SENTENZA N. 182
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonino DE STEFANO,Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41, in relazione all'art. 32 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni e dell'art. 17, in relazione all'art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 1979 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Vaselli Gabriella ed altri iscritta al n. 1018 del registro ordinanze l979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 71 dell'anno 1980.
Visto l'atto di costituzione di Vaselli Gabriella ed altri nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 il Giudice relatore Oronzo Reale;
udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa in data 23 ottobre 1979, i1 pretore di Roma sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo risultante dalle successive modifiche, in relazione all'articolo 32 della stessa legge; o, in via alternativa, qualora ritenuto più favorevole, dell'art. 17, in relazione all'art. 15, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "Norme per la edificabilità dei suoli", nella parte in cui le dette norme, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, impediscono la applicazione della misura di sicurezza della confisca penale (ex art. 240 c.p.), qualora siano giudizialmente accertati reati in materia edilizia, e relativamente ad immobili realizzati in assenza o in totale difformità dalla licenza (ora concessione) edilizia.
Premesso che la sua analisi del problema parte dalla considerazione secondo cui é ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione per la quale é escluso che, da parte del giudice penale, possa procedersi alla confisca degli immobili abusivi, in quanto il relativo potere del giudice ordinario si porrebbe in inconciliabile contrasto con i poteri che l'ordinamento giuridico attribuisce al riguardo all'autorità amministrativa, il giudice a quo, ricordato il tipo di sanzioni cui la detta autorità può, alternativamente, far ricorso, prospetta il dubbio che le norme suindicate siano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione perché sarebbe ivi prevista una disciplina che, al di là di ogni ragionevolezza e logicità, opererebbe una discriminazione tra imputati di reati (anche contravvenzionali), favorendo quelli per reati edilizi, nei confronti dei quali ultimi, seppure forniti di requisiti di identica o maggiore pericolosità criminale, non potrebbe operare l'istituto della confisca. Ad avviso del pretore di Roma la previsione normativa di sanzioni amministrative, anche comportanti la demolizione, non diminuirebbe la validità dell'argomentazione, in quanto queste ultime vedrebbero la loro applicazione "affidata a disinvolte regole politiche anziché di buona amministrazione", ed inoltre "il loro dimensionamento pecuniario lascerebbe sussistere l'opera nella sua integrità fisica", cioé il prodotto del reato, che la confisca é istituzionalmente destinata a sottrarre all'imputato. Ad avviso del giudice rimettente, da tale disparità di trattamento deriverebbe anche il sacrificio di quell'interesse superiore di giustizia, inerente alla funzione criminale, "secondo accezioni non assimilabili alla ratio a cui sono ispirate le sanzioni amministrative in materia urbanistica".
Le norme denunciate sarebbero inoltre in contrasto con l'art. 9 della Costituzione; lo Stato vanterebbe infatti "un interesse pubblico privilegiato" nella tutela del territorio in genere. Da ciò deriva che il privare lo Stato stesso del potere penale (ulteriore) di confiscare le opere edilizie abusive "che offendono il suo interesse primario tradotto nel precetto penale", comporterebbe "l'affievolimento oltre ogni ragionevolezza" dei mezzi di intervento statuali a difesa del territorio ed attinenti alla sfera penale.
Le dette norme contrasterebbero anche con l'art. 112 della Costituzione "poiché irragionevolmente" limiterebbero "sotto alcuni aspetti riflessi ma rilevanti, gli effetti dell'esercizio dell'azione penale, il cui sviluppo coincide in senso effettuale con la richiesta e l'applicazione delle misure di sicurezza".
Dopo aver così esposto le sue perplessità circa la possibile incostituzionalità delle norme denunciate, il giudice a quo evidenzia un suo convincimento interpretativo delle disposizioni vigenti, tale da evitare gli inconvenienti di inconciliabilità tra la confisca ed il potere sanzionatorio del sindaco: a suo avviso infatti, poiché la confisca comporta l'acquisizione al patrimonio dello Stato dell'opera "e necessariamente del suolo su cui questa insiste, senza il quale non avrebbe fisica e patrimoniale esistenza", ai sensi dell'articolo 15, tredicesimo comma, della legge n. 10 del 1977, il sindaco conserverebbe il potere di ordinare la demolizione a spese del costruttore ove l'opera contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, trattandosi di opere eseguite da terzi su suolo di proprietà dello Stato.
In punto di rilevanza, il pretore motiva ampiamente, evidenziando che la qualità di imputati é stata assunta dagli odierni imputati in ragione delle rispettive qualità sociali, rivestite nella S.p.A. Albergo di Russia, proprietaria del complesso immobiliare della cui abusiva ristrutturazione si tratta.
Si sono costituiti gli imputati nel processo a quo chiedendo che la questione, come proposta, sia dichiarata infondata. L'atto di costituzione é datato 6 gennaio 1983, mentre la pubblicazione dell'ordinanza sulla Gazzetta Ufficiale é avvenuta il 12 marzo 1980.
Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato e chiedeva che la proposta questione fosse dichiarata infondata.
Ricordato il sistema vigente di repressione delle violazioni edilizie, che segue il doppio binario delle sanzioni penali e di quelle amministrative, l'Avvocatura evidenzia come la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione sia pervenuta ad escludere che il giudice penale possa ordinare la demolizione dell'opera edilizia abusivamente eseguita, sia pure in violazione delle norme penalmente sanzionate, oppure imporre la demolizione quale condizione al godimento del beneficio della sospensione condizionale della pena ed altresì che lo stesso giudice possa disporre la confisca delle opere costruite in violazione della legge edilizia. Riassunti i motivi di tale consolidato orientamento, l'Avvocatura ne evidenzia l'intrinseca logicità e coerenza ed esclude che nella normativa de qua possano essere ravvisati i vizi di incostituzionalità denunciati dal pretore.
Per quanto attiene alla pretesa disparità di trattamento, si osserva infatti che, nel caso di specie, l'esclusione della confisca penale trova razionale giustificazione nell'avere il legislatore del 1977 prevista una confisca amministrativa ed anche nella constatazione che si versa in un campo (quello delle violazioni edilizie e degli effetti che ne derivano) che ne chiede una valutazione più complessa nell'ambito di competenze legislative e amministrative variamente articolate. Né, si dice, la prospettata compatibilità della confisca penale e di quella amministrativa, secondo la tesi interpretativa del giudice a quo, può trovare consenso, in quanto é di solare evidenza che la stessa darebbe inevitabilmente luogo ad inconvenienti di ogni sorta.
La prospettata violazione dell'art. 9 della Costituzione neppure sussisterebbe, in quanto "precise norme costituzionali" attribuiscono la materia urbanistica alla competenza regionale, nel cui ambito si deve attuare quella complessa valutazione che é necessaria nella materia de qua e che si ricollega a valutazioni tipicamente discrezionali dell'interesse pubblico correlato.
Viene infine negata la validità della tesi che vedrebbe nella esclusione della confisca penale per i reati edilizi una violazione dell'art. 112 della Costituzione, in quanto la detta norma costituzionale, nel sancire l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, non dispone certamente che il legislatore ordinario non possa stabilire quale misura di sicurezza debba o possa essere applicata in concreto.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza di cui in narrativa il pretore di Roma, dovendo giudicare gli imputati del "reato p. e p. dagli articoli 31 e 41 lett. B della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e succ. modif.", ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale "dell'art. 41 in relazione all'art. 32 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni e dell'articolo 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ove risultasse più favorevole per gli effetti in questione agli imputati, nella parte in cui le predette norme escludono l'applicazione della misura di sicurezza della confisca penale nei confronti di imputati per reati edilizi".
Così il dispositivo della ordinanza.
Nella motivazione la questione é posta negli stessi termini con la sola variazione che la impugnativa viene riferita all'art. 41 in relazione all'art. 32 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni, "ovvero" all'art. 17 in relazione all'art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "ove fosse considerato più favorevole all'imputato (art. 2 c.p.) ".
2. - La questione non é ammissibile.
Tanto dal dispositivo che dalla motivazione dell'ordinanza risulta che il pretore non ha determinato quale delle norme invocate dovesse applicare nella specie, determinazione che a lui incontestabilmente spettava sia ai fini della pronuncia di merito, se a questa doveva pervenirsi, sia ai fini della individuazione delle disposizioni delle quali chiedeva la verifica di legittimità costituzionale.
Il pretore si esprime in forma dubitativa sulla norma da applicare, cioé subordina la scelta alla valutazione di maggiore o minor favore per gli imputati della legge del 1977 rispetto a quella del 1942.
Ora tale valutazione né poteva essere rimessa alla Corte né poteva essere riservata a dopo il giudizio di legittimità costituzionale, poiché questo non può essere chiesto e pronunciato in via astratta o ipotetica, ma solo rispetto alle disposizioni che il giudice di merito ritiene di dovere applicare.
La Corte anche recentemente ha escluso l'ammissibilità di una questione sollevata senza individuare con precisione l'oggetto della censura e senza "puntualizzare il concreto profilarsi dei rapporti fra due o più leggi, oppure tra due o più disposizioni, sulla base delle regole che ne governano la successione, ivi compreso, eventualmente, l'art. 2 c.p." (sent. n. 195 del 1982; nello stesso senso sent. n. 30 del 1983).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41, in relazione all'art. 32 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni e dell'art 17 in relazione all'art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 "ove risultasse più favorevole per gli effetti in questione agli imputati" sollevata, con riferimento agli artt. 3, 9 e 112 della Costituzione, dal pretore di Roma con l'ordinanza 23 ottobre 1979 (n. 1018 del reg. ord. 1979) di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1984.