusivamente, ha ritenuto privo di "giustificazione logica" il diverso e più gravoso trattamento riservato al pensionato, rispetto al lavoratore, in relazione alla stessa situazione familiare (fratello o sorella - a carico - inabile al lavoro).

3. - La questione non é fondata.

Le due situazioni non rivestono quelle caratteristiche peculiari di essenziale omogeneità, atte ad esaltarne sul piano costituzionale, ex art. 3, le assunte disarmonie, quando non siano in contestazione gli aspetti retributivi garantiti dal dettato dell'art. 36, bensì semplicemente il novero degli aventi titolo.

S'é qui sopra posta in luce l'equiparazione dei due istituti - quote di maggiorazione e assegni familiari, l'assorbimento effettivo anzi delle prime nei secondi - ma da ciò non sembra doversi necessariamente inferire che il diverso e più ristretto ambito soggettivo abbia a concretare, senz'altro, irrazionale disparità di trattamento tra lavoratore da un lato e pensionato dall'altro.

In punto, si pone, infatti, con connotazione di bastevole ragionevolezza la norma, o il complesso di norme che - sul piano della discrezionalità legislativa - portano a conferire più circoscritto rilievo - naturali ratione - all'omogeneità familiare tipica intra domesticos parietes, resistente nel tempo e più incisivamente assistita nell'ordinamento, per i suoi preminenti valori primari d'ordine etico-sociale, prima che giuridico.

Né sembra, d'altronde, possa utilmente rilevare il richiamo all'art. 38 Cost. essendo ivi posto un principio d'ordine generale, non confliggente - se al diverso e qui correlato parametro della ragionevolezza si é corrisposto - con una disciplina adeguatrice, flessibile alle particolarità delle varie situazioni.

4. - I Pretori di Varese e di Caltanissetta, con ordinanze emesse rispettivamente in data 11 ottobre 1977 e 17 marzo 1982, denunciano - in violazione degli artt. 3, 30, 31 e 38 Cost. - l'art. 21 l. 21 luglio 1965, n. 903 nella parte in cui l'attribuzione delle quote di maggiorazione della pensione (recte: ora assegni familiari) per il figlio maggiorenne a carico resta condizionata allo stato di inabilità al lavoro e non a quello di invalidità come previsto, nel medesimo contesto, per il coniuge a carico.

Senonché l'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'assenza di ogni motivazione in ordine alla violazione degli artt. 30, 31 e 38 Cost., mentre la difesa dell'INPS, considerando che il giudice a quo "non ha puntualmente individuata la normativa di legge da applicarsi al caso sottoposto al suo giudizio", ha opposto non essere più richiesta nell'ordinamento la condizione di invalidità, per il coniuge, ai fini del godimento degli assegni familiari.

5. - Questi ultimi assunti sono fondati. Secondo il già ricordato art. 4 d.l. 2 marzo 1974, n. 30, nello stabilirsi che "per le persone di cui all'art. 21 l. 21 luglio 1965, n. 903" in luogo delle quote di maggiorazione competono gli assegni familiari di cui al testo unico approvato con d.P.R. n. 797/1955, si é inteso rendere applicabili al titolare di pensione, per le persone di cui al detto art. 21 legge n. 903 (e cioé figli e coniuge), tutte le norme del T.U. sugli assegni familiari concernenti, tra gli altri, i requisiti di particolari condizioni fisiche o mentali.

Orbene, siffatta normativa richiede tuttora, per la corresponsione degli assegni, la condizione d’inabilità al lavoro (art. 4), nei confronti dei figli (maggiorenni), così come era previsto dall'art. 21 legge n. 903/1965, mentre per il coniuge non sussiste più la condizione di invalidità, ai sensi dell'art. 6 citato T.U. del 1955, e - per quel che attiene agli assegni alla moglie per il marito - in forza della sentenza di questa Corte n. 105 del 1980.

Manifesta, pertanto, la carenza delle ordinanze in esame, in punto di rilevanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 326 R.O. 1977, 532 R.O. 1977 e 388 R.O. 1982;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 21 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui non prevede per il titolare di pensione la categoria dei fratelli e delle sorelle inabili al lavoro tra i soggetti che hanno titolo alle quote di maggiorazione della pensione (ora assegni familiari), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione con ordinanza emessa in data 10 maggio 1977 dal Pretore di Mantova;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 21 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui non parifica il figlio inabile al coniuge, sollevata con riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 38 della Costituzione con ordinanze emesse rispettivamente in data 11 ottobre 1977 dal Pretore di Varese e in data 17 marzo 1982 dal Pretore di Caltanissetta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1985.

Leopoldo ELIA - Giuseppe BORZELLINO

Depositata in cancelleria il 26 aprile 1985.