Sentenza n. 142 del 1983

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SENTENZA N. 142

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 4 febbraio 1966, n. 51, 3 della legge 20 marzo 1968, n. 419, e 260 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Vaccinazione obbligatoria) promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1980 dal Pretore di Alba, nel procedimento penale a carico di Bonino Gian Paolo ed altra, iscritta al n. 456 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 13 agosto 1980.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'll gennaio 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'avvocato dello Stato Antonio Bruno, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con decreto 8 novembre 1979 il pretore di Alba citava a giudizio i coniugi Bonino-Carugatti per avere omesso di sottoporre alle vaccinazioni obbligatorie antipolio e antitetanica la figlia Diana Silvia. Ai due imputati il Pretore contestava sia le violazioni contravvenzionali alle leggi 51/1966 e 419/1968 sia, in concorso formale, la violazione dell'art. 260 T.U. Leggi sanitarie in quanto, per quest'ultima ipotesi, i due coniugi non avrebbero osservato l'ordine legalmente dato dall'Ufficiale Sanitario di Lequio Berria il 10 novembre 1978.

Al dibattimento i due coniugi, ammettendo il fatto, asserivano di ritenere che la vaccinazione obbligatoria sarebbe in contrasto coll'art. 32 Cost., oltre che inutile.

A loro avviso, infatti, vi sarebbe un'immunità naturale, si' che - secondo taluni testi scientifici - il pericolo di contrarre la malattia sussisterebbe nella stessa misura per vaccinati e non.

A quel punto, riteneva il Pretore di sollevare d'ufficio, con Ord. 14 aprile 1980, questione di legittimità costituzionale nei confronti di tutte le norme penali contestate, con riferimento agli artt. 32, 21 e 33 Cost.

Su punto rilevanza, negava il pretore che le leggi 51/ 1966 e 419/1968 fossero state depenalizzate dalla l. 24 dicembre 1975 n. 706, giacché questa (art. 14, lett. c) esclude espressamente, fra le altre, la disposizione di cui all'art. 358 T. U. Leggi sanitarie. Vero é che il detto articolo riguarda il Regolamento di attuazione del citato T.U. che non é stato mai emanato. Ma - secondo il Pretore - le norme contravvenzionali, di cui alle citate leggi, null'altro sarebbero se non appunto una parziale attuazione del dettato contenuto nell'art. 358, e perciò avrebbero quel sostanziale valore regolamentare che le esclude dalla depenalizzazione.

Concludeva sul punto il Pretore, osservando che in ogni caso, appariva manifesta la rilevanza della questione in ordine al capo c) della rubrica (Art. 260 T.U. Leggi sanitarie).

Parimenti - secondo il Pretore - doveva ritenersi la non manifesta infondatezza della questione, in quanto le norme, che rendono obbligatorie talune vaccinazioni, non prevedono l'obbiezione di coscienza. Per tal modo, quelle leggi violerebbero i limiti imposti dal rispetto della persona umana, dato che questa non può essere intesa soltanto in senso fisico, dovendo invece essere riferita anche all'aspetto per il quale la persona é portatrice di idee e convinzioni scientifiche, la cui manifestazione e il cui insegnamento sono garantiti dagli artt. 21 e 33 Cost.. Ebbene - ad avviso del Pretore - siffatte libertà resterebbero frustrate se si imponesse un "facere" od un "pati" in contrasto colle convinzioni scientifiche individuali: ed i coniugi Bonino - si soggiunge - basano le loro obiezioni proprio su studi di medicina e biologia (il Bonino é laureato in biologia).

Le parti private non si costituivano.

Spiegava, invece, intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato ed assistito dall'Avvocatura generale dello Stato.

Questa contestava innanzitutto la rilevanza della sollevata questione.

 

Quanto alle due contravvenzioni specifiche, perché esse devono ritenersi depenalizzate. I1 riferimento all'art. 358 T. U. Leggi sanitarie sarebbe, infatti, inconferente, perché esso punisce coll'ammenda le violazioni alle norme regolamentari emanande, dando luogo così ad una serie di norme penali in bianco i cui precetti dovranno essere concretizzati mediante il regolamento. Le due specifiche contravvenzioni in parola, invece, sono norme penali integrali, munite di proprio precetto e di propria sanzione, e perciò non hanno natura regolamentare, né formale né sostanziale.

Quanto, poi, alla fattispecie di cui all'art. 260 T.U. Leggi sanitarie, contestata al capo c) della rubrica, l'irrilevanza - ad avviso dell'Avvocatura - sta nel fatto che il processo poteva essere definito indipendentemente dalla pretesa questione di legittimità. E ciò perché la condotta dei coniugi Bonino é manifestamente estranea alla previsione di quell'articolo. I1 quale presuppone, secondo il costante insegnamento della Cassazione, una situazione di concreto ed immanente pericolo di invasione o diffusione di una malattia dell'uomo, dichiarata infettiva o diffusiva, che già si sia manifestata nella zona, e la cui insorgenza non si sia potuta evitare colle ordinarie misure profilattiche. In tal caso, l'Autorità sanitaria é abilitata dal legislatore ad emanare, mediante ordini, i provvedimenti adeguati ed urgenti del caso.

Nulla di tutto questo nel caso di specie, dove viene in esame soltanto l'omissione da parte dei genitori alla sottoposizione della figlia a due ordinarie vaccinazioni preventive, rese obbligatorie dalla legge.

Ma la questione, a giudizio dell'Avvocatura Generale, é comunque anche infondata.

Lo é innanzitutto nei confronti degli artt. 21 e 33 Cost. perché nel caso di specie non c'è nulla che riguardi la libertà di pensiero o di ricerca o di insegnamento scientifico. Ma lo é anche nei riguardi dell'art. 32 Cost. perché le norme impugnate, lungi dal contrastarlo, ne rappresentano, anzi, e ne garantiscono la piena attuazione, atteso l'interesse della collettività a prevenire la diffusione di malattie infettive. D'altra parte, i trattamenti sanitari in questione non violano in alcun modo i limiti imposti dal rispetto della persona umana: essi, infatti, non cagionano diminuzioni permanenti dell'integrità fisica, non impongono prestazioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume, e tanto meno poi impediscono la libera espressione del pensiero.

Del resto, nell'area dell'art. 32, secondo comma Cost. la persona umana non potrebbe venire in altra considerazione - conclude l'Avvocatura - se non appunto in quanto oggetto di un trattamento sanitario, e non quindi in quanto portatrice di idee e convinzioni, alle quali nessuno attenta.

Considerato in diritto

1. - Va detto subito, quanto alla parte dell'incidente relativo alle due contravvenzioni, che, alle gravi perplessità sollevate dalla tesi pretorea in ordine alla loro asserita natura di norme regolamentari ex art. 358 T.U. Leggi sanitarie, si sovrappone comunque la sopravvenienza della l. 24 novembre 1981 n. 689. Questa, infatti, a differenza della precedente 24 dicembre 1975 n. 706 (art. 14), esclude dalla depenalizzazione soltanto l'art. 221 del citato T.U. (art. 34), in guisa che, anche se l'opinione del Pretore fosse fondata, s'impone il riesame della questione da parte del giudice a quo per valutare l'incidenza su di essa della legge frattanto sopravvenuta.

2. - Quanto poi alla questione concernente l'art. 260 T.U. Leggi sanitarie deve rilevarsi l'assoluta mancanza di motivazione in ordine alla sua rilevanza.

Secondo il Pretore questa sarebbe manifesta. In realtà, però, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo in parola, rispetto al fatto storico sottoposto all'esame del giudice, postulava almeno il riferimento ad una situazione di diffusione in atto della malattia che - secondo l'interpretazione del diritto vivente - giustificasse l'ordine del sanitario ai genitori a sottoporre la figlia alla vaccinazione. Del che, non solo non vi é alcun cenno nell'ordinanza, ma negative sono anche in proposito le risultanze del fascicolo processuale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Pretore di Alba per quanto si riferisce alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 l. 4 febbraio 1966 n. 51 e 3 l. 20 marzo 1968 n. 419 in riferimento agli artt. 21, 32 e 33 Cost., sollevata con ord. 14 aprile 1980.

Dichiara inammissibile la questione sollevata con la citata ordinanza nei confronti dell'art. 260 T.U. Leggi sanitarie, in riferimento agli artt. 21, 32 e 33 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1983.

Leopoldo ELIA -  Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI -Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 31 maggio 1983.