SENTENZA N. 290
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 2 aprile 1980 e riapprovata il 18 dicembre 1980 dalla Regione Veneto avente per oggetto "Integrazione della Legge regionale 24 agosto 1979, n. 65" promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 21 gennaio 1981, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1981.
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1984 il Giudice relatore Alberto Malagugini;
uditi l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il ricorrente e gli avvocati Guido Viola e Giangiacomo Pancino per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 2 gennaio 1981 il Presidente del Consiglio dei ministri chiedeva dichiararsi l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto approvata il 2 aprile 1980 e riapprovata, dopo il rinvio del Governo, il 18 dicembre 1980 con la quale - ad "integrazione della legge regionale 24 agosto 1979, n. 65" concernente, tra l'altro, lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale regionale - era stato previsto un "meccanismo di inquadramento contestuale" ulteriore rispetto a quelli già previsti nell'art. 45 di detta legge, nel senso che "il personale con qualifica al 30 settembre 1978 di Funzionario - che, ai sensi della tabella C) di cui al successivo art. 47, sarebbe inquadrato nel livello di Esperto - ove in possesso a tale data di una anzianità effettiva minima di servizio di anni 8 senza demerito in posizione giuridica direttiva, é ammesso d'ufficio ad un concorso interno per soli titoli per l'inquadramento nel livello funzionale di Dirigente, sempreché sia stato inquadrato presso la Regione con decorrenza da data non posteriore all'1 aprile 1976".
Con la L. reg. n. 65 del 1979 - precisava il ricorrente si era provveduto al "recepimento nell'ordinamento regionale dell'accordo relativo al contratto nazionale per il personale delle regioni a statuto ordinario per il periodo 1 gennaio 1976-31 dicembre 1978" stipulato tra regioni e organizzazioni sindacali con la mediazione governativa, contratto con cui era stata, tra l'altro, perseguita la perequazione delle retribuzioni del personale delle singole regioni a statuto ordinario e del personale dello Stato, in relazione alla identità delle prestazioni al personale stesso richieste ed alla compatibilità con la situazione del bilancio pubblico in generale. In particolare, nell'accordo erano state prese in considerazione le posizioni dei dipendenti delle singole Regioni ai fini dell'inquadramento del personale nel nuovo (e unico) ordinamento dei livelli, stabilendo all'allegato C, in analitiche tabelle, le equiparazioni in correlazione con le peculiarità di ciascun ordinamento.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione impegnata, modificando la disciplina contrattuale - la cui idoneità ad assicurare l'omogeneizzazione era stata indirettamente riconosciuta dalla Corte con la sentenza n. 10 del 1980 - viola innanzitutto, in riferimento all'art. 117 Cost. il principio fondamentale stabilito con l'art. 67 della legge statale n. 62 del 1953, secondo cui le norme sul trattamento economico del personale regionale non possono disporre un trattamento più favorevole di quello attribuito al personale statale (cfr. Corte Cost. sentenza n. 40 del 1972): principio, questo, che risponde ai canoni di buona amministrazione fissati dall'art. 97 Cost. ed é stato riconfermato con gli artt. 20 e 26 della legge 20 marzo 1975, n. 70, con cui si é inteso procedere alla graduale eliminazione delle sperequazioni nel trattamento economico dei pubblici dipendenti in genere. La legge impugnata, inoltre, creando una disparità di trattamento tra dipendenti della Regione Veneto e dipendenti delle altre Regioni a statuto ordinario che hanno dato puntuale attuazione al citato accordo nazionale, violerebbe "i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalità tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro (art. 36) dai quali é ricavabile, come é stato osservato con le sentenze n. 21 e n. 45 del 1978, il criterio che fondamentalmente richiede la perequazione retributiva dei dipendenti pubblici tra i quali possa verificarsi omogeneità di situazioni".
La deroga al contratto nazionale - concluso con la mediazione del Governo e con cui si era, tra l'altro, tutelata l'esigenza di garantire la compatibilità del trattamento economico ivi previsto con il bilancio pubblico generale - comporterebbe infine, ad avviso del ricorrente, violazione dell'art. 119 Cost., che impone che la finanza regionale debba coordinarsi con quella dello Stato e degli altri enti territoriali.
2. - La Regione resistente, costituitasi, ricordava innanzitutto che con l'art. 50 L. reg. Veneto 26 dicembre 1973, n. 25, in sede di primo inquadramento del personale regionale, al personale dello Stato e di altri enti pubblici trasferito alla Regione era stato riconosciuto lo stato giuridico ed il trattamento economico spettante in base alla normativa vigente all'atto del trasferimento, ed era stato altresì attribuito il beneficio della promozione alla qualifica superiore, previsto dall'art. 68 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 appunto allo scopo di favorire detto trasferimento. Senonché, essendo state le qualifiche regionali individuate in numero inferiore rispetto alle qualifiche previste presso gli enti di provenienza, era accaduto che nello stabilire i criteri di corrispondenza talune di queste ultime erano state accorpate in un'unica qualifica regionale, con la conseguenza che per alcuni dipendenti il passaggio alla qualifica (regionale) superiore a quella rivestita presso l'ente di provenienza non aveva potuto aver luogo. Proprio per ovviare a tale inconveniente, il citato accordo nazionale del '79, recepito con la L.reg.le n. 65/79, aveva previsto un meccanismo tale da consentire il passaggio alla qualifica superiore del personale che in precedenza non l'aveva conseguito (art. 45 L. Reg. cit.). Tale meccanismo era stato però introdotto solo per alcune categorie, e non anche per i funzionari, per i quali permanevano dunque i predetti inconvenienti (ad es, inquadramento nella medesima qualifica regionale di esperto sia del personale che svolgeva nell'ente di provenienza mansioni direttive sia di quello che vi svolgeva mansioni di concetto).
Di tutto ciò - proseguiva la Regione - non si é tenuto conto nel proporre il ricorso, dato che la legge impugnata null'altro ha fatto che estendere ai funzionari il predetto meccanismo, così eliminando nei loro confronti una sperequazione rispetto agli altri dipendenti della Regione priva di ogni giustificazione di ordine logico o giuridico.
Tanto precisato, la Regione contestava la fondatezza del ricorso, osservando: a) che la disposizione in esame non era in contrasto con l'accordo nazionale del '79 dato che questo, dettando solo dei criteri e principi aspiratori, consentiva l'adattamento alle situazioni particolari delle singole regioni, specie se ispirate ai fini perequativi propri dell'accordo medesimo; b) che comunque l'eventuale contrasto con l'accordo nazionale non poteva tradursi in un vizio d'illegittimità costituzionale, posto che - alla stregua della stessa giurisprudenza costituzionale richiamata nel ricorso - tali accordi non sono vincolanti per la P.A., ed in particolare per le Regioni, le quali sono libere di recepirli o meno e, nel recepirli, di adattarli (ove necessario) alle proprie esigenze; c) che il ricorrente, ipotizzando un contrasto con i principi fondamentali di cui alle leggi statali n. 53/62 e 70/75, non aveva chiarito in che cosa si tradurrebbero, in concreto, le (pretese) sperequazioni rispetto ai dipendenti statali e a quelli delle altre regioni a statuto ordinario, ed aveva trascurato di considerare che - nell'ambito delle norme statali sul trasferimento del personale a queste ultime - é "generale" anche il principio sull'inquadramento nella qualifica superiore previsto dall'art. 68 d.P.R. n. 748/72, del quale la legge impugnata costituisce attuazione; d) che la particolare situazione di sperequazione rispetto agli altri dipendenti regionali in cui si erano venuti a trovare i funzionari della Regione Veneto non trovava riscontro nelle altre Regioni ("o per lo meno non in tutte"), e che comunque, non poteva farsi questione né di disparità di trattamento né di contrasto con la legislazione dello Stato o delle altre Regioni, essendo quella impugnata una norma "transitoria, e pertanto eccezionale, destinata ad operare limitatamente nel tempo".
3. - Con una memoria aggiunta depositata nell'imminenza dell'udienza la Regione Veneto deduceva che anche altre regioni, per eliminare le sperequazioni verificatesi per effetto dei precedenti inquadramenti, avevano adottato - senza provocare rilievi governativi - disposizioni analoghe a quella impugnata. Al riguardo citava, in particolare, l'articolo unico, comma sesto, della legge della Regione Lazio 17 gennaio 1981, n. 6, e l'art. 1 della legge della Regione Abruzzo 23 luglio 1982, n. 53.
Considerato in diritto
1. - Con il ricorso di cui in narrativa il Governo della Repubblica ha impugnato, in via diretta, il disegno di legge approvato dal Consiglio regionale veneto il 2 aprile 1980 e riapprovato il 18 dicembre dello stesso anno, assumendone la illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 117 e 119 Cost..
L'impugnativa del Governo muove dalla constatazione che il disegno di legge denunziato - recante "integrazioni della legge regionale 24 agosto 1979, n. 65", con la quale ultima si era provveduto al "recepimento nell'ordinamento regionale dell'accordo relativo al contratto nazionale per il personale delle regioni a statuto ordinario per il periodo 1 gennaio '76- 31 dicembre 1978" (ivi, art. 1) - introduce un ipotesi di inquadramento, negli organici regionali, non prevista dal citato contratto nazionale e, quindi, aggiuntiva rispetto ad esso.
2. - La premessa di fatto dalla quale muove l'impugnativa del Governo é indubbiamente esatta, ma non certo tale da determinare, di per sé, le conseguenze volute dal ricorrente.
In effetti, come si é riferito in narrativa, il Consiglio regionale ha inteso garantire anche ai funzionari il passaggio alla qualifica superiore rispetto a quella rivestita nelle amministrazioni di provenienza; beneficio, questo, previsto dall'art. 68 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 ed assicurato dall'art. 45 della legge regionale n. 65 del 1979, con i meccanismi ivi precisati, al restante personale trasferito.
In sostanza, la Regione ha inteso ovviare alle conseguenze della cosiddetta commassazione o appiattimento delle carriere verificatasi con la introduzione delle qualifiche funzionali, individuate, per le regioni, in numero inferiore a quello delle qualifiche previste per le amministrazioni di provenienza, cosicché talune di queste ultime erano state accorpate in un'unica qualifica funzionale.
Ora, se é vero, da un lato, che l'insufficiente articolazione delle qualifiche funzionali e l'accorpamento nella stessa qualifica di personale proveniente da qualifiche diverse non può dar luogo, per ciò solo, a censura - come questa Corte ha giudicato con le sentenze nn. 10 del 1980, 277 e 278 del 1983 - stante l'autonomia delle regioni in materia di ordinamento degli uffici e la correlata riserva di legge di cui all'art. 117, primo comma, Cost.; non é meno vero, d'altro canto, e per la stessa sostanziale ragione, che l'accordo sindacale non può vincolare totalmente la regione ad uniformarvisi, neppure in presenza di una legge quadro statale che abbia disposto il recepimento della relativa disciplina. In quest'ultimo senso si é puntualmente pronunciata questa Corte con la sentenza n. 219 del 1984, con la quale, decidendo questioni di legittimità costituzionale della legge 29 marzo 1983, n. 93, nel suo complesso o in sue singole disposizioni, ha stabilito, tra l'altro, "che spetta alle leggi regionali, non la pura e semplice riproduzione dell'accordo sindacale in sede nazionale, ma il suo adeguamento, quando sia necessario, alle peculiarità dell'ordinamento degli uffici ed alle disponibilità del bilancio regionale".
3. - Tanto ribadito, va osservato che la nota 29 aprile 1980 della Presidenza del Consiglio dei ministri, ufficio regioni, con la quale é stato disposto il rinvio per nuovo esame del disegno di legge della regione Veneto approvato il 2 aprile 1980, recita che la "disposizione di cui art. uno" del testo normativo rinviato "contrasta con principi vigente legislazione rivolti soddisfacimento esigenze perequative in ordine stato giuridico e trattamento economico dipendenti regionali recepite in accordo nazionale per contratto unico dipendenti regioni statuto ordinario siglato 10 febbraio 1979 et trasfuso legge regionale 65/1979".
É facile osservare che il riferimento ai surrichiamati "principi vigente legislazione" é del tutto generico e - nel contesto della nota di rinvio - si risolve interamente, a ben vedere, nella denunzia della pretesa illegittimità delle disposizioni del disegno di legge regionale rinviato, che introducono - e unicamente perché introducono - una ipotesi di "inquadramento contestuale" aggiuntiva rispetto a quelle previste dal contratto unico nazionale, recepito nella legge regionale n. 65 del 1979.
I motivi del previo rinvio governativo attengono infatti esclusivamente alla pretesa violazione di quelle esigenze perequative in materia di ordinamento del personale delle regioni a statuto ordinario che, desumibili - a giudizio del ricorrente - dalla vigente legislazione, sarebbero state recepite nel contratto nazionale. Nessun altro riferimento, tanto meno specifico, é dato desumere dalla nota di rinvio, talché di quell'unico motivo si é occupato - ed a ragione - il Consiglio regionale in sede di nuova deliberazione del disegno di legge rinviato.
4. - Ma anche a ritenere che tutte le specifiche questioni di costituzionalità di cui al ricorso presentino la necessaria corrispondenza, sia pure sintetica, con i motivi del rinvio, espressi nel modo generico che si é detto, e siano, quindi, ammissibili, esse, tuttavia, non sono fondate.
Con le questioni proposte in riferimento all'art. 97 Cost. in relazione all'art. 67 della legge n. 62/1953 (c.d. "legge Scelba") nonché agli artt. 20 e 26 della legge n. 70/1975 (sul riordinamento degli enti pubblici) il Governo della Repubblica denunzia la inosservanza del principio fondamentale, che si vuole deducibile dalle disposizioni di legge richiamate, che vieta di attribuire al personale regionale un trattamento economico più favorevole di quello spettante al (corrispondente) personale statale.
Una tale censura, oltre a poggiarsi su di un'affermazione apodittica, non tiene conto, da un lato, che la norma impugnata riguarda l'inquadramento giuridico e non anche il trattamento economico del personale considerato e, dall'altro, che, secondo l'insegnamento della Corte (cfr. sent. 10 del 1980) i principi fondamentali vanno desunti da tutte le leggi statali succedutesi nel tempo per disciplinare i più vari rapporti di impiego pubblico nonché dagli statuti regionali, esclusa, quindi, la pertinenza - ovvero la sufficienza - del richiamo a singole leggi.
Parimenti infondata é la questione sollevata con riferimento all'art. 119, primo comma, Cost., a mente del quale la finanza regionale deve coordinarsi con quella dello Stato e degli altri enti territoriali secondo le prescrizioni dettate da leggi della Repubblica.
Invero il presupposto per cui la mediazione governativa, in sede di stipula dell'accordo per il contratto nazionale del personale delle regioni a statuto ordinario, avrebbe concretato un atto di coordinamento ex art. 119, primo comma, Cost., ispirato al fine di garantire la compatibilità del trattamento economico del personale regionale con la situazione di bilancio - presupposto dal quale sembra muovere questo motivo del ricorso governativo - non può ritenersi accettabile. Esso, infatti, non soltanto dilata arbitrariamente l'oggetto della legge regionale impugnata, che - come si é visto - concerne unicamente una ipotesi, aggiuntiva rispetto all'accordo nazionale, di inquadramento contestuale negli organici regionali, ma soprattutto dimentica sia la riserva di legge statale, di cui all'invocato art. 119, primo comma, Cost., sia la riserva di legge regionale, di cui all'art. 117, primo comma, Cost.. L'argomentazione del ricorrente condurrebbe a ritenere l'intangibilità del contratto nazionale stipulato con la mediazione governativa, dal quale le regioni non potrebbero in alcun caso discostarsi, ed andrebbe, perciò, pur sempre disattesa, anche per le ragioni superiormente illustrate sub 2.
5. - Quanto, infine, al motivo di impugnazione proposto in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., si deve anzitutto osservare che i parametri costituzionali in esame in tanto possono essere utilmente invocati in quanto presuppongano raffronti specifici tra situazioni sicuramente omogenee (cfr. la sent. n. 12 del 1980). Ora, di tali raffronti nel ricorso governativo non vi é il minimo cenno e tanto basta per escludere la fondatezza di questo motivo di censura.
A questa assorbente considerazione si può aggiungere che anche altre regioni a statuto ordinario, dopo aver recepito l'accordo del 1979 relativo al contratto nazionale più volte citato, con proprie leggi hanno introdotto per la carriera direttiva disposizioni di segno analogo a quello della legge della Regione Veneto qui impugnate e, quindi, anch'esse aggiuntive rispetto alle ipotesi recepite nel contratto nazionale di che sopra. Tale é il caso della legge della regione Lazio, 17 gennaio 1981, n. 6 (articolo unico); della legge della regione Molise 21 dicembre 1981, n. 26 (art. 1, penultimo comma); della legge della regione Campania 22 aprile 1982, n. 21 (art. 1, penultimo comma); della legge della regione Abruzzo 23 luglio 1982, n. 53 (art. 1): nessuna delle quali leggi regionali é stata impugnata dal Governo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del disegno di legge della regione Veneto approvato il 2 aprile 1980 e riapprovato il 18 dicembre dello stesso anno, sollevate, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Governo della Repubblica, in riferimento agli artt. 3, 36, 97, 117 e 119 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1984.
Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1984.