SENTENZA N. 162
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Dott. Michele ROSSANO,
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 314 (Immissione in ruolo degli idonei dei concorsi distrettuali per la qualifica di segretario negli uffici giudiziari indetti con decreto ministeriale 16 novembre 1973) promosso con ordinanza emessa il 12 novembre 1976 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Montalbetti Carlo ed altri iscritta al n. 756 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 1977.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella pubblica udienza del 12 aprile 1983 il Giudice relatore Oronzo Reale;
udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 12 novembre 1976, il tribunale di Milano, nel corso di un procedimento penale a carico di Montalbetti Carlo ed altri, sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 314, nella parte in cui detta norma aumentava i diritti di cancelleria, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Nel corso delle formalità di apertura del dibattimento, la difesa degli imputati Montalbetti e Crisenza aveva proposto questione di legittimità costituzionale della detta norma per preteso contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, evidenziando che i predetti imputati erano in condizioni economiche precarie, essendo il primo studente universitario in cerca di occupazione e il secondo, laureando, titolare di una borsa di studio pari a L. 261.000 mensili.
Ora l'aumento dei diritti di cancelleria disposti in forza dell'art. 2 della legge n. 314 del 1976 comportava un consistente aumento nel costo delle copie, spesa questa che avrebbe aggravato ulteriormente gli oneri che gli imputati dovevano già sopportare per gli onorari dei difensori e le altre spese. Tanto premesso, il collegio sottolineava come il complesso di prestazioni economiche richieste agli imputati per attuare una efficace difesa, fosse divenuto tale "da ostacolare fortemente se non addirittura da impedire il completo esercizio della difesa". Infatti solo attraverso lo studio preventivo ed accurato dell'incartamento processuale poteva aver luogo la predisposizione, da parte dei difensori di fiducia, di una efficace attività difensiva, cosa questa inattuabile in mancanza delle copie del processo.
Lo stesso collegio escludeva che a tale difficoltà si potesse ovviare mediante il ricorso al gratuito patrocinio, sia perché parrebbe non confacente ad una efficace difesa privare l'imputato della facoltà di scelta di un difensore di fiducia, sia perché l'attuale normativa al riguardo condiziona in maniera abbastanza rigida l'ammissione a tale istituto, tanto da lasciar ritenere che il presupposto richiesto dalla legge (art. 16 del r.d. n. 3282 del 1923), seppure non identificabile con l'assoluta non abbienza, sia di fatto avulso dal reale rapporto tra le condizioni economiche del soggetto e le spese da sostenere per il processo.
Tale stato di cose creerebbe una disparità di trattamento - influente direttamente sul concreto esercizio della difesa - proprio per quella fascia di cittadini (quali gli attuali imputati) che hanno difficoltà economiche notevoli per affrontare le spese necessarie per una efficace difesa, pur non potendo godere del ricorso al gratuito patrocinio.
D'altra parte l'aumento dei diritti di cancelleria non apparirebbe interamente giustificato dall'espressa destinazione del suo provento a coprire gli oneri per l'assunzione di nuovi segretari.
La norma denunciata sarebbe pertanto lesiva del diritto di difesa nel suo concreto e pieno esercizio, in relazione alle diverse condizioni economiche degli imputati.
Premesso un compiuto esame della rilevanza, si poneva la questione con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, escludendo invece la prospettata violazione dell'art. 53 Cost., "in quanto gli utenti della giustizia non costituiscono una categoria non determinata o meglio determinabile a priori".
Non si aveva costituzione di parti; spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato chiedendo in via preliminare che gli atti fossero restituiti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza alla luce dell'art. 3, secondo comma, della legge 24 dicembre 1976, n. 900; tale norma, entrata in vigore dopo la pronunzia dell'ordinanza, ha precisato che, agli effetti dell'aumento dei diritti di cancelleria, la voce n. 13 della tabella si considera come un unico diritto, indipendentemente dalle singole sottovoci. In conseguenza l'aumento di prezzo ammontava a lire 200 per l'intera copia, qualunque fosse il numero delle pagine. A questo proposito va però osservato che tale disposizione aveva carattere transitorio e vigeva solo fino al primo luglio 1977.
Nel merito, l'Avvocatura sosteneva l'infondatezza della questione pur nella constatazione che, ovviamente agli effetti del costo del processo i cittadini abbienti si trovano in posizione migliore rispetto a quelli meno abbienti. Ciò nonostante, il diritto di difesa non ne risulterebbe leso, in quanto v'é l'istituto del gratuito patrocinio e non sarebbe comunque concepibile che il legislatore gradui l'importo delle spese processuali a seconda della capacità economica dei cittadini.
Considerato in diritto
1. - Secondo il giudice a quo l'aumento dei diritti di cancelleria disposto dall'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 314, segnatamente in materia di diritto di copia, aggravando il costo della difesa in un giudizio penale nel quale gli imputati non beneficiavano del gratuito patrocinio, sarebbe, "in relazione alle condizioni di vita degli imputati, tale da ostacolare fortemente se non addirittura da impedire il concreto esercizio della difesa, il quale presuppone, fra l'altro, la possibilità di conoscenza degli atti del procedimento e la conseguente necessità di esaminare con la dovuta calma ed attenzione gli stessi, attività questa cui é strumentale l'ottenimento della copia". Da ciò la violazione dell'art. 24 della Costituzione, nonché dell'art. 3 per la "disparità di trattamento" che ne conseguirebbe a danno di "quella fascia di cittadini che, come gli attuali imputati, possano trovarsi di fronte a difficoltà spesso difficilmente superabili, per far fronte agli oneri del processo, pur non potendo ottenere l'attestazione di povertà" necessaria per la concessione del gratuito patrocinio.
L'Avvocatura dello Stato che nel merito ha concluso per la infondatezza della questione, ha peraltro rilevato che l'entrata in vigore dell'art. 3, secondo comma, della legge 24 dicembre 1976, n. 900, potrebbe suggerire la restituzione degli atti al tribunale di Milano per un'ulteriore valutazione della rilevanza.
Senonché il citato comma dell'art. 3 della legge n. 900 del 24 dicembre 1976 si limita a disporre che fino al 1 luglio 1977, data di entrata in vigore della nuova tabella allegata alla legge, si applica in modo diverso l'aumento disposto dall'art. 2 della legge n. 314 del 1976. La norma invocata dall'Avvocatura dunque, come non era vigente quando il tribunale di Milano emise la sua ordinanza, non é vigente oggi.
Né, a parere della Corte, la diversa articolazione degli aumenti della tariffa dei diritti di cancelleria entrati in vigore il 1 luglio 1977 rende inattuale la questione sollevata dal tribunale di Milano.
2. - La questione peraltro non é fondata.
Il giudice a quo rileva innanzitutto che per l'accesso al gratuito patrocinio occorre lo "stato di povertà" (che, peraltro, come stabilisce l'art. 16 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, non é "la nullatenenza"), e quindi sarebbero esclusi dalla possibilità del beneficio gli imputati "ambedue appartenenti a famiglie medio-borghesi" e in "condizioni patrimoniali tali da consentire loro, sia pure con un certo non irrilevante sacrificio economico, di munirsi del difensore di fiducia senza dover ricorrere alle disposizioni del gratuito patrocinio". Le norme relative al gratuito patrocinio sono dunque estranee al giudizio, nel quale gli imputati erano assistiti da difensori di fiducia, e infatti non costituiscono oggetto della censura di incostituzionalità.
L'elemento che produrrebbe la violazione del diritto di difesa e, insieme, del principio di eguaglianza, sarebbe costituito soltanto dal costo eccessivo della copia del processo, derivante dal non necessario e non ragionevole aumento della tariffa operata con la legge n. 314 del 1976.
Ora l'ammontare delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia, la sua ripartizione in voci corrispondenti ai momenti del processo e ai vari servizi richiesti costituiscono determinazioni conseguenti a molteplici fattori di diversa natura, anche tecnica, e di varia incidenza, determinazioni spettanti al legislatore e che, al di fuori dell'ipotesi di palese irragionevolezza, non sono assoggettabili a censure di rango costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 maggio 1976, n. 314, sollevata dal tribunale di Milano, con ordinanza 12 novembre 1976 di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1983.
Leopoldo ELIA – Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 13 giugno 1983.