SENTENZA N. 180
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, ultimo comma, della legge 8 ottobre 1976, n. 689 (Conversione in legge del D.L. 10 agosto 1976, n. 543, concernente modifica dell'articolo 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, nella quale é stato convertito, con modificazioni, il D.L. 4 marzo 1976, n. 31, contenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie. Ulteriori modifiche al D.L. 4 marzo 1976, n. 31, e alla legge 30 aprile 1976, n. 159) e 2, penultimo comma, della legge 23 dicembre 1976, n. 863 (Conversione in legge del D.L. 19 novembre 1976, n. 759, concernente modifica dell'articolo 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dall'articolo 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, contenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie, e nuove norme nella stessa materia) promossi con le seguenti ordinanze:
1) due ordinanze emesse il 15 e 26 aprile 1977 dal tribunale di Como nei procedimenti penali a carico di Perini Bembo Federico Augusto e Ruggiero Guido, iscritte ai nn. 261 e 276 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 190 e 198 dell'anno 1977;
2) ordinanza emessa il 1 dicembre 1980 dal tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di Nobile Vito, iscritta al n. 93 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 130 dell'anno 1981;
3) ordinanza emessa il 28 novembre 1980 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Canepa Nicolò, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 dell'anno 1981;
4) due ordinanze emesse il 5 febbraio e 24 aprile 1981 dal tribunale di Como nei procedimenti penali a carico di De Rosa Dario, Chiappa Albino ed altra, iscritte ai nn. 403 e 516 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 269 e 318 dell'anno 1981;
5) ordinanza emessa il 18 dicembre 1981 dal tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Monesi Elsa ed altro, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 16 settembre 1983 il Giudice relatore Antonino De Stefano;
Udito l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 15 aprile 1977 nel procedimento penale a carico di Perini Bembo Federico, il tribunale di Como ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal P.M., degli artt. 2, ultimo comma, della legge 8 ottobre 1976, n. 689, e 2, penultimo comma, della legge 23 dicembre 1976, n. 863, recanti disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie, in relazione agli artt. 3 e 35 della Costituzione.
Il giudice a quo osserva che, ai sensi delle denunciate disposizioni, la persona fisica di nazionalità italiana, anagraficamente residente in Italia, può costituire, senza preventiva autorizzazione, fuori del territorio dello Stato, a favore proprio o di altri, disponibilità valutarie con proventi di lavoro, dipendente o artigianale, svolto all'estero. Tale diritto non é invece riconosciuto al cittadino italiano, che, pur versando nelle medesime condizioni, costituisca all'estero disponibilità valutarie con proventi di lavoro non dipendente o non artigianale, incorrendo quindi nelle sanzioni di legge.
Pertanto la denunciata normativa determina una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini italiani che svolgono lavoro all'estero, discriminandoli esclusivamente a seconda del tipo di lavoro da essi svolto, ed appare perciò in contrasto sia con l'art. 3 che con l'art. 35 della Costituzione.
Secondo il tribunale di Como, la questione é rilevante, avendo il Perini dichiarato di risiedere da oltre venti anni all'estero - pur conservando in Italia la residenza anagrafica - e di aver costituito le disponibilità valutarie in contestazione con proventi del proprio lavoro, anche se non "dipendente" né "artigianale", consistente in gran parte in attività di carattere professionale.
2. - Adempiute le formalità di rito, innanzi alla Corte é intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, osservando preliminarmente che il problema non sarebbe stato posto dal giudice a quo in termini corretti. Il caso di cui all'ordinanza di rinvio riguarda, infatti, persona che, pur avendo conservato in Italia la residenza anagrafica, risiede all'estero da oltre vent'anni e perciò dovrebbe essere considerata residente all'estero. Comunque prosegue l'Avvocatura - nel merito é da rilevare che la parificazione ai cittadini residenti all'estero, limitata ai lavoratori subordinati e agli artigiani, é razionale, perché l'attività svolta da questi lavoratori presuppone generalmente una loro permanenza all'estero che si protrae per un apprezzabile periodo di tempo, mentre altre prestazioni di lavoro (come, per es., quelle artistiche, o, in genere, le professionali), richiedono normalmente una permanenza assai breve, tale da non giustificare la parificazione suddetta. Conclude, pertanto, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
3. - In termini sostanzialmente identici, la suddetta questione di legittimità costituzionale é stata sottoposta alla Corte, dallo stesso tribunale di Como, con altre cinque ordinanze, emesse, rispettivamente, il 26 aprile 1977 (in un procedimento penale a carico di Ruggiero Guido), il 28 novembre 1980 (in un procedimento penale a carico di Canepa Nicolò), il 5 febbraio 1981 (in un procedimento penale a carico di De Rosa Dario), il 24 aprile 1981 (in un procedimento penale a carico di Chiappa Albino), e, infine, il 18 dicembre 1981 (in un procedimento penale a carico di Monesi Elsa).
Anche queste ordinanze fanno riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, ed impugnano le medesime norme già oggetto delle censure formulate dal tribunale di Como nell'ordinanza del 15 aprile 1977.
In nessuno dei giudizi promossi con queste ordinanze si sono avute costituzioni di parti private, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
4. - Anche il tribunale di Bolzano, con ordinanza emessa il 1 dicembre 1980, ha sollevato analoga questione, formulata in riferimento al solo art. 3 della Costituzione e nei confronti del solo art. 2, comma decimo, della legge 23 dicembre 1976, n. 863, nel corso di un procedimento a carico di Nobile Vito, chiamato anch'egli a rispondere penalmente, per aver costituito a proprio favore, senza la necessaria autorizzazione, presso una banca tedesca, disponibilità valutarie provenienti dagli introiti di una piccola impresa commerciale da lui gestita in Germania.
Riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, nella ordinanza si osserva che la norma impugnata sottrae alla situazione di illegale costituzione di disponibilità valutarie all'estero esclusivamente i cittadini che esercitino attività di artigiano o che siano lavoratori dipendenti, mentre ne esclude tutti coloro che esercitino attività commerciale, professionale, industriale o comunque di natura economica. Così disponendo essa sembra ledere il principio costituzionale di eguaglianza, dal momento che disciplina diversamente le attività economiche dei cittadini all'estero.
In linea di fatto, nell'ordinanza si sottolinea che nel caso di specie il Nobile, pur anagraficamente residente in territorio italiano, risulta emigrato in Germania sin dal 14 dicembre 1976; che il medesimo risulta esercente una impresa qualificata espressamente "non di tipo artigianale"; e che i versamenti sul libretto di risparmio sequestratogli, risultano tutti effettuati dal 13 dicembre 1976 al 9 gennaio 1980, periodo del suo soggiorno in Germania. La questione di legittimità costituzionale in esame - conclude il tribunale - é perciò rilevante ai fini della definizione del procedimento penale
Nemmeno in questo giudizio si é avuta costituzione di parte privata, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
5. - All'udienza pubblica del 16 settembre 1983, dopo la relazione svolta dal Giudice Antonino De Stefano, l'avvocato dello Stato Luigi Siconolfi, per il giudizio promosso dal tribunale di Como con l'ordinanza del 15 aprile 1977, ha insistito per la dichiarazione di non fondatezza.
Considerato in diritto
1. - Per stabilire gli esatti termini delle questioni sottoposte all'esame della Corte, conviene muovere dal d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito con modificazioni in legge 25 luglio 1956, n. 786, con il quale sono state emanate nuove norme valutarie ed é stato istituito "un mercato libero di biglietti di Stato e di banca esteri". Tale decreto all'art. 1 prende in considerazione la c.d. "residenza ai fini valutari", disponendo, negli articoli successivi, una serie di obblighi e di divieti, in materia valutaria, per i "residenti" in Italia, ai quali non sono tenuti, invece, i "non residenti". Tra le varie categorie di soggetti "considerati residenti" in Italia, il citato art. 1, al n. 4, indica "le persone fisiche di nazionalità italiana, aventi la residenza all'estero, limitatamente all'attività produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica".
Successivamente, é stato emanato il d.l. 4 marzo 1976, numero 31, convertito con modificazioni in legge 30 aprile 1976, n. 159, contenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie. Esso é stato ispirato - come si é sottolineato nei lavori parlamentari relativi alla sua conversione in legge - dalla improrogabile esigenza di reprimere o, quanto meno, di limitare al massimo il deleterio fenomeno della c.d. "fuga di capitali". La nuova disciplina "ha trasformato in delitti - puniti, nei casi più gravi, anche con la pena detentiva - tutte quelle attività illecite, tramite le quali il predetto fenomeno era andato assumendo dimensioni sempre più preoccupanti e per le quali la semplice sanzione amministrativa, in precedenza prevista, si era rivelata del tutto insufficiente". In particolare, ai fini che qui interessano, va ricordato che l'art. 1 di detto provvedimento prevede al comma secondo sanzioni penali (aumentate nei casi contemplati dai commi successivi) per "chiunque costituisce fuori del territorio dello Stato, a favore proprio o di altri, disponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria".
2. - Con d.l. 10 agosto 1976, n. 543, il termine di tre mesi, stabilito dall'art. 2 della citata legge n. 159 del 1976 per la dichiarazione di possesso all'estero di disponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere, veniva prorogato al 19 novembre 1976. Nel convertire in legge tale decreto, la legge 8 ottobre 1976, n. 689, ha apportato ulteriori modifiche al d.l. n. 31 del 1976 ed alla legge n. 159 del 1976. Di tali modifiche va qui menzionato l'inserimento - operato con l'art. 2 - dopo l'ultimo comma dell'art. 1 del d.l. n. 31 del 1976, come modificato dall'art. 1 della legge di conversione n. 159 del 1976, del seguente comma: "Agli effetti dell'art. 1, n. 4, del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito, con modificazioni, nella legge 25 luglio 1956, n. 786, per "residenza all'estero" si intende il periodo in cui le persone fisiche di nazionalità italiana, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, hanno svolto lavoro dipendente o artigianale all'estero, limitatamente alle disponibilità ed attività ivi costituite, durante tale periodo, con i proventi del lavoro medesimo".
Con d.l. 19 novembre 1976, n. 759, il termine sopra cennato veniva ulteriormente prorogato al 3 dicembre 1976. In sede di conversione di tale decreto legge, l'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863, ha integralmente sostituito il testo dell'art. 1 della legge di conversione n. 159 del 1976, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge n. 689 del 1976. Nel nuovo testo dell'art. 1 - fermo restando il divieto, accompagnato da sanzioni penali, di costituire fuori del territorio italiano, a favore proprio o di altri, disponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere, senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria - l'ultimo comma riproduce sostanzialmente il contenuto dell'ultimo comma inserito nel vecchio testo dall'art. 2 della legge n. 689 del 1976, cosi disponendo: "Agli effetti dell'art. 1, n. 4, del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito, con modificazioni, nella legge 25 luglio 1956, n. 786, la residenza all'estero, ivi considerata, s'intende riferita al periodo in cui le persone fisiche di nazionalità italiana, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, hanno svolto lavoro dipendente o artigianale all'estero, limitatamente alle disponibilità ed attività ivi costituite durante tale periodo, con i proventi del lavoro medesimo".
Conclusivamente, per effetto delle riportate disposizioni, sono sottratte alla situazione di illegalità (ed alle conseguenti sanzioni penali) le costituzioni di disponibilità valutarie all'estero, effettuate da cittadini italiani che, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, abbiano svolto "lavoro dipendente o artigianale all'estero", limitatamente ai mezzi finanziari colà acquisiti attraverso le predette attività lavorative, nei periodi in cui esse si sono svolte.
3. - Delle sette ordinanze di cui in narrativa, le sei del tribunale di Como sollevano questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione - dell'art. 2, ultimo comma, della legge 8 ottobre 1976, n. 689 (rectius, del comma inserito - per effetto dell'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 - dopo l'ultimo comma dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159); e dell'art. 2, penultimo comma, della legge 23 dicembre 1976, n. 683 (rectius, dell'ultimo comma dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863).
Il tribunale di Como, a sostegno della non manifesta infondatezza della sollevata questione, osserva che, mentre la persona fisica di nazionalità italiana, anagraficamente residente in Italia, può costituire, senza preventiva autorizzazione, fuori del territorio dello Stato, a favore proprio o di altri, disponibilità valutarie con proventi di lavoro, dipendente o artigianale, svolto all'estero, lo stesso diritto non é riconosciuto al cittadino italiano che, pur versando nelle medesime condizioni, costituisca all'estero disponibilità valutarie con proventi di lavoro non dipendente e non artigianale. Pertanto, l'impugnata normativa determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini italiani che svolgano lavoro all'estero, discriminandoli esclusivamente a seconda delle forme ed applicazioni del loro lavoro.
L'ordinanza del tribunale di Bolzano deferisce a questa Corte analoga questione, denunciando l'art. 2, comma decimo, della legge 23 dicembre 1976, n. 683 (rectius, l'ultimo comma dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863), in riferimento al solo art. 3 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, l'impugnata norma contrasterebbe con il principio di eguaglianza, in quanto sottrae alla situazione di illegale costituzione di disponibilità valutarie all'estero, esclusivamente i cittadini italiani che esercitino attività di artigianato o che siano lavoratori dipendenti, mentre lascia assoggettati al divieto ed alle relative sanzioni penali gli altri cittadini italiani che, nelle stesse condizioni, esercitino all'estero un'attività commerciale, professionale, industriale o comunque di natura economica. La questione, pertanto, é posta dal tribunale di Bolzano con riferimento al solo principio di eguaglianza, ma in termini più ampi rispetto a quella sollevata dal tribunale di Como, in quanto viene prospettata una disparità di trattamento nell'ambito non della sola attività lavorativa, ma di qualsiasi attività economica esercitata all'estero da cittadini italiani.
4. - Le questioni prospettate dalle ordinanze di rimessione sono in parte identiche, in parte connesse. Pertanto, i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.
5. - In due ordinanze del tribunale di Como, una emessa il 28 novembre 1980 e l'altra il 24 aprile 1981, non si rinviene il menomo riferimento alla concreta fattispecie, con la conseguente impossibilità di valutare gli effettivi termini di operatività, nel giudizio di provenienza, della normativa impugnata. Deve, pertanto, in armonia con la giurisprudenza di questa Corte, dichiararsi la inammissibilità della questione sollevata con le due predette ordinanze.
6. - La questione sollevata dal tribunale di Bolzano non é fondata. La disparità di trattamento viene, invero, dedotta, come innanzi esposto, ponendo a raffronto attività di lavoro dipendente o artigianale con attività economiche di qualsiasi natura svolte all'estero dal cittadino italiano che abbia conservato in Italia la residenza anagrafica. Ma, come é agevole rilevare, si tratta di situazioni che sotto vari profili si presentano nettamente diverse, e in ordine alle quali non appaiono irrazionali le diverse scelte operate dal legislatore nella sua discrezionalità.
7. - Fondata é, invece, la questione, nei limiti e nei termini in cui é stata posta dal tribunale di Como.
Dai lavori parlamentari relativi alla conversione dei due decreti legge, 10 agosto 1976, n. 543, e 19 novembre 1976, n. 759, emerge che l'impugnata normativa ha inteso favorire quei lavoratori italiani che, recandosi all'estero per temporanee esigenze di lavoro, conservano la residenza anagrafica in Italia; rispetto a quest'ultimo dato formale, cioé, si é accordata prevalenza alla situazione di fatto connessa alla dimora all'estero per tutto il periodo in cui il cittadino italiano vi esplica la propria attività lavorativa. Favor che indubbiamente trova ispirazione e fondamento nel precetto dell'ultimo comma dell'art. 35 della Costituzione, secondo cui la Repubblica "riconosce la libertà di emigrazione... e tutela il lavoro italiano all'estero".
Ma una volta accertata la finalità perseguita dalla normativa in esame, del tutto irrazionale appare l'aver circoscritto la disposizione di favore alle sole ipotesi di lavoro dipendente e di attività artigianale, escludendo così dal beneficio quelle forme di lavoro autonomo) alle quali fa riferimento il titolo III del libro V del codice civile. Si é venuta, in tal guisa, a determinare - come ben rileva il giudice a quo - una ingiustificata disparità di trattamento penale, fondata soltanto sulla natura del lavoro esplicato all'estero da cittadini italiani. Disparità nella quale si concreta, pertanto, una violazione del principio di eguaglianza in riferimento al diritto a quella "tutela", che l'art. 35, ultimo comma, della Costituzione vuole assicurata al lavoro italiano all'estero, "in tutte le sue forme ed applicazioni", come si ricava dal combinato disposto con il primo comma dello stesso articolo. Che se, a suffragare la validità della deroga operata dal legislatore al generale divieto, al fine di tutelare l'attività lavorativa (dipendente o artigianale) realizzata all'estero personalmente dal cittadino italiano, può valere la considerazione che i redditi scaturenti da tali attività lavorative non implicano esportazioni di capitali dall'Italia (se mai, la sola attività artigianale potrebbe comportare l'esportazione di modeste attrezzature), non va taciuto che la stessa considerazione può ripetersi per l'attività esplicata all'estero dal professionista e in genere dal lavoratore autonomo.
L'Avvocatura dello Stato, a difesa dell'impugnata normativa, si richiama alla maggior durata della permanenza all'estero, cui é costretto il cittadino italiano che vi esplichi attività di lavoro subordinato o artigianale, rispetto alla brevità della dimora all'estero che richiedono altre prestazioni di lavoro (come quelle artistiche o professionali). Ma l'argomento non appare idoneo a giustificare la diversità di trattamento: innanzi tutto perché la maggior o minor durata della dimora all'estero non contraddistingue, certo, con carattere di esclusività l'uno o l'altro tipo di prestazione di lavoro; e poi, perché, in linea di fatto, il lavoro temporaneo all'estero ben può svolgersi in un arco di tempo più o meno lungo, indipendentemente dalla natura del lavoro stesso (si pensi, ad es., ad un lavoro subordinato a carattere stagionale e non ricorrente, e, per altro verso, ad un'autonoma attività artistica o professionale che si esplichi all'estero con periodiche cadenze, alternate a periodi di esplicazione della stessa attività in Italia).
8. - Merita in proposito di venir anche ricordato che in un disegno di legge, presentato dal Governo nella ottava legislatura e recante modifiche ed integrazioni della legislazione penale valutaria (Camera dei deputati - n. 2552), si prevedeva, fra l'altro, la estensione dell'agevolazione de qua agitur a tutte le persone fisiche che, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, avessero svolto attività lavorativa all'estero. Infatti, l'art. 1 del disegno in parola, nel sostituire ancora una volta il testo dell'art. 1 del d.l. n. 31 del 1976, convertito con modificazioni nella legge n. 159 del 1976, modificato dall'articolo 2 della legge n. 689 del 1976, e successivamente sostituito dall'art. 2 della legge n. 863 del 1976, ne riproduceva testualmente l'ultimo comma, con la eliminazione dell'inciso "dipendente o artigianale". Nella relazione che accompagnava il disegno di legge si chiariva al riguardo che era stata eliminata "la previsione limitativa contenuta nell'ultimo comma, il quale, consentendo la costituzione di disponibilità ed attività all'estero soltanto al cittadino italiano che ivi abbia conseguito proventi da lavoro dipendente o artigianale, determina una irrazionale disparità di trattamento fra cittadini svolgenti lavoro all'estero. discriminando i medesimi a seconda delle forme e applicazioni del loro lavoro".
Decaduto il disegno di legge anzidetto per l'intervenuto scioglimento delle Camere, nell'attuale nona legislatura é stato presentato dal Governo ed é tuttora all'esame del Parlamento, un disegno di legge di più ampia portata, per la "revisione della legislazione valutaria" (Senato della Repubblica - n. 316). Esso, nel sostituire il testo dell'art. 1, più volte già citato, non ne riproduce l'ultimo comma, del quale ora si discute; e nella relazione che lo accompagna si chiarisce che la "implicita abrogazione (in luogo dei perfezionamenti di cui al disegno di legge n. 2552) dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 159 (come successivamente modificata), introduttivo della nozione di " non residenza " in favore dei lavoratori italiani all'estero", si fonda sul convincimento che lo strumento più opportuno per adottare le previste condizioni di favore sia quello "amministrativo regolamentare".
9. - Per le suesposte considerazioni ritiene la Corte che sussista il denunciato contrasto dell'impugnata normativa, nei termini rappresentati dal tribunale di Como, con gli artt. 3 e 35 della Costituzione; e che, pertanto, ne vada dichiarata la illegittimità costituzionale nella parte in cui essa fa riferimento solo al lavoro dipendente o artigianale svolto all'estero, e non anche al lavoro autonomo, previsto nel titolo III del libro V del codice civile, esplicato all'estero, nelle medesime condizioni, da persone fisiche di nazionalità italiana.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 261 e 276 R.O. 1977, 98, 234, 403 e 516 R.O. 1981, 394 R.O. 1982;
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31 (Disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie), come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 delle legge 8 ottobre 1976, n. 689, e dello stesso art. 1, ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, con le ordinanze emesse il 28 novembre 1980 (R.O. n. 234 del 1981) ed il 24 aprile 1981 (R O. n. 516 del 1981) dal tribunale di Como;
2) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31 (Disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie), come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, nella parte in cui fa riferimento al solo lavoro dipendente o artigianale svolto all'estero, e non anche al lavoro autonomo, previsto nel titolo III del libro V del codice civile, esplicato all'estero, nelle medesime condizioni, da persone fisiche di nazionalità italiana;
3) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 1 ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31 (Disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie), come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863, nella parte in cui fa riferimento al solo lavoro dipendente o artigianale svolto all'estero, e non anche al lavoro autonomo, previsto nel titolo III del libro V del codice civile, esplicato all'estero, nelle medesime condizioni, da persone fisiche di nazionalità italiana;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31 (Disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie), come modificato dall'art. 1 della legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, ed ulteriormente modificato dall'art. 2 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, nel testo sostituito dall'articolo 2 della legge 23 dicembre l976, n. 863, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 1 dicembre 1980 (RO. n. 98 del 1981) dal tribunale di Bolzano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1984.