SENTENZA N. 238
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonino DE STEFANO,Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni); art. 1, comma terzo, D.L. 10 dicembre 1976, n. 798 conv. in legge 8 febbraio 1977, n. 16 promossi con ordinanze emesse il 29 aprile e 12 maggio 1978 dalle Commissioni tributarie di secondo grado di Pescara e Udine (n. 3 ordinanze), 20 ottobre e 6 novembre 1979 dalla Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, il 19 luglio 1980 dalla Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, il 23 marzo e 14 marzo 1981 dalla Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese (tre ordinanze), il 13 giugno e 5 luglio 1981 dalle Commissioni tributarie di primo grado di S. Maria Capua Vetere e Termini Imerese, il 27 giugno 1981 dalla Commissione tributaria di primo grado di Firenze, il 14 agosto, 15 aprile 1981 dalla Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese (tre ordinanze), il 4 marzo 1982 dalla Commissione tributaria di Piacenza (tre ordinanze) e il 20 luglio 1982 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Cagliari (due ordinanze), iscritte rispettivamente ai nn. 578, 611, 612 del registro ordinanze 1978, ai nn. 702, 703, 869 del registro ordinanze 1980, ai nn. 646, 647, 648, 722 del registro ordinanze 1981, ai nn. 13, 48, 175, 214, 215, 440, 441, 442, 726 e 727 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 45 del 1979, n. 325 del 1980, n. 56 del 1981, nn. 40, 47, 116, 137, 248, 255, 338 e 324 del 1982 e al n. 81 del 1983.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 il giudice relatore Arnaldo Maccarone;
udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
L'art. 19 della legge 2 dicembre 1975, in materia di imposte indirette sugli affari, dispone al primo comma che i termini di prescrizione e decadenza, già precedentemente prorogati al 31 dicembre 1975 dal D.L. 19 giugno 1974, n. 237, convertito nella legge 2 agosto 1974, n. 350, "sono ulteriormente prorogati al 31 dicembre 1976"; col secondo comma lo stesso articolo dispone altresì che "sono sospesi per un anno i termini di prescrizione e di decadenza" in corso "alla data di entrata in vigore della legge e scadenti fra il 1 gennaio ed il 31 dicembre 1976, compresi i termini relativi ai ricorsi ed ai procedimenti davanti alle commissioni tributarie nonché alle impugnazioni delle decisioni di dette commissioni".
Il Sig. Francesco Maggia, al quale l'Ufficio del Registro di Pescara aveva notificato il 13 gennaio 1976 un avviso di accertamento di maggior valore relativo ad una vendita immobiliare, proponeva ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Pescara in data 31 dicembre 1976, ma il ricorso veniva dichiarato irricevibile perché il termine per la impugnazione era scaduto il sessantesimo giorno dopo la notifica dell'avviso e non poteva quindi ritenersi "in corso" al momento dell'entrata in vigore della legge che era il 5 dicembre 1975 (giorno successivo alla pubblicazione della legge stessa sulla Gazzetta Ufficiale n. 321 del 4 dicembre 1975).
La Commissione di secondo grado di Pescara cui aveva fatto ricorso il Maggia avverso la ricordata dichiarazione di irricevibilità, con ordinanza 29 aprile 1978, n. 578/78 R.O., ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 19, secondo comma, in relazione all'art. 3 Cost.
Secondo l'ordinanza la disposizione impugnata indurrebbe una disparità di trattamento fra l'amministrazione ed il contribuente giacché la limitazione della proroga dei termini esclusivamente a quelli in corso alla data di entrata in vigore della legge, e non quindi estesa a quelli che iniziano a decorrere successivamente, costituirebbe una ingiustificata discriminazione a danno dei contribuenti nei confronti della pubblica Amministrazione a favore della quale, invece, anche dopo tale data, resterebbe in vigore la proroga dei termini per la notifica dell'accertamento da parte degli Uffici finanziari in virtù del primo comma dell'art. 19 citato.
Si stabilirebbe inoltre una disparità di trattamento fra i contribuenti rispetto alla data, del tutto discrezionale, della notifica dell'accertamento, dalla quale deriverebbe l'applicabilità o meno del secondo comma dell'art. 19 citato.
Con le ordinanze 726 e 727/82 emesse il 20 luglio 1982 dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Cagliari sui ricorsi di D'Aquila Pietro nonché con le ordinanze 12 maggio 1978, n. 611 e 612/78, emesse su ricorso di Pontisso Adelchi dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Udine, sono state sollevate analoghe censure, ponendosi particolarmente in evidenza con le ultime due il fatto che i termini scaduti prima della entrata in vigore della legge n. 576 del 1975, ma prorogati in virtù del primo comma della legge del 1975 finirebbero con l'andare irrazionalmente a scadere dopo quelli che hanno iniziato a decorrere successivamente ma non erano più "in corso" al momento della entrata in vigore della legge impugnata.
Secondo le ordinanze 20 ottobre e 6 novembre 1979, nn. 702 e 703, emesse sui ricorsi di Chiorboli Maria Iris e Secchieri Luisa dalla Commissione tributaria di primo grado di Ferrara, e che pure censurano l'art. 19 sopra richiamato, si profilerebbe anche l'illegittimità dell'art. 1, comma terzo, del D.L. 10 dicembre 1976, inserito con la legge di conversione 8 febbraio 1977, n. 16, secondo cui nella materia in esame sono altresì prorogati al 31 dicembre 1977 i termini di prescrizione e decadenza scaduti dal 5 all'11 dicembre 1976. Invero, secondo l'ordinanza, il legislatore avrebbe così inteso procrastinare i termini entro cui l'amministrazione può rettificare i valori denunciati nel periodo suddetto. Tali termini, non rientrando nella disposizione dell'art. 19 della legge del 1975, e non essendo compresi neppure nella proroga di cui al D.L. 10 febbraio 1976, entrato in vigore appunto l'11 successivo, non erano sospesi e pertanto erano da considerarsi scaduti a tutti gli effetti. La disposizione farebbe così risorgere termini esauriti e con ciò si porrebbe in contrasto con l'art. 24 Cost..
Con le ordinanze emesse il 23 marzo 1981, il 14 marzo 1981, il 5 luglio ed il 14 agosto 1981, sui ricorsi di Asaro Carlotta, De Lisi Agostina e Catanese Nicasio, distinte coi nn. 646, 647, 648/81 e 13/82, nonché con le ordinanze 14 agosto 1981 e 15 aprile 1981 sui ricorsi di Drago Calogero, Felice Ignazio e Mesi Giuseppe, distinte coi nn. 175/82, 214/82, 215/82, tutte emesse dalla Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, riproponendosi le censure di cui sopra, concernenti l'art. 19 della legge n. 576 del 1975, si pone particolarmente in luce che la pubblica Amministrazione, se il termine per l'accertamento scade fra il 1 gennaio 1976 ed il successivo 31 dicembre, godrebbe della sospensione dei termini per un anno essendo questi sempre in corso alla data di entrata in vigore della legge, cioé il 5 dicembre 1975, perché prorogati al 31 dicembre 1975 in virtù del primo comma dell'art. 19 impugnato, mentre il contribuente può beneficiare della detta sospensione solo se l'avviso gli sia stato notificato entro il 4 dicembre 1975 perché solo in tal caso il termine per ricorrere sarebbe "in corso" alla data di entrata in vigore della legge.
La norma poi contrasterebbe con l'art. 24 Cost. per la lesione del diritto di difesa che la disparità di trattamento evidenziata comporterebbe.
Con le ordinanze n. 869/80 del 19 luglio 1980 della Commissione Tributaria di primo grado di Cagliari, su ricorso di Pinna Grazia; della Commissione Tributaria di primo grado di Piacenza nn. 440, 441 e 442/82, emesse il 4 marzo 1982 su ricorsi di Froni Nello e n. 722/81 della Commissione tributaria di primo grado di S. Maria Capua Vetere ed emessa il 13 giugno 1981 su ricorso di Niro Giuseppe, sono state sollevate censure per presunta violazione dell'art. 3 Cost., nei confronti dell'art. 1 del D.L. 10 dicembre 1976, n. 798, per motivi analoghi a quelli posti a base delle ordinanze precedenti. I giudici a quibus osservano peraltro in particolare che la proroga al 31 dicembre 1977 dei termini di prescrizione e di decadenza ivi stabilita, non prevederebbe l'inclusione dei termini inerenti ai ricorsi avverso gli avvisi di accertamento notificati fra il 5 dicembre 1975 ed il 5 ottobre 1976 (ultimo giorno utile per l'inizio del decorso del termine di 60 giorni ai fini della inclusione nella proroga del 1975 dei ricorsi relativi agli accertamenti notificati il 4 dicembre 1975.
Si determinerebbe così una ingiustificata disparità di trattamento fra i contribuenti ai quali l'ufficio ha notificato l'avviso di accertamento entro il 4 dicembre 1975, che possono beneficiare della sospensione dei termini di cui all'art. 19 della legge n. 576 del 1975 e dei successivi provvedimenti di proroga e quelli ai quali sia stata effettuata la notifica in data successiva che non usufruendo di alcuna proroga, devono presentare ricorso entro il termine normale.
Oltre alla violazione dell'art. 3 Cost. che tale situazione comporterebbe, secondo l'ordinanza della Commissione di S. Maria Capua Vetere, si verificherebbe altresì un contrasto del citato art. 1 con l'art. 24 della Costituzione essendo la detta situazione anche lesiva del diritto di difesa dei contribuenti perché in attesa della norma impugnata si sarebbe ingenerata tra i contribuenti esclusi l'attesa ragionevole, poi delusa, che la proroga sarebbe stata estesa anche a loro.
Con l'ordinanza n. 48/82 della Commissione tributaria di Firenze, emessa il 27 giugno 1981 su ricorso di Rucellai Bernardo, censure analoghe a quelle sopra riportate concernenti la pretesa violazione dell'art. 3 Cost. sono state infine sollevate tanto contro l'art. 19, secondo comma della citata legge n. 576 del 1975, quanto contro l'art. 1 legge 8 febbraio 1977, n. 16 di conversione del D.L. 12 dicembre 1976, n. 798.
In tutti i giudizi sopra menzionati, salvo che in quello proveniente dall'ordinanza n. 214/82 della Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni difensive.
Nelle difese l'Avvocatura osserva, in linea generale, quanto alla impugnazione dell'art. 19, secondo comma, che la Legge n. 576 del 1975 era intervenuta a disciplinare una materia che aveva già formato oggetto di regolamentazione eccezionale con successivi provvedimenti legislativi di proroga dei termini in parola, ed aveva inteso soltanto prorogare a nuova data il regime di eccezione istituito in materia in vista del riordinamento degli Uffici finanziari e della introduzione della nuova disciplina del contenzioso tributario, con riferimento quindi ad una esigenza temporalmente limitata, e senza voler ampliare il campo di applicazione della proroga che restava delimitato ai termini in scadenza entro il 31 dicembre 1975.
Col secondo comma impugnato il legislatore avrebbe poi preso in considerazione anche i termini "in corso" disponendone la sospensione e sottoponendoli così ad un regime particolare transitorio in vista della completa normalizzazione, tenuta presente l'esigenza di non creare una frattura immediata tra il regime dei termini ancora correnti in virtù delle precedenti proroghe ed ulteriormente prorogati con la legge in esame, ed il regime di quei termini che, ugualmente correnti alla data del provvedimento sarebbero venuti in scadenza oltre la data del 31 dicembre 1975 e non avrebbero così potuto beneficiare della proroga.
Ciò posto, l'Avvocatura prosegue affermando che la posizione della pubblica Amministrazione e dei contribuenti rispetto alla sospensione dei termini in corso sarebbe del tutto paritaria in quanto anche per l'Amministrazione i termini che sarebbero scaduti a suo sfavore dopo il 1 gennaio 1976 e che non fossero già in corso alla data suddetta sarebbero rimasti assoggettati secondo la legge del 1975 alla disciplina normale.
E ciò sarebbe comprovato dalle risultanze dei lavori preparatori della successiva legge di proroga 8 febbraio 1977, n. 16.
L'Avvocatura osserva altresì che l'abolizione di un regime eccezionale come quello in esame, destinato naturalmente ad una vigenza temporanea, é necessariamente collegato alla fissazione di una data di demarcazione tra i rapporti ricadenti nel periodo considerato ed i rapporti successivi.
Onde infondato apparirebbe anche il secondo profilo di illegittimità concernente la pretesa disparità di trattamento fra contribuenti, giacché, in caso contrario, dovrebbe ammettersi l'irrazionale principio secondo cui, una volta stabilito un regime eccezionale, il legislatore non potrebbe più ristabilire la disciplina ordinaria per non generare situazioni di difformità fra i rapporti in ragione del decorso del tempo.
Con riguardo in particolare alle ordinanze emesse dalla Commissione di Termini Imerese, su ricorso di Asaro Carlotta e De Lisi Agostino, l'Avvocatura afferma che, in base alle precedenti proroghe, il termine per la notifica dell'accertamento tributario era ancora in corso alla data del 5 dicembre 1975 e poteva quindi essere sospeso fino al 31 dicembre 1976. L'Amministrazione, peraltro, notificando l'accertamento il 10 dicembre, non si sarebbe avvalsa di tale proroga, ma avrebbe usufruito di quelle precedenti valevoli fino al 31 dicembre 1975, onde la questione sarebbe irrilevante.
In ogni modo la questione sarebbe infondata perché anche i contribuenti avrebbero potuto beneficiare della proroga se il termine per impugnare fosse scaduto entro il 31 dicembre 1975 e si sarebbero trovati in posizione paritaria a quella dell'Amministrazione la quale pure godeva di un anno di tempo per notificare l'accertamento. Anche l'Amministrazione se una decisione ad essa sfavorevole fosse stata notificata dopo l'entrata in vigore della legge del 1975 avrebbe dovuto impugnarla nel termine ordinario di sessanta giorni senza poter invocare alcuna sospensione, e se l'atto tassabile fosse stato registrato dopo il 5 dicembre 1975 il termine per la notifica dell'accertamento non avrebbe goduto, anch'esso di alcuna sospensione.
L'Avvocatura, inoltre, osserva che in ogni caso risponderebbe a criterio di ragionevolezza che il legislatore fissi dei termini e provveda a prorogarli o sospenderli e la loro sospensione o la proroga qualificherebbero di per sé in modo diverso le situazioni che si trovano collocate in posizione diverse rispetto ai termini medesimi. Sarebbe cioé evidente che non é uguale, ma diversa, con conseguente legittimità del diverso trattamento, la situazione dei contribuenti per i quali un dato termine é in un certo momento in corso, rispetto a quella dei contribuenti per i quali nello stesso momento il termine non é più o non é ancora in corso.
E la lamentata esclusione dalla proroga risponderebbe d'altra parte alla naturale esigenza di un avvio alla normalizzazione delle situazioni determinate dalla entrata in vigore della riforma tributaria che imponeva necessariamente, ad un dato momento, la cessazione dell'eccezionale periodo di proroga o di sospensione.
Quanto alla censura rivolta contro l'art. 1 del D.L. n. 798 del 1976 sotto il profilo della pretesa violazione degli artt. 3 e 24 Cost. che deriverebbe dall'esclusione dalla proroga dei termini scadenti tra il 5 dicembre 1975 ed il 5 ottobre 1976 implicitamente sancita dalla norma censurata, l'Avvocatura osserva che la estensibilità della proroga anche ai termini ricadenti nel periodo in discussione sarebbe stata esaminata in sede di conversione in legge del citato D.L. del 1976, ma sarebbe stata esclusa in base alla considerazione che non si sarebbe trattato propriamente, nel caso, di proroga di termini, bensì di stabilire proroghe nuove di termini mai in precedenza prorogati; che non vi era alcuna ragione per riaprire tali termini anche perché dopo la legge del 1975 era stato chiaro che gli stessi non erano soggetti a proroga e che comunque una rimessione in termini avrebbe finito col premiare i contribuenti meno diligenti rispetto a quelli che avevano usufruito dei termini normali vigenti.
Diversa essendo la situazione di coloro che avevano rispettivamente operato prima e dopo la legge del 1975, non sussisterebbero i presupposti per potersi configurare una irrazionale disparità di trattamento.
Quanto alla pretesa violazione dell'art. 24 osserva che l'opinione sulla estensione della proroga anche a favore dei contribuenti che si sarebbe ingenerata fra costoro in base ai criteri seguiti dalla legislazione precedente, non potrebbe assurgere, anche se corrispondente al vero, a motivo di illegittimità della legge, trattandosi di un problema di interpretazione che non toccherebbe l'idoneità della norma a consentire la tutela dei diritti.
Per quanto riguarda poi il profilo di illegittimità dell'art. 1 della legge del 1976 prospettato per l'avvenuta proroga dei termini scaduti nel periodo compreso dal 5 dicembre 1976 all'11 dicembre 1976, sospettato di contrasto con l'art. 24 Cost., l'Avvocatura osserva che la norma, in sostanza non fa che riaprire termini già scaduti, e rileva che con ciò non verrebbe leso alcun precetto costituzionale, e tanto meno poi la garanzia di difesa sancita dall'art. 24 Cost.
Invero si trattava soltanto di saldare la data del 5 dicembre 1976, scadenza della proroga precedente con quella di entrata in vigore del D.L. n. 798 del 1976, cioé appunto l'11 dicembre 1976, e tale ratio, tendente in sostanza a coprire un vuoto legislativo non potrebbe certo ritenersi illogica o discriminatrice.
Considerato in diritto
1. - Le questioni sottoposte alla Corte sono identiche o strettamente connesse e pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Con il decreto-legge 18 dicembre 1972, n. 788, convertito con modificazioni nella legge 15 febbraio 1973, n. 9, venne disposta a favore dell'Amministrazione finanziaria e dei contribuenti la proroga al 30 giugno 1974 dei termini di prescrizione e di decadenza in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari, che sarebbero scaduti nel periodo di tempo intercorrente tra la data di entrata in vigore del decreto (21 dicembre 1972) e la stessa data del 30 giugno 1974.
Come risulta dai lavori preparatori, il provvedimento venne adottato in conseguenza della soppressione di ben 471 Uffici del registro ed in vista della ristrutturazione degli altri Uffici, ai quali venivano aggregati i Comuni che non avevano più l'Ufficio del registro nel distretto d'imposta in cui era collocato.
Ciò comportava infatti un rigoroso impegno del personale per tutte le complesse operazioni necessarie ai fini della detta ristrutturazione, e rendeva opportuna la disposta proroga ai fini di evitare, all'Amministrazione, i pregiudizi organizzativi ed economici derivanti dalla descritta situazione, e particolarmente dalla necessaria sospensione delle verifiche di cassa nei rimanenti uffici. Per i contribuenti, poi, alleviava gli ostacoli nell'adempimento delle formalità e degli atti imposti dalla legge anche a tutela dei loro diritti.
Successivamente, perdurando, contro le previsioni, le ragioni poste a base della proroga, con l'art. 1 del D.L. 19 giugno 1974, n. 237, convertito con modificazioni nella legge 2 agosto 1974, n. 350 "le disposizioni contenute nel decreto legge 18 dicembre 1972, n. 788 convertito con modificazioni nella legge 15 febbraio 1973, n. 9" furono "prorogate al 31 dicembre 1975" specificandosi che la proroga si intendeva riferita ai termini aventi scadenza dal 21 dicembre 1972, data di entrata in vigore del primo decreto di proroga 18 dicembre 1972, n. 788, al 31 dicembre 1975.
Con l'art. 19 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, concernente disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni, i termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1975 dal citato decreto del 1974 n. 237 e dalla relativa legge di conversione furono ulteriormente prorogati al 31 dicembre 1976.
Inoltre, col secondo comma dello stesso articolo venne stabilita la sospensione per un anno dei termini in materia di prescrizione e di decadenza "in corso" alla data di entrata in vigore della legge e scadenti tra il 1 gennaio ed il 31 dicembre 1976.
Con ciò mentre si intendeva ovviare ai perduranti descritti inconvenienti nell'Amministrazione finanziaria, si intendeva anche avviare alla normalizzazione il regime dei termini in esame.
A tal fine appare infatti specificamente diretta la norma di cui al secondo comma del citato art. 19, la quale, prendendo in considerazione in particolare i termini "in corso" alla data di entrata in vigore della legge (5 dicembre 1975) e "scadenti fra il 1 gennaio ed il 31 dicembre 1976", e che, come tali, sarebbero stati esclusi dalla proroga di cui al primo comma, estesa soltanto ai termini scadenti entro il 31 dicembre 1975, ne dispone la sospensione per un anno, a condizione che i termini stessi siano "in corso" alla data di entrata in vigore della legge.
Tale condizione restringeva il beneficio della sospensione mediante un riferimento temporale allo stato del termine, ed aveva il fine di armonizzare e coordinare in qualche modo il regime dei termini assoggettati alla serie organica delle proroghe precedenti con il regime di quei termini che, invece, come si é detto, per essere scadenti oltre il 31 dicembre 1975 sarebbero rimasti esclusi dalle proroghe precedenti.
Inoltre con l'art. 1, primo comma, D.L. 10 dicembre 1976 n. 798 "i termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1976 dall'art. 19, primo comma, della citata legge n. 576 del 1975" furono prorogati di altri sei mesi, cioé fino al 30 giugno 1977; e col secondo comma i termini previsti dallo stesso art. 19 "che in virtù delle disposizioni ivi contenute, scadono tra il 1 gennaio ed il 4 dicembre 1977 "furono prorogati al 31 dicembre 1977; col terzo comma i termini in parola, compresi espressamente quelli concernenti il contenzioso tributario scadenti tra la data di entrata in vigore del decreto ed il 30 giugno 1978 furono prorogati a quest'ultima data.
Con la legge di conversione n. 16 del 1977, fu poi introdotta la proroga al 31 dicembre 1977 dei termini scaduti nel periodo compreso dal 5 dicembre 1976, scadenza della proroga del 1975, all'11 dicembre 1976, entrata in vigore della nuova proroga, e che risultavano pertanto scoperti da qualsiasi proroga.
Sostanzialmente con le ultime disposizioni, come si rileva anche dai lavori preparatori, il legislatore aveva inteso predisporre uno scaglionamento della scadenza dei termini, effettuando:
a) una proroga al 30 giugno 1977 dei termini già prorogati ex art. 19, primo comma; b) una proroga al 31 dicembre 1977 dei termini già sospesi per un anno per effetto del secondo comma dell'art. 19 ricordato e scadenti dal 1 gennaio al 4 dicembre 1976; data quest'ultima in cui appunto si compiva l'anno di sospensione a partire dall'entrata in vigore della legge n. 576 del 1975; c) l'unificazione dei termini delle prescrizioni e decadenze anche per i ricorsi avanti alle Commissioni e, per le impugnazioni, per tutti gli atti le cui scadenze erano comprese fra la data di entrata in vigore del Decreto 10 dicembre 1976 (11 dicembre 1976) ed il 30 giugno 1978.
3. - Ciò premesso, conviene anzitutto esaminare la censura con cui si lamenta che l'art. 19, secondo comma della legge 2 dicembre 1975, n. 576, limitando la sospensione per un anno dei termini di prescrizione e di decadenza solo a quelli "in corso" alla data di entrata in vigore della legge stessa e scadenti nell'anno 1976 indurrebbe una disparità di trattamento fra i contribuenti e la pubblica Amministrazione, a favore della quale rimarrebbe sempre in vigore la proroga dei termini stabilita in via generale col primo comma dell'art. 19 stesso, il quale, infatti, dispone la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza già precedentemente prorogati portandoli al 31 dicembre 1976, per cui i termini stessi rimarrebbero sempre in corso per l'amministrazione al 5 dicembre 1975, e beneficerebbero quindi sempre della sospensione, a differenza di quanto accadrebbe per i contribuenti, che potrebbero fruire della sospensione solo per i termini effettivamente in corso al 5 dicembre 1975.
Per quanto riguarda la ordinanza di rinvio 647/81 emessa dalla Commissione Tributaria di Termini Imerese il 23 marzo 1981 su ricorso di Asaro Carlotta, l'Avvocatura ha pregiudizialmente eccepito l'irrilevanza della questione, osservando che nella specie l'amministrazione non si sarebbe avvalsa della proroga disposta con la norma impugnata, ma avrebbe utilizzato le proroghe precedenti, entro il cui ambito appunto ricadeva la data del 1 dicembre, in cui era stato notificato l'accertamento alla Asaro.
Ma dalla lettura dell'ordinanza di rinvio risulta che il giudice a quo ha espressamente tenuto presente la sequenza degli atti del procedimento tributario e, in particolare, la data di notifica dell'accertamento e tanto basta per ritenere rispettato il requisito della rilevanza della questione la cui valutazione, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, é di stretta competenza del giudice a quo, senza che la Corte stessa possa portare il suo esame su eventuali inesattezze di applicazione della norma impugnata alla fattispecie trattata nel giudizio principale, ove non ricorrano palesi irrazionalità.
Quanto al merito della questione deve osservarsi che la lamentata diversità di trattamento trova una sua ragione di essere in ciò che si é detto a proposito dei motivi che ispirarono al legislatore la disciplina denunziata. Invero regolare in via transitoria la scadenza dei termini nei sensi sopra esposti significava, sostanzialmente, da un lato, prolungarne il regime eccezionale per consentire la funzionalità degli uffici e recuperare all'erario alcune migliaia di miliardi, come precisato nei lavori preparatori, e, dall'altro, porre una disciplina che rappresentava una via di transizione verso il ritorno alla normalità nel settore. La speciale considerazione dei termini "in corso" aveva, invero, come si é detto, una funzione limitativa, rispondente a razionali motivi e tale quindi da escludere la violazione del principio di eguaglianza che, per costante giurisprudenza di questa Corte, é osservato quando la diversità di disciplina fra situazioni omogenee é razionalmente giustificata.
Né può tacersi che la posizione dello Stato e dei contribuenti nella situazione descritta non era raffrontabile, date le precipue esigenze finanziarie cui la disciplina censurata corrispondeva.
Ma, anche prescindendo da tali considerazioni, va rilevato che, non contenendo il testo normativo specifiche indicazioni circa i soggetti destinatari, é da ritenere che la previsione riguardi sia l'amministrazione che il contribuente. Ciò comporta parità di trattamento normativo ed esclude, anche sotto tale profilo, la violazione del principio di eguaglianza.
4. - É stato prospettato anche un secondo profilo di contrasto della norma in discussione con il principio di eguaglianza, osservandosi che la norma stessa finirebbe col subordinare l'operatività della sospensione dei termini, ai fini della impugnazione degli accertamenti, alla "discrezionalità" dell'Amministrazione nel curarne la notifica, dalla cui data appunto inizia la decorrenza del termine d'impugnazione degli accertamenti stessi.
Ma l'argomentazione non può essere condivisa. Invero é nell'ordine normale delle cose il fatto che ad una serie di previsioni eccezionali, limitate nel tempo, come quelle costituite appunto dai successivi provvedimenti di proroga dei termini in esame si sostituisca, poi, col ritorno ad una linea di tendenziale normalizzazione, una disciplina diversa che necessariamente si contrappone a quella precedente senza per questo istituire discriminazioni. E ciò in conformità del principio più volte accolto dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui non può contrastare col principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato in momenti successivi, perché lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé un elemento diversificatore in rapporto alle situazioni che appunto nel tempo si vanno svolgendo.
La situazione di coloro che ricevono la notifica di accertamento ad una certa data che comporta il beneficio della sospensione dei termini e quella di coloro che invece tale notifica ricevono in data che tale beneficio non consente si presenta diversificata appunto in virtù di un elemento temporale collegato con il normale funzionamento della P.A. e pertanto, alla luce di quanto si é detto, non si concreta nella specie una violazione del principio di eguaglianza.
5. - Parimenti é da escludere il prospettato contrasto della norma impugnata con l'art. 24 della Costituzione, che deriverebbe dalla lamentata disparità di trattamento e dalla lesione del diritto di difesa che ne conseguirebbe. Invero chiariti i ragionevoli motivi che stanno alla base della disciplina censurata, appare evidente che la prospettata doglianza non ha fondamento, poiché l'art. 24, secondo comma, Cost., se garantisce il diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio, non ne disciplina però i modi di esercizio, che il legislatore ben può regolare variamente, tenendo conto, ragionevolmente, come nella specie, dei vari interessi in gioco nel processo.
6. - É stata poi prospettata l'illegittimità del terzo comma dell'art. 1 D.L. 10 dicembre 1976, n. 798, introdotto con la legge n. 16 del 1977 che estendeva la proroga dei termini in esame a quelli scaduti dal 5 all'11 dicembre 1976, non rientranti tra quelli compresi nel periodo precedente.
Si afferma al riguardo che i detti termini, appunto perché non compresi nella proroga erano scaduti e pertanto la norma impugnata avrebbe in sostanza prodotto la reviviscenza di termini ormai esauriti, il che comportebbe la violazione dell'art. 24 Cost..
In proposito é da osservare, peraltro, che, come é pacifico, i termini così prorogati in realtà erano rimasti esclusi dalla proroga senza motivo, e solo a causa di un probabile difetto di coordinamento.
Si legge appunto nei lavori preparatori che al fine di eliminare l'esclusione, non sorretta da alcun valido motivo, occorreva colmare il vuoto temporale così creatosi mediante la saldatura dei periodi sopra specificati.
Il richiamare in vigore in tali circostanze termini scaduti non lede in alcun modo la garanzia costituzionale invocata, limitandosi a rendere possibili, per ovii motivi di razionalità, attività altrimenti precluse. In relazione all'eventuale azione dell'Amministrazione gli interessati potevano d'altra parte liberamente esercitare, a loro volta, il diritto di difesa senza limitazione alcuna.
7. - Altra questione é stata sollevata circa la pretesa illegittimità dell'art. 1 del D.L. 10 dicembre 1976, n. 798 in quanto sostanzialmente tale disposizione, coordinata con la precedente normativa in materia, non prevederebbe l'estensione della proroga precedentemente sancita anche a quei termini che avevano avuto inizio nel periodo compreso fra il 5 dicembre 1975 (entrata in vigore della legge n. 576 del 1975) ed il 5 ottobre 1976 (60 giorno antecedente al compimento dell'anno di sospensione stabilito con la stessa legge n. 576 per i termini relativi ai ricorsi in materia di imposte).
In tal modo, secondo la censura, risulterebbe violato anzitutto l'art. 3 Cost., perché l'esclusione dalla proroga, sostanzialmente collegata all'elemento occasionale ed aleatorio della data di notifica dell'accertamento, dalla quale appunto inizia il decorso del termine per il ricorso e conseguentemente dipende l'applicabilità o meno della proroga, comporterebbe una discriminazione irrazionale e come tale contrastante con il principio di eguaglianza.
Ma la questione non é fondata.
Nel corso dei lavori preparatori della legge 8 febbraio 1977, n. 16, invero, il problema della esclusione dei termini anzidetti dalla proroga fu espressamente trattato in sede di discussione di un emendamento all'uopo presentato, ma non trovò accoglimento da parte del Governo sulla basilare considerazione che dopo l'approvazione della legge n. 576 del 1975 la tendenza era quella di normalizzare la materia della scadenza dei termini. Pertanto era da ritenere che i contribuenti i quali avevano operato dopo l'entrata in vigore della legge stessa (5 dicembre 1975) erano in regime normale e di ciò dovevano essere consapevoli dato il preciso riferimento a tale data per l'operatività del beneficio. L'accoglimento dell'emendamento, secondo il Governo, avrebbe anzi comportato la rimessione in termini di tutti coloro che li avevano lasciati decadere, ed avrebbe finito con il premiare i contribuenti che si erano comportati meno diligentemente di quelli che invece avevano pagato quanto dovuto.
Queste considerazioni costituiscono una valida e razionale giustificazione dell'esclusione lamentata, e in funzione di esse si delinea in modo evidente la diversità delle situazioni dei contribuenti che avevano operato prima e dopo l'entrata in vigore della legge del 1975. Diversità che vale ad escludere la sussistenza del lamentato vizio di illegittimità.
Parallele considerazioni valgono anche ad escludere la disparità fra contribuente e amministrazione, sostenuta in quanto gli avvisi di accertamento in virtù della proroga potrebbero essere notificati dall'Amministrazione in regime di favore. Invero la posizione della P.A. caratterizzata dalle descritte difficoltà, e quella dei contribuenti, non sono raffrontabili e come tali sfuggono al controllo di legittimità in relazione all'art. 3 Cost..
10. - Parimenti, infine, é da escludere la prospettata violazione dell'art. 24 Cost. per effetto della norma impugnata, che, secondo il giudice a quo, deriverebbe dall'opinione ragionevolmente formatasi nei contribuenti che la proroga in discussione sarebbe stata concessa, il che poi non avvenne.
É infatti evidente che una mera opinione, formatasi sulla base di una previsione del verificarsi di certe condizioni poi non concretatesi non può certo costituire un elemento tale da incidere sul diritto di difesa, che consiste nel libero esercizio della tutela giurisdizionale, e che nella specie non é ovviamente neppure sfiorato dalla norma impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i procedimenti
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate:
a) nei confronti dell'art. 19, secondo comma, legge 2 dicembre 1975, n. 576, in riferimento agli artt. 3, 24 Cost. con le ordinanze della Commissione Tributaria di primo grado di Termini Imerese nn. 646, 647/81 del 23 marzo 1981; 648/81 del 14 marzo 1981; 13/82 del 5 luglio 1981; 175/82 del 14 agosto 1981; 214/82 del 15 aprile 1981 e 215/82 del 14 agosto 1981;
b) nei confronti dello stesso art. 19, secondo comma, legge 2 dicembre 1975, n. 576, in riferimento al solo art. 3 Cost. con le ordinanze della Commissione Tributaria di secondo grado di Pescara n. 578/78 del 29 aprile 1978; della Commissione Tributaria di secondo grado di Udine nn. 611 e 612/78 del 12 maggio 1978; della Commissione Tributaria di Cagliari nn. 726 e 727/82 del 20 luglio 1982;
c) dell'art. 1, terzo comma, del D.L. 10 dicembre 1976 n. 798, convertito nella legge 8 febbraio 1977, n. 16, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le ordinanze della Commissione Tributaria di primo grado di Cagliari nn. 869/80 del 19 luglio 1980; della Commissione Tributaria di primo grado di S. Maria Capua Vetere n. 722/81 del 13 giugno 1981; ed in riferimento al solo art. 3 Cost. con le ordinanze della Commissione Tributaria di secondo grado di Piacenza nn. 440, 441, 442 del 4 marzo 1982;
d) nei confronti del citato art. 19, comma secondo, legge 2 dicembre 1975, n. 576 e del citato art. 1, comma terzo, D.L. 10 dicembre 1976, n. 798, convertito nella legge 8 febbraio 1977, n. 16, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le ordinanze della Commissione Tributaria di primo grado di Ferrara nn. 702 e 703/80 del 20 ottobre 1979 e 6 novembre 1979;
e) dell'art. 19, comma secondo, legge 2 dicembre 1975, n. 576, nonché della legge 8 febbraio 1977, n. 16, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza della Commissione Tributaria di Firenze n. 48/82 del 27 giugno 1982.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1984.