Sentenza n.255 del 1984

 

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SENTENZA N. 255

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 12 settembre 1977 dal Pretore di Napoli sul ricorso proposto da Veneruso Emma contro ENPAS, iscritta al n. 515 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 dell'anno 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 maggio 1984 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 12 settembre 1977 - nel corso di un procedimento civile in cui si controverteva sulla spettanza dell'indennità di buonuscita alla figlia nubile maggiorenne (ed orfana di madre) di un dipendente statale deceduto in attività di servizio il 20 febbraio 1975 - il Pretore di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 ("testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato"). La norma impugnata violerebbe, infatti, l'art. 76 della Costituzione, dal momento che avrebbe soppresso - in contrasto con l'art. 6 della legge delega 28 ottobre 1970, n. 775 - "il diritto delle figlie nubili maggiorenni a percepire la indennità di buonuscita spettante al genitore deceduto in attività di servizio", già previsto dall'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n. 1407.

É intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo invece che la Corte dichiari la manifesta infondatezza della questione predetta. Abolendo il diritto a conseguire l'indennità di buonuscita, attribuito dalla legge n. 1407 del 1956 alle orfane maggiorenni nubili e non anche agli orfani maggiorenni nel medesimo stato, la disposizione impugnata avrebbe inteso - secondo l'Avvocatura dello Stato - eliminare questa evidente sperequazione ed "adeguare la normativa ai nuovi principi gradualmente affermatisi, quale risultato dell'incisivo insegnamento di codesta... Corte.., nettamente contrari alla ingiustificata condizione di disparità di trattamento fra orfani e orfane": per ciò stesso, il legislatore delegato avrebbe dunque "obbedito al compito ricevuto di coordinamento delle disposizioni che disciplinano la soggetta materia anche con i principi costituzionali sopra richiamati".

Considerato in diritto

Nel testo originario - precedente la sostituzione operata dall'art. 7, secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177 - l'impugnato art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, stabiliva che, "in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio", l'indennità di buonuscita spettasse, "nell'ordine, al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle", che conseguissero "il diritto alla pensione di riversibilità". A sua volta, l'art. 82, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ("testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato"), prevedeva e prevede che la pensione stessa "spetta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in età superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti". Dal combinato disposto di queste due norme discendeva pertanto - come ha giustamente rilevato il giudice a quo l'abrogazione dell'art. 5 cpv. della legge 27 novembre 1956, n. 1407 (recante "Modifiche alle disposizioni del testo unico sull'opera di previdenza per i personali civile e militare dello Stato"), per cui, "in mancanza del coniuge", la indennità di cui si controverte competeva - fra l'altro - "alle figlie nubili maggiorenni, nonché ai figli maggiorenni inabili a proficuo lavoro". Senonché, precisamente in questo effetto abrogativo il Pretore di Napoli ravvisa un eccesso di delega, dato che il "testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato "non avrebbe in tal senso rispettato l'art. 6, terzo comma, della legge 28 ottobre 1970, n. 775, in base al quale il Governo veniva bensì "delegato a provvedere, entro il 31 dicembre 1973, alla raccolta in testi unici, aventi valore di leggi ordinarie, delle disposizioni in vigore concernenti le singole materie", ma solo per apportare "ove d'uopo alle stesse le modificazioni ed integrazioni necessarie per il loro coordinamento ed ammodernamento, ai fini di una migliore accessibilità e comprensibilità delle norme medesime e sempre con i criteri indicati nel comma precedente" (ossia tendendo "alla semplificazione ed allo snellimento delle procedure").

Posta in questi termini, la questione é fondata. Indubbiamente, il testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali non avrebbe potuto riprodurre senza alcuna modificazione l'art. 5 cpv. della legge n. 1407 del 1956, continuando a differenziare le "figlie nubili maggiorenni" dai "figli maggiorenni inabili a proficuo lavoro": lo precludeva, infatti, il principio d'eguaglianza senza distinzione di sesso, che vincola implicitamente, al pari di qualunque altro precetto costituzionale, le stesse disposizioni dei testi unici di coordinamento; e, nella specie, il vincolo in questione risultava tanto più stringente, in quanto la Corte - con decisioni n. 53 del 1969 e n. 135 del 1971 - aveva già dichiarato costituzionalmente illegittima la disciplina che dava rilievo alla condizione del nubilato, sia pure in tema di trattamento di quiescenza e non di prestazioni previdenziali (in ordine alle quali era stata anzi pronunciata la sentenza di rigetto n. 82 del 1973). Ma ciò non toglie che, sul punto, il legislatore delegato abbia realizzato la parità di trattamento fra orfani ed orfane, privando le figlie nubili maggiorenni - attraverso un mero testo unico - di un diritto che loro competeva, quand'anche esse non fossero nullatenenti, conviventi a carico del dipendente statale in servizio ed inabili a proficuo lavoro ovvero in età superiore a sessant'anni; il che non si giustifica, né in nome della semplificazione e dello snellimento delle procedure, né in vista della migliore accessibilità e comprensibilità delle norme previdenziali, di cui si ragiona nell'art. 6, terzo comma, della legge n. 775 del 1970.

D'altra parte, non giova replicare che il legislatore delegato avrebbe pur sempre perseguito, mediante l'impugnato art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, uno stretto coordinamento fra la disciplina delle prestazioni previdenziali e quella del trattamento di quiescenza spettante ai superstiti dei dipendenti civili e militari dello Stato. La citata norma di delegazione si limita, infatti, a considerare il coordinamento" delle disposizioni in vigore concernenti le singole materie", senza alcun riferimento all'armonizzazione delle normative riguardanti materie diverse. Ed il collegamento fra i regimi previdenziale e pensionistico, già introdotto dalla norma in discussione, non rappresentava e non rappresenta affatto una soluzione obbligata o comunque preferibile sul piano legislativo, tanto é vero che l'art. 7, secondo comma, della legge n. 177 del 1976, concernente il "diritto all'indennità di buonuscita", ha interrotto il nesso stabilito dall'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, disponendo senz'altro che, "in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio", l'indennità competa, nella stessa misura che sarebbe spettata al dipendente, "al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle".

La richiesta pronuncia di accoglimento non si può certo risolvere, però, nella restaurazione di quanto già previsto dall'art. 5 cpv. della legge n. 1407 del 1956: una siffatta soluzione non sarebbe, nonché indispensabile sul piano costituzionale, nemmeno conforme all'art. 3 della Costituzione, poiché rinnoverebbe la preesistente disparità di trattamento fra le figlie ed i figli maggiorenni. Né può ipotizzarsi la radicale dichiarazione d'illegittimità costituzionale del riferimento - contenuto nella norma impugnata - agli "orfani... che conseguano il diritto alla pensione di riversibilità": poiché una tale pronuncia verrebbe nuovamente a contraddire il principio generale d'eguaglianza, negando agli orfani in genere il diritto all'indennità di buonuscita, a beneficio di altre categorie di superstiti, non considerati dalla legge n. 1407 del 1956 e quindi posposti agli orfani stessi, sia dal d.P.R. n. 1032 del 1973 sia dalla legge n. 177 del 1976. Ne segue che la soluzione costituzionalmente obbligata del problema in esame consiste, invece, nel far cadere le condizioni previste dal d.P.R. n. 1032, in collegamento con il d.P.R. n. 1092 del 1973, affinché gli orfani maggiorenni potessero vedersi corrispondere l'indennità di buonuscita: così anticipando, sotto il profilo in questione, l'applicabilità del regime più favorevole ai superstiti, introdotto dall'art. 7, secondo comma, della legge n. 177 del 1976.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 ("testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato"), nella parte in cui prevede che gli orfani maggiorenni abbiano diritto all'indennità di buonuscita solo quando conseguano il diritto alla pensione di riversibilità.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN -Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 3 dicembre 1984.