SENTENZA N. 79
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 14 D.L.C.P.S. 15 settembre 1947 n. 896 (Nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi) promossi con ordinanze emesse il 19 febbraio 1977 dal Pretore di Salò nei procedimenti penali a carico di Caré Rodolfo ed altri, Bertella Renata ed altro e Tosi Alessandro ed altri, iscritte ai nn. 400, 412 e 413 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 dell'anno 1977. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 gennaio 1984 il Giudice relatore dott. Brunetto Bucciarelli Ducci.
Ritenuto in fatto
Il Pretore di Salò con tre ordinanze del 19 febbraio 1977, di identico contenuto e motivazione, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 7, 8 e 14 D.L.C.P.S. 15 settembre 1947 n. 896 (Nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi), in quanto sanzionano penalmente la violazione di un precetto che verrebbe determinato unicamente attraverso un provvedimento amministrativo (di fissazione dei prezzi di alcuni beni) interamente sottratto - ad avviso del Pretore - al sindacato giurisdizionale del giudice ordinario.
Si dubita nell'ordinanza di rimessione che le norme impugnate possano creare attraverso "l'arbitrio degli organi amministrativi" una "discriminazione di categorie soggette a calmiere nel senso che il Comitato Provinciale Prezzi, non avendo strumenti idonei, discrimina di fatto tra i vari produttori dei beni sottoposti al calmiere; in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che impone parità di trattamento in parità di situazioni".
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, osservando come, a parte la congruità della censura, così come formulata, in rapporto all'art. 3 della Costituzione, nessuna tra le norme impugnate porrebbe alcuna limitazione ai consueti poteri del giudice ordinario di sindacare la legittimità dell'atto amministrativo che é chiamato ad applicare.
Conclude quindi per l'infondatezza della questione.
Considerato in diritto
La questione é infondata. Innanzitutto il giudice a quo non indica rispetto a quale categoria generale di destinatari di norme penali si verifichi la lamentata discriminazione che sarebbe contenuta negli articoli impugnati. Difettando, quindi, del tutto la indicazione del "tertium comparationis", mal si comprende in che modo si determini la denunciata violazione del principio di uguaglianza.
La motivazione delle ordinanze dimostra, peraltro, come la discriminazione prospettata dal pretore riguardi non un diverso trattamento in linea generale tra soggetti che si trovano in identiche condizioni, quanto piuttosto le eventuali differenze di trattamento che si potrebbero avere tra i produttori dei diversi beni soggetti a calmiere; differenze determinate da una non corretta valutazione di mercato, per mancanza da parte degli organi pubblici (comitati dei prezzi) di idonei strumenti di indagine, tale da rendere la fissazione dei prezzi puramente arbitraria e da impedire, quindi, al giudice qualsiasi sindacato sull'esercizio del potere discrezionale spettante alla pubblica amministrazione.
Sul punto, tuttavia, questa Corte é già intervenuta con sentenza n. 103 del 25 giugno 1957, che ha escluso l'illegittimità costituzionale dello stesso art. 14 del D.L.C.P.S. n. 896/1947, qui impugnato, pronunciandosi su una questione analoga, in cui si lamentava, in relazione ad un diverso parametro costituzionale, la mancata prefissione di criteri per l'esercizio del potere discrezionale del CIP e dei comitati provinciali dei prezzi. La Corte in tale occasione ha affermato che il potere di tali comitati, " lungi dall'essere illimitato", à "e collegato a elementi di natura tecnica che ne circoscrivono l'ambito". Rilevava infatti la citata sentenza - né vengono prospettati dal giudice a quo argomenti o profili nuovi tali da indurre questa Corte a diversa valutazione - che la determinazione dei prezzi é preceduta da un iter istruttorio disciplinato legislativamente, nel corso del quale l'accertamento del costo delle merci viene compiuto da apposite commissioni, di cui fanno parte le stesse categorie interessate, non in maniera simbolica ma con precisi poteri consultivi e deliberanti, tanto che le deliberazioni adottate dai comitati prezzi, essendo ancorate a precisi elementi tecnici, non sono sfornite di garanzie giurisdizionali, potendosi ricorrere contro di esse davanti al giudice amministrativo. Pertanto anche in sede ordinaria il giudice penale, chiamato ad applicare le norme impugnate, non incontra alcun ostacolo al pieno esercizio del suo potere di controllo giurisdizionale di legittimità sui provvedimenti, la cui violazione viene contestata all'imputato.
Mancando, quindi, lo stesso presupposto della arbitraria discriminazione lamentata, cioè l'illimitata discrezionalità della Pubblica Amministrazione, viene meno ogni pretesa violazione del principio di uguaglianza (o più precisamente viene meno la pretesa violazione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, implicitamente richiamata mediante l'invocazione dell'art. 3 Cost.), denunciata nell'ordinanza di rimessione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 14 D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, nella parte in cui sanzionano penalmente la violazione dei provvedimenti adottati dai comitati provinciali dei prezzi, sollevata - in relazione all'art. 3 della Costituzione - con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, dalla sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 29 marzo 1984.