SENTENZA N. 77
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma secondo, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) modificato dall'art. 1 della legge 20 luglio 1977, n. 450, promosso con ordinanza emessa il 28 dicembre 1978 dalla Sezione di Sorveglianza della Corte d'appello di Napoli sull'istanza di Raimondi Luigi, iscritta al n. 197 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 1979. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella pubblica udienza del 7 giugno 1983 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 28 dicembre 1978 la Sezione di sorveglianza per il distretto della Corte d'Appello di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 27, comma terzo, collegato agli artt. 2, 3 capoverso, e 34, comma terzo, della Costituzione, dell'art. 30, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (modificato dall'art. 1 della legge 20 luglio 1977, n. 450), nella parte in cui prevede la concessione ai detenuti del permesso di allontanarsi dal luogo di detenzione solo per "eventi familiari di particolare gravità".
Tale disposizione - secondo il giudice a quo, cui il permesso era stato richiesto dal detenuto Luigi Raimondi, ristretto per espiazione di pena nella casa circondariale di Avellino, per poter sostenere gli esami universitari - determinerebbe irrazionali disparità di trattamento dei detenuti a seconda che essi abbiano o meno famiglia; che tale famiglia risieda o meno in luoghi ove i detenuti hanno anche altri interessi, come ad esempio quelli di studio; che i detenuti abbiano o meno buoni rapporti con la rispettiva famiglia, in modo che questa sta incentivata a dimostrare l'esistenza degli eventi di particolare gravità.
La norma impugnata violerebbe inoltre l'art. 27 Cost. impedendo la rieducazione del condannato, nonché l'art. 34 Cost. in quanto ostacolerebbe la realizzazione del diritto all'istruzione dei "capaci e meritevoli", rendendo praticamente impossibile sostenere le prove d'esame a chi sia detenuto in località prive di sede universitaria.
Nella fattispecie le autorità accademiche non avevano potuto accogliere la richiesta di esaminare il detenuto nell'istituto penitenziario, in quanto non prevista dalla normativa universitaria.
2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, assumendo l'inammissibilità della prima questione proposta e la infondatezza delle altre due.
Inammissibile sarebbe la questione relativa all'art. 3 Cost., in quanto irrilevante in un giudizio in cui non ha alcuna attinenza la distinzione tra detenuti con famiglia e detenuti che ne sono privi. Infondate le questioni relative agli artt. 27 e 34 Cost., in quanto: a) non può dirsi non improntata al senso di umanità ed alla rieducazione una norma solo perché non consente permessi ai detenuti per motivi di studio, quando l'agevolazione al compimento degli studi entri in conflitto con altri interessi che l'ordinamento deve ugualmente soddisfare; E, in quanto, dopo i noti abusi, nella normativa più recente l'istituto del permesso non é più destinato a finalità di trattamento, ma intende solo consentire che il condannato sia vicino ai propri cari in momenti di particolare gravità.
Considerato in diritto
La questione é infondata. Essa si basa, infatti, sul presupposto che la norma impugnata (art. 30, secondo comma, della legge n. 354/1975, come risulta modificato dall'art. 1 della l.20 luglio 1977 n. 450), imponendo particolari restrizioni alla concessione dei permessi ai detenuti, impedisca a questi ultimi di sostenere esami universitari, venendo così a ledere innanzitutto il diritto allo studio di cui all'art. 34, terzo comma, della Costituzione, conseguentemente la finalità rieducativa della pena detentiva ed infine il principio di uguaglianza, creando discriminazioni arbitrarie tra detenuti.
L'esame della normativa vigente in materia di detenzione rivela tuttavia come tale presupposto non sussista in quanto l'ordinamento offre la possibilità al detenuto, provvedendosi ove occorra al suo trasferimento presso un carcere posto in luogo prossimo all'Università, di completare gli studi universitari, sostenendo i relativi esami, anche senza ottenere il permesso di allontanarsi dall'istituto di pena. In particolare il secondo comma dell'art. 42 del D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 prescrive che vengano stabilite "le opportune intese con le autorità accademiche per consentire agli studenti di usufruire di ogni possibile aiuto e di sostenere gli esami".
Pertanto nessun ostacolo frappone l'ordinamento carcerario all'esercizio da parte dei detenuti del diritto allo studio, tutelato dall'art. 34 della Costituzione. Né la disciplina dei permessi, di cui alla norma impugnata, incide negativamente su tale facoltà.
Da quanto premesso discende anche l'infondatezza della censura relativa all'art. 27 della Costituzione, in quanto la possibilità di completare gli studi al massimo livello fa venir meno ogni temuta lesione al principio della funzione rieducativa della pena, che si sospettava dal giudice a quo derivante dall'impugnato art. 30 della legge n. 354/1975.
Infine, nessuna violazione dell'art. 3 della Costituzione si riscontra nella norma denunciata, in quanto le differenze
che possono determinarsi nel rilascio dei permessi - a parte il nessun rilievo che esse assumono nella fattispecie prospettata - derivano da circostanze di mero fatto e non da discriminazioni operate dalla norma, che assicura identità di trattamento per categorie di destinatari che si trovano in situazioni giuridicamente identiche.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (modificato dall'art. 1 della legge 20 luglio 1977, n. 450), sollevata in relazione agli artt. 3, 27, terzo comma, e 34, terzo comma, della Costituzione, con l'ordinanza della Sezione di sorveglianza della Corte d'Appello di Napoli del 28 dicembre 1978.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA -Giovanni CONSO - Ettore GALLO
Depositata in cancelleria il 29 marzo 1984.