ORDINANZA N. 284
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma primo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), promosso con ordinanza emessa il 1 febbraio 1978 dal pretore di Portoferraio sul ricorso proposto da Franchini Franco contro s.p.a. S.I.P., iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 1978;
visti l'atto di costituzione della s.p.a. S.I.P. e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1983 il Giudice relatore Oronzo Reale.
Ritenuto che, con l'ordinanza di cui in epigrafe, il pretore di Portoferraio ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge 20 maggio 1970, n. 300, prospettando il dubbio che la citata norma sia costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede che i lavoratori dipendenti eletti consiglieri comunali hanno diritto a permessi retribuiti per espletare i loro compiti. Si assume che la citata disposizione contrasterebbe:
1) con l'art. 3 e con l'art. 53 Cost., in quanto attribuirebbe un carico economico particolare ad una sola categoria di cittadini (i datori di lavoro), in conseguenza dell'espletamento, da parte di lavoratori dipendenti, di una carica pubblica;
2) con l'art. 3 Cost. in ragione di ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento riservata ai lavoratori subordinati eletti alla carica di consiglieri comunali o provinciali rispetto ai lavoratori autonomi che ricoprono le stesse cariche. Solo ai primi, infatti, verrebbe sostanzialmente garantita, sia pur ponendo l'onere relativo a carico del datore di lavoro, la possibilità di espletare il mandato senza risentirne un danno economico, nonostante che anche per molti lavoratori autonomi la sospensione della propria attività lavorativa per il tempo necessario all'esercizio delle pubbliche funzioni comporti un pregiudizio economico altrettanto grave e non eliminabile;
3) con l'art. 3 Cost. in quanto vi sarebbe ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori dipendenti privati eletti consiglieri comunali, i quali hanno diritto a permessi retribuiti per espletare i compiti derivanti da tale loro incarico pubblico solo per il tempo strettamente necessario all'espletamento del loro mandato, ed i lavoratori subordinati privati eletti sindaci od assessori, i quali hanno diritto a permessi non retribuiti per almeno trenta ore mensili, senza limitazione alcuna circa l'uso dei medesimi;
4) con il terzo comma dell'art. 51 Cost., nella parte in cui prevede che i lavoratori eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale sono autorizzati ad assentarsi dal servizio solo per il tempo "strettamente necessario" all'espletamento del mandato.
Considerato che con la sentenza n. 193 del 1981, peraltro successiva all'emanazione dell'ordinanza del pretore di Portoferraio, la Corte aveva già esaminato il problema della costituzionalità dell'art. 32 della legge n. 300 del 1970 in relazione a tutti i parametri invocati, giungendo ad una pronunzia di infondatezza.
Che, in particolare, per quanto attiene alla questione ricordata sub 2), e concernente la pretesa disparità di trattamento in danno dei lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori subordinati eletti consiglieri comunali, la Corte, con la sentenza citata, aveva escluso che vi fosse, in relazione all'art. 3 Cost., illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, osservando che "il sacrificio di tempo per adempiere le funzioni pubbliche, altrimenti utilizzabile in attività economicamente produttive, é richiesto sia ai lavoratori dipendenti che a quelli autonomi", motivazione questa che consente di dichiarare la manifesta infondatezza della questione come oggi proposta.
Che, per quanto attiene alla questione sub 3) il quesito era già stato posto, in termini sostanzialmente analoghi, dall'ordinanza n. 379 del Reg. Ord. 1978, e ritenuto infondato dalla Corte con ampia motivazione comprendente anche il rilievo che ai sindaci ed agli assessori dei comuni con popolazione superiore ai trentamila abitanti (o capoluoghi di provincia) la legge assegna una specifica indennità mensile; ed estesa altresì alla considerazione che il legislatore non ha favorito né i consiglieri comunali né i sindaci e gli assessori, "perché tutti, in quanto consiglieri, hanno diritto alla retribuzione da parte del datore di lavoro del tempo necessario all'espletamento del mandato di consigliere; perché i sindaci di tutti i comuni e gli assessori dei comuni nei quali la funzione ha maggiore importanza usufruiscono di una indennità mensile cui si aggiunge la indennità di presenza alle sedute del consiglio"; e che, da tale motivazione, emerge chiaramente la manifesta infondatezza anche di tale questione.
Che, ancora, per ciò che attiene alla censura concernente la constatazione che la legge impugnata assicura la retribuzione ai consiglieri comunali solo per il tempo "strettamente necessario" all'espletamento del loro mandato, la Corte, sempre nella citata sentenza, ha ribadito che l'art. 51 Cost. stabilisce che il lavoratore chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro, ma non che abbia anche il diritto alla remunerazione del periodo di assenza dal lavoro; e che da ciò discende che sussiste tuttavia la discrezionalità del legislatore ordinario nello stabilire se il tempo impiegato nella funzione pubblica elettiva debba o meno essere remunerato in tutto o in parte, dal datore di lavoro o dalla collettività; che, pertanto, la ratio di tale motivazione consente di dichiarare manifestamente infondata anche tale questione.
Che, infine, per ciò che attiene alla questione ricordata sub 1), la Corte ha puntualmente, sempre con la più volte citata sentenza n. 193 del 1981, esaminato il quesito, giungendo ad una pronuncia di infondatezza, che non può in questa sede essere modificata, in quanto, sul punto, non vengono prospettati motivi nuovi o comunque tali da indurre la Corte stessa a modificare la propria giurisprudenza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sollevate con riferimento agli artt. 3, 51 e 53 della Costituzione dal pretore di Portoferraio con l'ordinanza in data 1 febbraio 1978 di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 1983.
Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 21 settembre 1983.