SENTENZA N. 76
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. l, comma terzo, 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), 4, 5, comma primo, 17, 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) e 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 aprile 1980 dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma su ricorso di Tosca Mario, iscritta al n. 898 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 dell'11 febbraio 1981;
2) due ordinanze emesse il 29 settembre 1980 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma su ricorsi proposti dall'Ufficio II.DD. di Roma contro Zammuto Giorgio, iscritte, rispettivamente, ai nn. 229 e 230 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 9 settembre 1981.
Visti gli atti di costituzione di Zammuto Giorgio e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1982 il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi l'avv. Lucio V. Moscarini per Zammuto Giorgio e l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni per l'Amministrazione finanziaria dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza 26 aprile 1980, la Commissione tributaria di primo grado di Roma, sezione XIV, ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione - dell'art. 1, comma terzo, della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), degli artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) e degli artt. 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui tali articoli:
- prescrivono che ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) il reddito sia imputato al soggetto che lo produce, ed escludono dalla categoria dei soggetti d'imposta i familiari sprovvisti di redditi propri;
- vietano al soggetto che produce il reddito, di dichiarare la quota (del reddito prodotto) destinata ad altri membri della famiglia, e di dedurre oneri sopportati nell'interesse di questi;
- prescrivono che gli oneri per gli interessi passivi pagati per l'acquisto della casa di abitazione della famiglia, non possono essere detratti dal reddito complessivo del nucleo familiare, e quindi anche dal reddito del coniuge che li ha effettivamente sostenuti, ma soltanto dal reddito del coniuge intestatario del bene;
- prevedono detrazioni fisse d'imposta per le persone a carico.
Sospeso il giudizio in corso, ha perciò ordinato la trasmissione degli atti a questa Corte.
La questione é sorta in seguito al ricorso, in data 18 maggio 1977, di un contribuente, Mario Tosca, contro la cartella esattoriale notificatagli per l'imposta sui redditi dell'anno 1974.
Coniugato, con due figli, ed unico fra i componenti la famiglia a produrre un reddito (da lavoro dipendente), il Tosca sosteneva di aver diritto a dedurre dal reddito stesso (cosa che aveva fatto nella dichiarazione presentata per l'anno suddetto) l'eccedenza (rispetto al reddito catastale, di lire 420.000) degl'interessi pagati nello stesso anno per il mutuo ipotecario gravante sull'appartamento, intestato alla moglie, in cui la famiglia abitava. Sosteneva, altresì, che come "oneri deducibili" dovevano essere riconosciuti a suo favore i contributi da lui versati, a nome della moglie, all'I.N.P.S., per garantirle una pensione di vecchiaia. Avendo l'Ufficio, in base alla normativa dettata con la legge n. 751 del 1976 (in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 dello stesso anno, dichiarativa della illegittimità costituzionale delle preesistenti norme concernenti il c.d. "cumulo dei redditi dei coniugi"), per la regolamentazione dell'IRPEF per il 1974 e anni precedenti, escluso tale deducibilità, il ricorrente chiedeva che, previo giudizio di legittimità costituzionale, da promuoversi in riferimento agli artt. 2,3 e 47 della Costituzione, fosse riconosciuto dalla Commissione il suo diritto a dedurre dal proprio reddito i suindicati oneri da lui sostenuti a nome della moglie.
Esposti sommariamente questi dati di fatto, nell'ordinanza di rinvio si osserva che, avendo l'amministrazione finanziaria, nel disattendere le pretese del Tosca, fatto specificamente applicazione dell'art. 1, comma terzo, della citata legge n. 751 del 1976 (in virtù del quale, appunto, "gli oneri previsti dall'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597", erano considerati deducibili non più, come prima della sentenza della Corte costituzionale, dai redditi cumulati dei coniugi, ma dal reddito complessivo del coniuge che li aveva sostenuti), la verifica della legittimità costituzionale di tale norma é senz'altro rilevante nel giudizio a quo: la decisione della controversia dipende infatti esclusivamente dall'esito di tale verifica. Peraltro - soggiunge la Commissione - la nuova questione da sottoporre alla Corte (dopo la sentenza n. 179 del 1976), non può limitarsi a questa disposizione, ma investe necessariamente - benché non direttamente applicati dall'Ufficio imposte - anche gli altri articoli della legge n. 114 del 1977 e del d.P.R. n. 597 del 1973, di cui con essa si é prospettata la illegittimità costituzionale. É, infatti, da presumere, secondo il giudice a quo, che, emanando le leggi n. 751 del 1976 e n. 114 del 1977, il legislatore ordinario non abbia voluto retroattivamente imporre ai coniugi obbligazioni tributarie più gravose di quelle già derivanti dall'applicazione delle leggi anteriori, "nel testo epurato" dalla sentenza della Corte costituzionale.
L'art. 1, comma terzo, della legge n. 751 del 1976, va perciò ritenuto norma meramente dichiarativa di una regola implicita del regime della tassazione separata dei coniugi instauratosi in seguito a quella sentenza. É poi incontestabile - prosegue l'ordinanza di rinvio - che il divieto (in cui la disposizione del citato art. 1, comma terzo, rientra) di dedurre dal reddito prodotto dal contribuente le somme destinate a far fronte ai bisogni e agli oneri dei familiari, a sua volta altro non é che la naturale conseguenza della regola principale, che (salvo eccezioni irrilevanti) assegna esclusivamente alle detrazioni fisse per i familiari a carico, la funzione di dosare il carico fiscale secondo la composizione delle famiglie. Dimodoché - se ne conclude - se incostituzionale fosse quel divieto, occorrerebbe sradicarlo dall'ordinamento tributario con una operazione ben più profonda della semplice eliminazione dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 751. Nell'attuale regolamentazione dell'IRPEF - prosegue l'ordinanza di rinvio - continuano infatti ad essere esclusi dalla categoria dei soggetti d'imposta il coniuge e i familiari del contribuente che non producono reddito. Le detrazioni previste a loro riguardo seguitano inoltre ad essere stabilite in misure modeste e corrispondenti, per di più, a quote di reddito decrescenti col crescere del reddito complessivo. In tali detrazioni non si tiene quindi alcun conto della quota di reddito che ciascun soggetto destina (ed é obbligato a destinare), al mantenimento della famiglia, senza poterne liberamente disporre. Inoltre, per il coniuge sprovvisto di reddito - sottolinea ancora il giudice a quo - mentre, in caso di convivenza, il contribuente ha diritto alla sola detrazione in misura fissa, in caso di separazione legale o di annullamento o scioglimento del matrimonio, ha diritto alla deduzione per intero degli assegni dovuti, con una disparità di trattamento sicuramente irrazionale, dato che la situazione economica di un coniuge si comunica all'altro assai più quando esiste l'unità familiare che quando questa é spezzata.
Queste norme del regime tributario della famiglia, non sottoposte al giudizio della Corte, e perciò non esaminate, nella controversia sul cumulo dei redditi, sopravvissute quindi alla decisione adottata con la sentenza n. 179 del 1976 e ribadite dalle leggi successive (fra le quali la Commissione tributaria comprende anche le disposizioni per cui continuano ad essere imputati ai genitori i redditi dei figli minori) secondo l'ordinanza di rinvio sono inoltre strettamente collegate ad una nozione del presupposto dell'IRPEF diversa da quella definita dall'art. 1 del d.P.R. n. 597 del 1973. Secondo questo articolo é infatti, il possesso, e non già la mera produzione del reddito, che concorre a formare la capacità contributiva. Invece, nel disciplinare il trattamento fiscale dei redditi familiari (al di fuori dell'ambito di applicazione di certe disposizioni in materia di impresa familiare, conformi a quel principio, aggiunte all'art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973 con la legge 2 dicembre 1975, n. 576) il legislatore-tralasciando di considerare che la donna casalinga e gli altri familiari sprovvisti di redditi propri non sono "carichi detraibili" ma soggetti che vivono nella famiglia, hanno diritto al mantenimento, e perciò, anche se non concorrono a produrli, partecipano al possesso dei redditi familiari-ha preso di mira non più il possesso, ma la produzione del reddito. Così disponendo, però, imputando ai soggetti che producono il reddito anche le quote destinate ad altri, e riversando sui primi l'intero carico tributario, con aliquote progressive, il legislatore ordinario non ha rispettato gli artt. 3 e 53 della Costituzione. Ad avviso della Commissione, infatti, nell'ipotesi di redditi prodotti da un solo soggetto, il trattamento fiscale risulta irrazionalmente più gravoso di quello riservato alle famiglie nelle quali lo stesso reddito complessivo sia prodotto dai due coniugi o comunque da più dei suoi componenti. Per contro, prelievi fiscali non molto diversi vengono effettuati su redditi di pari ammontare, sia se prodotti da un soggetto che debba in parte destinarli al mantenimento dei familiari, sia se prodotti da un soggetto che ne abbia invece l'intera disponibilità.
D'altro canto-soggiunge il giudice a quo - a parte la già rilevata disparità di disciplina fra i casi in cui il coniuge a carico sia convivente e quello in cui sia invece separato - disparità che già di per sé costituisce una minaccia per l'unità familiare - più in generale é da ritenersi che la tutela della famiglia (artt. 29, 30 e 31 Cost.) avrebbe anch'essa richiesto l'adozione di sistemi idonei a commisurare il carico tributario all'entità dei redditi familiari, oltre che alle esigenze da soddisfare in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare. Ed in proposito la Commissione ricorda l'invito rivolto nella motivazione della sentenza n. 179 della Corte costituzionale al legislatore perché fosse predisposta una nuova disciplina che riconosca ai coniugi, in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, la facoltà di optare per "un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice". I1 denunciato sistema fiscale, inoltre, appare in contrasto con l'attuale regime civilistico dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, ispirato, dopo la recente riforma del diritto di famiglia, al principio della comunione legale (art. 177 cod. civ.), secondo il quale la casa di abitazione della famiglia, acquistata in epoca successiva al matrimonio, dovrebbe far parte dei beni oggetto della comunione, e la deduzione degli oneri, di conseguenza, ragionevolmente consentita dal reddito di entrambi i coniugi.
Infine, se la disciplina della tassazione dei redditi familiari vigente in Italia si pone a confronto con i sistemi che, pur in assenza di preminenti norme costituzionali, sono stati adottati in materia in altri paesi (sistema dello splitting, come in U.S.A. e nella Germania federale, o del quoziente familiare, come in Francia, o altri congegni, fondati su abbattimenti alla base, come in Canada, Danimarca, ecc.) l'esito non appare favorevole al nostro legislatore, risultando confermato, ad ogni modo, che ad una imposizione equa dei redditi familiari si perviene soltanto se si riconosca che i membri della famiglia, specie se non possiedono redditi propri, sono soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare complessivo, con le debite conseguenze. Libero il legislatore di assumere a modello, nelle sue future scelte, l'uno o l'altro dei suddetti sistemi é chiaro però - conclude la Commissione - che la giustizia, e il rispetto dei precetti costituzionali, non potranno essere ripristinati se le denunciate regole del vigente regime tributario della famiglia non verranno eliminate.
2. - Adempiute le formalità di rito per le notifiche, comunicazioni e pubblicazione dell'ordinanza, con atto 3 marzo 1981 é intervenuta in giudizio, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 751 del 1976, e inammissibili, o comunque infondate, le altre eccezioni sollevate.
L'art. 1, comma terzo, della legge n. 751 del 1976, norma di carattere transitorio (come tutte le altre contenute in quella legge) e diretta a regolare la tassazione separata dei redditi dei coniugi per l'anno 1974, é stato emanato - osserva l'Avvocatura - proprio in applicazione delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1976.
Dichiarata, con questa sentenza, la illegittimità costituzionale delle disposizioni che, sia in materia di imposta complementare che di IRPEF, prevedevano il cumulo dei redditi dei coniugi, era del tutto logico che gli oneri (cui fa per l'appunto riferimento il citato art. 1, comma terzo, della legge n. 751), previsti dall'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, risultanti dalla dichiarazione unica presentata nell'anno 1975, dovessero essere riconosciuti come oneri deducibili dal reddito complessivo della persona tenuta a sostenerli, e non da quello del coniuge.
Quanto poi alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge n. 114 del 1977, l'Avvocatura obietta che la controversia portata all'esame della Commissione tributaria riguardava la dichiarazione presentata dal Tosca per i redditi conseguiti nell'anno 1974, per la quale andavano applicate le disposizioni transitorie della legge n. 751 del 1976 e non le norme della legge n. 114 del 1977, onde la irrilevanza della questione per quanto riguarda queste ultime.
Secondo l'Avvocatura, inoltre, le denunce di incostituzionalità appaiono articolate in termini vaghi e generici, per cui non é dato stabilire in che cosa consisterebbero le ipotizzate violazioni dei precetti costituzionali. Inammissibile, anche sotto questo profilo, oltre che per la notata irrilevanza, la questione sarebbe comunque infondata, anche nel merito, nessuna delle norme costituzionali invocate risultando violata.
A conclusioni del tutto simili (irrilevanza, genericità e indeterminatezza dei motivi, insussistente violazione dei principi costituzionali invocati) l'Avvocatura perviene anche riguardo alla denunciata illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597.
3. - Analoghe censure, nei confronti degli artt. 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751, e degli artt. 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114, sono state formulate, in riferimento agli artt. 53, nonché 3, 29 e 31 della Costituzione, con altre due ordinanze, entrambe emesse in data 29 settembre 1980, e di contenuto pressocché identico, della Commissione tributaria di secondo grado di Roma, sezione XII.
Gli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976, vengono impugnati "in quanto prescrivono d'obbligo l'accertamento dei redditi dei coniugi separatamente"; gli artt. 19 e 20 della legge n. 114 del 1977, a loro volta, "in quanto prescrivono che gli oneri per gli interessi pagati per l'acquisto della casa di abitazione della famiglia non possono essere detratti dal reddito complessivo del nucleo familiare, e quindi anche dal reddito del coniuge che li ha effettivamente sostenuti, e prevedono detrazioni fisse per le persone a carico".
Le due ordinanze sono state emanate nel corso di altrettanti procedimenti, promossi con appelli dell'Ufficio imposte contro le decisioni della Commissione tributaria di primo grado di Roma, sezione XII, e rispettivamente, XXIX, in data 24 aprile e 3 ottobre 1979, con le quali erano stati accolti i ricorsi a suo tempo proposti da Giorgio Zammuto, in riferimento alle dichiarazioni per l'IRPEF da lui presentate per il 1974 (primo ricorso) e per il 1975 (secondo ricorso) contro gli accertamenti (e conseguenti maggiorazioni di imposta) con cui l'Ufficio, in applicazione dell'art. 3 della legge n. 751 del 1976, e, rispettivamente, degli artt. 19 e 20 della legge n. 114 del 1977, aveva escluso che potessero conteggiarsi a suo favore - come il contribuente aveva fatto nelle sue dichiarazioni - come "oneri deducibili" dal suo reddito, gli interessi passivi del mutuo ipotecario gravante sull'appartamento in cui egli e la moglie abitavano. L'appartamento - il cui reddito catastale era inferiore al minimo imponibile - era infatti intestato alla moglie dello Zammuto, Lozzi Elena, non in possesso di altri redditi, per cui al pagamento degli interessi aveva dovuto provvedere il marito.
I ricorsi dello Zammuto affinché tali pagamenti fossero di conseguenza riconosciuti come oneri deducibili dal proprio reddito, erano stati accolti nelle su indicate decisioni della Commissione di primo grado, per ragioni svolte - pacifici i fatti suesposti - in linea di diritto, interpretando la legge tributaria alla luce dei principi del codice civile, sugli stretti e reciproci obblighi cui, anche sul piano economico, sono improntati i rapporti fra i coniugi, e della stessa Costituzione, sulla garanzia della unità della famiglia, e con particolare riferimento, altresì, nella prima pronuncia, al dovere giuridico del marito, in situazioni come quelle del caso di specie, di pagare gl'interessi del mutuo, e, nella seconda, con riferimento alla lettera dell'art. 20, comma secondo, delia legge n. 114 del 1977, il quale, disponendo che "gli oneri previsti dall'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 sono deducibili dal reddito complessivo del coniuge che li ha sostenuti", starebbe a significare che in casi come quelli di specie, la deduzione dovrebbe operarsi dal reddito del coniuge che, provvedendo al pagamento degli interessi passivi, tali oneri abbia effettivamente sostenuto.
Impugnate tali decisioni dall'Ufficio, anche lo Zammuto interponeva, in via incidentale, appello, chiedendo in via subordinata che nei riguardi delle disposizioni di legge su cui l'Ufficio fondava le proprie pretese, fosse sollevata questione di legittimità costituzionale.
Nelle ordinanze con cui, con la stessa motivazione, disponeva, per entrambi i procedimenti, la trasmissione degli atti a questa Corte, la Commissione tributaria, premessi brevi cenni circa le su riferite vicende procedurali, e passando quindi all'esame della questione di legittimità costituzionale, osserva che la questione stessa - la quale, oltre a quelli su indicati, investe l'art. 6 della legge n. 756 del 1976 - non é manifestamente infondata. Secondo il giudice a quo, infatti, il sistema delle detrazioni fisse per il coniuge e per i familiari a carico, sistema che, adottato nell'attuale disciplina dell'IRPEF, non consente di dedurre dal reddito gli oneri sostenuti nell'interesse dei familiari sprovvisti di redditi propri, e l'imputazione ai soggetti che producono il reddito anche delle quote destinate ad altri, fanno sì che il carico tributario viene a gravare sui soli eroduttori di reddito, introducendo così una patente disparità tra famiglie in cui unica é la fonte di produzione del reddito, e farniglie in cui il reddito complessivo é formato invece da redditi prodotti dai due coniugi o comunque da più componenti la famiglia. Il che non é certo in armonia con il dettato degli artt. 3 e 53 della Costituzione. Per effetto della denunciata normativa - prosegue il giudice a quo - viene inoltre a crearsi una ulteriore disparità fra il trattamento previsto per il coniuge convivente (detrazione fissa d'imposta) e il trattamento (reddito complessivo diminuito dell'importo degli assegni liquidati con provvedimento giudiziale) previsto per il coniuge legalmente separato: disparità che a sua volta, costituendo un incentivo alla disgregazione, contrasta con i precetti posti dagli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione a garanzia dell'unità della famiglia.
Di qui la necessità, per una effettiva attuazione della giustizia tributaria e il rispetto delle norme costituzionali, che siano eliminate dall'ordinamento le regole dalle quali appunto derivano: a) l'imputazione del reddito familiare al solo soggetto che lo produce; b) il divieto per il dichiarante di dedurre la quota di reddito prodotto destinata ad altri membri della famiglia e gli oneri sopportati nell'interesse di questi; c) il sistema delle detrazioni fisse d'imposta per persone a carico.
4. - Notificate, comunicate e pubblicate le ordinanze di rinvio, con atti di deduzioni (di identico contenuto), depositati in Cancelleria l'11 giugno 1981, si é costituito innanzi alla Corte lo Zammuto, chiedendo che si provveda "sui dedotti profili di violazione", come di giustizia. Dopo aver ricordato come, venuto meno, per effetto della sentenza n. 179 del 1976, il principio della tassazione congiunta dei coniugi conviventi, sia subentrato ad esso quello della tassazione separata, la difesa del ricorrente osserva che la nuova normativa del 1977, ispirata a tale principio, nulla ha tuttavia disposto per i casi in cui, non avendo uno dei coniugi, e generalmente la moglie, redditi propri, sopporti però spese detraibili che, soprattutto in regime di comunione legale dei beni, facciano formalmente capo ad entrambi i coniugi, come di frequente avviene per gl'interessi relativi ad un mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione in virtù dell'adottata comunione dei beni appartenenti ad entrambi i coniugi. Nel silenzio della legge, pertanto - prosegue l'atto di deduzioni - o si ravvisa nel sistema una norma implicita che preveda la detrazione degli oneri gravanti sulla moglie, quando questa non abbia redditi propri, dal reddito del marito o, altrimenti, si cadrebbe necessariamente in una violazione del principio della capacità contributiva. Mentre non vanno dimenticati gli inviti che nella citata sentenza la Corte costituzionale rivolse al legislatore riguardo alla opportunità di temperamenti, nella disciplina da adottare in seguito a quella decisione, al principio della tassazione separata, nell'interesse della famiglia e della donna.
Con atti di deduzioni in data 29 settembre 1981 (anche questi di identico contenuto) si é inoltre costituita, nell'uno e nell'altro giudizio, in persona del Ministro delle finanze e rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, l'Amministrazione finanziaria, chiedendo che la Corte dichiari la questione sollevata priva di fondamento. Secondo l'Avvocatura i rilievi prospettati nell'ordinanza di rinvio nei riguardi delle disposizioni impugnate non possono essere condivisi. Allorché esiste - si osserva - in conformità all'ordinamento, un regime patrimoniale della famiglia che prevede, come per l'impresa familiare (art. 230 bis cod. civ.) una partecipazione dei familiari ai redditi dell'unico titolare, anche l'imposizione fiscale (art. 9 legge 2 dicembre 1975, n. 576) é commisurata alla precisa e formale determinazione delle quote di partecipazione.
E così, allorché dal vincolo familiare derivi l'obbligo legale della corresponsione di somme (come per l'assegno di separazione) di esso si tiene conto ai fini della determinazione del reddito netto. Ma quando, come nella specie, ciò non si verifica, il rapporto familiare può influire sul principio della personalità dell'imposizione ed é fiscalmente rilevante solo quale onere generico tutelato dalle detrazioni fisse d'imposta.
E perciò fuor di luogo in proposito porre a confronto le situazioni da una parte, della famiglia "in cui unica é la fonte di produzione del reddito" e, dall'altra, della famiglia "in cui invece il reddito complessivo é formato da redditi prodotti dai due coniugi o comunque da più componenti". In relazione al principio della personalità dell'imposizione il diverso regime di tassazione dei due casi si giustifica infatti pienamente, mentre una loro equiparazione ai fini del calcolo indiscriminato degli oneri, non potrebbe che reintrodurre il già condannato principio del cumulo dei redditi. Nella fattispecie in esame, peraltro, il coniuge proprietario dell'immobile, e su cui grava l'onere degli interessi per il mutuo ipotecario, non può essere ritenuto, come affermato nell'ordinanza di rimessione, "sprovvisto di redditi propri". Esso é infatti titolare del reddito immobiliare proprio di tale immobile, che non viene cumulato a quello personale dell'altro coniuge e sul quale gli interessi sono calcolati. Cosicché, se la formale intestazione dell'immobile al coniuge sprovvisto di altri redditi corrisponde, come deve presumersi, alla realtà della situazione, é del tutto normale e giustificato che ad essa corrisponda una autonoma capacità reddituale e contributiva, indipendentemente da quella del coniuge. Ché se invece tale formale intestazione dell'immobile a nome della moglie fosse stata fittizia, per motivi fiscali o di altro genere, non sarebbe questa certo una ragione per riconoscere gl'interessi, che la moglie é tenuta a pagare, deducibili dal reddito del marito.
5. - In una memoria presentata, sia nel primo che nel secondo dei suddetti giudizi, il 1 aprile 1982, la difesa dello Zammuto, insistendo nella richiesta principale (già formulata nei precedenti atti di deduzioni) che le disposizioni impugnate vengano riconosciute illegittime, chiede, in via alternativa, che, dovendo a suo avviso le disposizioni stesse essere interpretate in modo diverso da quello in base al quale gli uffici finanziari avevano negato al ricorrente la deducibilità degli interessi passivi da lui pretesa, la questione, su tale presupposto, sia dichiarata priva di fondamento.
Dopo aver ricordato che nella disciplina dell'IRPEF posta in essere, in applicazione dei principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1976, dalla legge 12 novembre 1976, n. 751, e dagli artt. 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114, mentre le due ipotesi, della famiglia con coniugi entrambi possessori di reddito e della famiglia in cui possessore di reddito sia uno solo di essi, hanno trovato una precisa regolamentazione (la prima attraverso la tassazione separata dei due redditi e la seconda con l'applicazione dell'imposta progressiva all'unico reddito), alla esplicita previsione normativa é rimasta invece estranea una terza ipotesi, quella, cioè, in cui uno solo dei coniugi essendo in possesso di un reddito tassabile, l'altro risulti titolare di un reddito negativo. Secondo la difesa dello Zammuto di "reddito negativo" dovrebbe invero parlarsi allorché uno dei coniugi, privo di altri introiti tassabili, e quindi "a carico" dell'altro (il quale perciò gode delle previste detrazioni d'imposta) sia al tempo stesso possessore di un cespite, produttivo bensì di un qualche reddito, ma in misura inferiore (talvolta assai inferiore) a quella degli oneri che sul cespite stesso gravano, e di cui il "coniuge a carico" é accollatario. Come per l'appunto avviene nell'eventualità (piuttosto frequente per le famiglie medio - borghesi dotate del solo reddito lavorativo del marito) di acquisti, mediante l'accollo di pesanti mutui, di appartamenti intestati alla "moglie a carico". Non varrebbe infatti obiettare che il reddito dell'immobile intestato alla moglie sia, per lo più, un reddito solo potenziale stimato in base alle rilevazioni catastali, notoriamente assai moderate, e che in sostanza marito e moglie, e quindi il nucleo familiare, abitando nell'appartamento, percepiscano un reddito effettivamente superiore consistente nella materiale fruizione del bene. Un argomento siffatto non potrebbe essere preso in considerazione, invero, senza mettere in discussione la legittimità degli accertamenti catastali anche ad altri fini, né ad esso, comunque, potrebbe farsi richiamo per i casi, anch'essi tutt'altro che rari, in cui l'immobile, acquistato ovviamente con il denaro dell'unico produttore di reddito, e cioè del marito, e cionondimeno intestato alla moglie, produca non già un reddito potenziale, stimato in base alle dichiarazioni catastali, ma un reddito effettivo, ricavato magari attraverso una locazione, il cui importo risulti peraltro anch'esso inferiore, magari sensibilmente, all'importo degli interessi passivi sopportati per il mutuo.
In situazioni di tal genere, secondo la difesa del ricorrente, si dovrebbe quindi consentire, in base al cumulo algebrico dei redditi (positivo e negativo) dei due coniugi, la deduzione degl'interessi dal reddito del coniuge che solo era in grado di pagarli e che effettivamente li ha pagati. Ché se tale interpretazione delle norme in vigore si dimostrasse insostenibile, indubbia dovrebbe ritenersi la loro illegittimità costituzionale: per contrasto con i principi di parità e di garanzia dell'unità familiare (ingiustificabile privilegio risultando, al confronto, la riconosciuta deducibilità dal reddito tassabile, ai fini dell'IRPEF, nei casi di "famiglie disgregate", dell'intero importo degli assegni corrisposti dal contribuente al coniuge separato) e per contrasto, altresì, con il principio della capacità contributiva. L'interpretazione elastica data a questo principio dalla giurisprudenza costituzionale non toglie infatti - prosegue la memoria - che esso vieti ogni forma di imposizione che colpisca redditi dei quali non soltanto non sia provata puntualmente l'esistenza, ma - come nel caso in questione - sia addirittura dimostrata la non esistenza. Perciò, non ammettendosi in detrazione dal reddito del marito la differenza tra il reddito locatizio e gl'interessi passivi - differenza pagata con il reddito da lui prodotto - si finirebbe con l'applicare a suo carico un'imposta in mancanza del presupposto stabilito dal precetto costituzionale.
6. - Alla pubblica udienza del 14 aprile 1982, dopo che il Giudice Antonino De Stefano ha svolto la relazione, l'avvocato Lucio Moscarini (per Giorgio Zammuto) ha ribadito i motivi svolti nelle presentate memorie, chiedendo che la Cortedichiari la illegittimità costituzionale delle norme sottoposte al suo esame, ovvero, in alternativa, la non fondatezza della questione sul presupposto che alle norme stesse debba essere data un'interpretazione diversa da quella seguita nelle ordinanze di rimessione; mentre l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni ha insistito per la inammissibilità, nel giudizio instaurato con l'ordinanza emessa dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma su ricorso relativo ai redditi dell'anno 1974, delle questioni concernenti la normativa del 1977, e per la infondatezza nel medesimo giudizio delle altre questioni concernenti le precedenti normative, nonché per la infondatezza di tutte le questioni sollevate negli altri due giudizi.
Considerato in diritto
1. - Le tre ordinanze, di cui in narrativa, sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale, in parte identiche in parte connesse; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - La Commissione tributaria di primo grado di Roma denuncia, per contrasto con gli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione, gli artt. 1, comma terzo, della legge 12 novembre 1976, n. 751, 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114, 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, nella parte in cui tali articoli: a) prescrivono che ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) il reddito sia imputato al soggetto che lo produce, ed escludono dalla categoria dei soggetti d'imposta i familiari sprovvisti di redditi propri; b) vietano al soggetto che produce il reddito, di dichiarare la quota (del reddito prodotto) destinata ad altri membri della famiglia, e di dedurre oneri sopportati nell'interesse di questi; c) prescrivono che gli oneri per gl'interessi passivi per l'acquisto della casa di abitazione della famiglia, non possono essere detratti dal reddito complessivo del nucleo familiare, e quindi anche dal reddito del coniuge che li ha effettivamente sostenuti, ma soltanto dal reddito del coniuge intestatario del bene; d) prevedono detrazioni fisse di imposta per le persone a carico.
Analoghe censure la Commissione tributaria di secondo grado di Roma, in due ordinanze di contenuto pressoché identico, rivolge, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, agli artt. 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751, "in quanto prescrivono d'obbligo l'accertamento dei redditi dei coniugi separatamente", ed agli artt. 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114, "in quanto prescrivono che gli oneri per gl'interessi pagati per l'acquisto della casa di abitazione della famiglia non possono essere detratti dal reddito complessivo del nucleo familiare, e quindi anche dal reddito del coniuge che li ha effettivamente sostenuti, e prevedono detrazioni fisse per le persone a carico".
3. - Va preliminarmente osservato che la Commissione tributaria di primo grado di Roma è chiamata a pronunciarsi, come si rileva dalla stessa ordinanza, su un ricorso proposto contro la cartella esattoriale relativa all'applicazione dell'IRPEF sul reddito posseduto dal contribuente nel 1974 e dichiarato nel 1975. Ma le disposizioni dei denunciati artt. 4 e 5, comma primo, della legge n. 114 del 1977 hanno effetto - come stabilisce l'art. 23, comma primo, della stessa legge - dal 1 gennaio 1976 relativamente ai redditi posseduti da tale data ed alle conseguenti dichiarazioni da presentare nell'anno 1977.
Inoltre, il denunciato art. 17 della cennata legge é entrato in vigore, a norma del successivo art. 28, il giorno seguente a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (16 aprile 1977), e quindi riguarda le dichiarazioni da presentare dopo tale data, concernenti perciò i redditi posseduti nel 1976.
Infine, il denunciato art. 20 della legge in parola - secondo quanto prescrive il citato art. 23, al comma terzo - ha effetto dal 1 gennaio 1975 relativamente ai redditi posseduti da tale data.
Anche i nuovi testi degli artt. 10 e 15 del d.P.R. n. 597 del 1973, quali sostituiti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 114 del 1977, egualmente denunciati con l'ordinanza in parola, hanno effetto - come statuisce il ricordato comma primo dell'art. 23 della stessa legge - dal 1 gennaio 1976 relativamente ai redditi posseduti da tale data ed alle dichiarazioni da presentare nell'anno 1977; neppur essi, pertanto, sono applicabili alla dichiarazione presentata dal ricorrente nel 1975 per il reddito da lui posseduto nel 1974.
Nell'ordinanza di rimessione si afferma che la sollevata questione di legittimità costituzionale "non concerne soltanto la disciplina della tassazione dei redditi familiari del 1974, ma la stessa disciplina attuale"; va però osservato in proposito che la sopravvenuta disciplina non é certo applicabile, per le ragioni esposte, nel giudizio a quo. La censura di illegittimità costituzionale che la investe, appare perciò prospettata su di un piano astratto, non sussistendo quella concreta pregiudizialità imposta dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, a norma del quale la questione può essere sollevata soltanto "qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione" di essa. Devesi, pertanto, dichiarare - come richiesto dall'Avvocatura dello Stato - la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione sollevata dalla prefata Commissione in ordine agl'indicati artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge n. 114 del 1977, e 10 e 15 del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito con gli artt. 5 e 6 della stessa legge n. 114 del 1977.
4. - Per quanto concerne le due ordinanze della Commissione tributaria di secondo grado di Roma, esse, come esposto in narrativa, provengono da due procedimenti vertenti sulla deduzione, dal reddito dello stesso contribuente, degl'interessi passivi del mutuo ipotecario gravante sull'appartamento adibito ad abitazione della famiglia ed intestato alla moglie: il primo procedimento ha riferimento alla dichiarazione per l'IRPEF presentata dal contribuente nel 1975 per il reddito posseduto nel 1974; il secondo alla dichiarazione presentata nel 1976 per il reddito del 1975. II giudice a quo denuncia in entrambe le ordinanze gli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976 e gli artt. 19 e 20 della legge n. 114 del 1977. Ma gli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976, applicabili alla determinazione dell'IRPEF per il 1974, non spiegano effetto per gli anni successivi; mentre, dal loro canto, gli artt. 19 e 20 della legge n. 114 del 1977 hanno effetto dal 1 gennaio 1975 relativamente ai redditi posseduti da tale data (art. 23, ultimo comma, della stessa legge), ma non sono applicabili alla determinazione dell'IRPEF per il 1974. Va, pertanto, dichiarata la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione sollevata con la prima ordinanza (R.O. n. 229 del 1981) in ordine agli artt. 19 e 20 della legge n. 114 del 1977, e della questione sollevata con la seconda ordinanza (R.O. n. 230 del 1981) in ordine agli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976.
5. - Ai fini dell'esame del merito residuano, pertanto, le questioni che possono così puntualizzarsi:
A) se contrastino con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione gli artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976, in quanto prescrivono d'obbligo l'accertamento separato dei redditi dei coniugi;
B) se contrastino con gli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione gli artt. 1, comma terzo, della legge n. 751 del 1976 e 19 e 20 della legge n. 114 del 1977, in relazione al testo originario dell'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, nella parte in cui escludono la deducibilità dal reddito complessivo del coniuge che lo ha effettivamente sostenuto, dell'onere per gl'interessi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione della famiglia, intestata all'altro coniuge, sfornito di redditi propri all'infuori del reddito catastale derivante dalla proprietà della casa suddetta e di ammontare inferiore a quello degl'interessi medesimi.
Nei termini sopra esposti, infatti, la Corte, in armonia con la propria giurisprudenza (da ultimo sentenze nn. 137 e 151 del 1980, n. 42 del 1981), precisa l'oggetto delle questioni sulle quali è chiamata a pronunciarsi.
6. - La questione puntualizzata sub A non è fondata.
Giova ricordare che questa Corte, con sentenza n. 179 del 1976, ebbe a dichiarare la illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 29 e 53 della Costituzione (gli stessi parametri ora invocati dal giudice a quo, oltre all'art. 31, al quale, peraltro, la Corte non mancò di fare riferimento nella motivazione della cennata sentenza), della normativa allora denunciata, proprio nella parte in cui essa prevedeva l'imputazione al marito dei redditi della moglie ed il cumulo dei redditi di entrambi i coniugi ai fini dell'applicazione dell'imposta complementare e dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. La pronuncia della Corte spiegava i suoi effetti immediati e diretti unicamente nei confronti di norme legislative che ormai non potevano trovare applicazione oltre l'ambito dei rapporti giuridici già sorti e non ancora interamente esauriti, mentre non venivano colpite le norme della successiva legge 2 dicembre 1975, n. 576, che avevano disciplinato, con effetto dal 1 gennaio 1975, l'imposizione sui redditi dei coniugi secondo criteri parzialmente diversi.
La legge n. 751 del 1976, i cui artt. 3 e 6 sono ora sottoposti, sotto l'indicato profilo, a verifica della loro legittimità costituzionale, è stata appunto emanata - come risulta non soltanto dal suo argomento, ma esplicitamente dai relativi atti parlamentari - per far fronte ad una situazione di emergenza, e cioè per soddisfare "l'esigenza di un sollecito intervento legislativo diretto a regolare gli effetti di tale pronuncia su quei rapporti giuridici, riguardanti i predetti tributi, che ne risultano immediatamente influenzati; ciò allo scopo di consentire la definizione di tali rapporti tributari e la riscossione delle imposte dovute dai coniugi, alla stregua delle statuizioni della Corte". Nel disporre il separato accertamento dei redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, in luogo del cumulo previsto dalle preesistenti norme delle quali era stata dichiarata la illegittimità costituzionale, le norme adesso impugnate si sono adeguate alla richiamata pronuncia della Corte, dalla cui motivazione, pertanto, discende per converso la infondatezza della proposta questione.
7. - Ben vero che nella stessa sentenza n. 179 del 1976, la Corte, conclusa la sua argomentazione, ha espresso "l'auspicio che sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data ai coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice". Ma non può certo sostenersi che il legislatore abbia violato gl'invocati parametri costituzionali sol perché in una normativa, come quella denunciata, emanata a pochi mesi dalla sentenza con l'espresso intento di adeguarsi alle sue statuizioni e in un ambito circoscritto alla determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, non ha trovato eco la raccomandazione rivoltagli dalla Corte.
Raccomandazione che, peraltro, non ha avuto seguito nemmeno nella successiva legge n. 114 del 1977, con la quale è stata operata Ia revisione della nuova normativa dettata dalla citata legge n. 576 del 1975 e non direttamente investita dalla decisione della Corte, adeguando ai principi da questa affermati la struttura dell'imposta personale, con totale abbandono del sistema di cumulo dei redditi dei coniugi. Dai relativi atti parlamentari si evince, infatti, che non si è ritenuto possibile ed opportuno realizzare in quell'occasione l'auspicio espresso dalla Corte, con l'offrire ai coniugi sistemi alternativi di tassazione personale, quali quello del quoziente familiare, dello splitting, del cumulo facoltativo, accolti in alcune legislazioni straniere.
Pur non disconoscendo a tali sistemi il pregio di apprestare, in determinate situazioni, strumenti più adeguati alla tassazione dei redditi familiari, si è allora osservato che la intrinseca complessità di tali sistemi postula valutazioni e scelte non sempre facili, nonché una modulistica assai differenziata.
"L'introduzione di essi - si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge di iniziativa governativa - nell'attuale delicato momento di ancora iniziale avvio della riforma tributaria, caratterizzato da una non completa informazione tributaria dei cittadini e da condizioni di operatività dell'Amministrazione finanziaria non del tutto adeguate, finirebbe con il creare una intollerabile situazione di incertezza e di ingovernabilità del tributo, con gravi e negative ripercussioni nell'ormai consolidato sistema di ritenuta alla fonte sui redditi di lavoro subordinato, che esonera larga parte dei contribuenti da adempimenti ed oneri connessi con l'obbligo della dichiarazione dei redditi".
Il legislatore, dunque, nell'approvare la legge n. 114 del 1977, ha, in buona sostanza, sulla base delle considerazioni testé ricordate, che fanno soprattutto leva su circostanze di carattere temporale, connesse all'attuazione della riforma tributaria, rinviato ad una fase successiva l'introduzione, nel sistema della tassazione separata dei redditi dei coniugi, di opportuni temperamenti. Ne fa fede l'ordine del giorno allora accolto, con il quale il Governo assumeva appunto l'impegno di riconsiderare il problema, e di proporre al Parlamento "una nuova e definitiva disciplina", pienamente aderente al criterio della tassazione separata, ma con la facoltà per i coniugi "di optare per un differente sistema di tassazione che agevoli la formazione della famiglia in conformità all'art. 31 della Costituzione; elimini totalmente ogni possibile disparità di trattamento rispetto ad altri istituti tributari riguardanti la famiglia; tenga concretamente conto della posizione dei coniugi, e della donna casalinga in particolare, nell'ambito del nuovo diritto di famiglia".
In proposito la Corte deve ribadire che il sistema del cumulo, imposto senza possibilità di alternative, risulta lesivo dei principi costituzionali che sono a base della sua precedente pronuncia; principi ai quali appare, invece, aderente il sistema della separata tassazione, dal quale il legislatore non può prescindere, dovendo riconoscere ai coniugi, in ogni caso, il diritto di chiederne l'applicazione. Spetta, peraltro, allo stesso legislatore di apprestare rimedio alle sperequazioni, che da tale sistema, rigidamente applicato, potrebbero derivare in danno della famiglia nella quale uno solo dei coniugi possegga reddito tassabile, rispetto a quella in cui ambedue i coniugi posseggano reddito, pari nel complessivo ammontare a quello della famiglia monoreddito, ma soggetto a tassazione separata, con aliquote più lievi, per le due componenti. La innegabile esigenza di correggere tali effetti distorsivi, nella prospettiva di quel favor familiae cui s'informa l'art. 31 della Costituzione, può, invero, venire appagata sia con oculata scelta di un sistema alternativo, suscettibile di essere affiancato in via opzionale al sistema della tassazione separata, sia anche all'interno di quest'ultimo, ristrutturando gli oneri deducibili e le detrazioni soggettive dall'imposta per meglio adeguarli all'esigenza medesima. Ampi, infatti, sotto ambedue gli aspetti, sono gli spazi entro i quali, nel rispetto dei principi richiamati dalla Corte, può esercitarsi la discrezionalità del legislatore, cui incombe di assolvere l'impegno a tal riguardo assunto or sono sei anni.
8. - Alla luce delle suesposte considerazioni, anche l'altra questione, puntualizzata sub B, va dichiarata non fondata.
Occorre in proposito ricordare che, anteriormente alla richiamata pronuncia di questa Corte (n. 179 del 1976), entro l'ambito del sistema del c.d. cumulo dei redditi dei coniugi, l'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, nel suo testo originario, prevedeva, alla lett. c) del comma primo, che gl'interessi passivi fossero dedotti dal reddito complessivo del contribuente, anche se il relativo onere non fosse stato sostenuto dal medesimo, ma dalla moglie, il cui reddito, peraltro, per il disposto dell'art. 4, lett. a), dello stesso decreto, veniva a lui imputato, ai fini della determinazione del reddito complessivo soggetto a tassazione.
Tale sistema, in vigore per i redditi posseduti sino a tutto il 1974, era stato temperato dalla citata legge n. 576 del 1975, la quale, con effetto dal 1 gennaio 1975 e relativamente ai redditi posseduti da tale data, aveva disposto, all'art. 2, che se il reddito complessivo lordo dei coniugi non superasse i sette milioni di lire annui, l'imposta venisse commisurata separatamente sul reddito proprio di ciascuno dei coniugi, al netto degli oneri di cui al citato art. 10 del decreto n. 597 del 1973, "riferibili ad ognuno di essi"; mentre aveva mantenuto, all'art. 1, il cumulo ove il reddito complessivo lordo dei coniugi fosse d'importo superiore ai sette milioni.
Dichiarata da questa Corte, con la sentenza n. 179 del 1976, la illegittimità costituzionale del sistema del cumulo, nei limiti innanzi richiamati, il legislatore, in aderenza ai principi ivi affermati, ha disposto, con la citata legge n. 751 del 1976, relativamente ai redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti, che l'imposta venga commisurata separatamente sul reddito complessivo proprio del marito e su quello della moglie.
Circa gli oneri previsti dall'art. 10 del decreto n. 597 del 1973 - venuta meno, per effetto della pronuncia di questa Corte, la imputazione al marito dei redditi della moglie - il denunciato comma terzo dell'art. 1 della stessa legge ha statuito che essi "sono deducibili dal reddito complessivo del coniuge che li ha sostenuti"; ed il successivo art. 3 ha ribadito che i redditi complessivi propri del marito e della moglie vengono determinati "al netto degli oneri riferibili a ciascuno di essi".
Analogamente, per i redditi posseduti dai coniugi nell'anno 1975 (e dichiarati nel 1976), la successiva legge n. 114 del 1977, abrogando le norme dettate dalla legge n. 576 del 1975, ha disposto, con i denunciati artt. 19 e 20, che l'imposta si applica separatamente sul reddito complessivo netto di ciascun coniuge; e che gli oneri previsti dall'art. 10 del decreto n. 597 del 1973, "sono deducibili dal reddito complessivo del coniuge che li ha sostenuti".
Pur con questa modifica, che consegue all'adozione del sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, le denunciate norme fanno ancora riferimento, per quanto riguarda i tipi di oneri riconosciuti deducibili, al testo originario del citato art. 10 (le innovazioni apportate in proposito dall'art. 5 della legge n. 114 del 1977, hanno invero effetto, ai sensi degli artt. 20, ultimo comma, e 23 della legge medesima, dal 1 gennaio 1976, relativamente ai redditi posseduti da tale data: e si è già rilevato che le controversie all'esame dei giudici ai quibus concernono, invece, redditi posseduti dai coniugi nel 1974 e nel 1975). Per il combinato disposto di tali norme, qualora si tratti di interessi passivi relativi ad un mutuo, trova puntuale e razionale applicazione il principio che l'onere viene dedotto dal reddito del contribuente che lo sostiene; e cioè, nel caso, dal reddito del mutuatario, giuridicamente tenuto (artt. 1815 e 1820 cod. civ.) al pagamento dei relativi interessi.
Una volta che il reddito della moglie non viene più imputato al marito, ma è sottoposto ad autonoma tassazione, e che gli oneri sostenuti dalla prima vengono dedotti dal reddito medesimo, e non più dal coacervo dei redditi dei coniugi, il principio non può non valere anche per gl'interessi passivi di un mutuo, del quale mutuataria sia la moglie, tenuta perciò, essa sola, al pagamento degl'interessi medesimi.
Nei giudizi a quibus si controverte sulla deducibilità di interessi passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione della famiglia: casa, peraltro, intestata unicamente alla moglie, sola mutuataria, sfornita di redditi propri all'infuori del reddito catastale derivante dalla proprietà della casa medesima. Le ordinanze di rimessione lamentano che in tale fattispecie le denunciate norme non consentano la deduzione dal reddito del marito di quella parte dell'onere per interessi passivi, che eccede l'ammontare del reddito catastale imputato alla moglie e non può pertanto essere dedotto da quest'ultimo: e in ciò ravvisano violazione degli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione.
La Corte ritiene che nessuno degl'invocati parametri possa avvalorare la mossa censura di illegittimità costituzionale.
Le denunciate norme, infatti, operano nell'ambito di un sistema che, escludendo ai fini della tassazione il cumulo dei redditi dei coniugi e la conseguente indifferenziata deduzione dal cumulo medesimo degli oneri sostenuti dal marito o dalla moglie, trae ispirazione proprio dagli stessi precetti costituzionali, che ora vengono invece posti a base della sollevata questione.
Non si nega che dall'applicazione delle contestate norme alla descritta fattispecie possa derivare uno di quegli eventuali effetti distorsivi del sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, ai quali si è già fatto riferimento. Soprattutto se si consideri che la "proprietà dell'abitazione" è un obiettivo il cui perseguimento va incoraggiato, non soltanto favorendo - come prevede il secondo comma dell'art. 47 della Costituzione - l'accesso ad essa del risparmio popolare, ma improntando anche ad eguale favore il regime fiscale che la concerne, tanto al momento dell'acquisizione dell'immobile, quanto in costanza della sua destinazione ad alloggio del nucleo familiare del contribuente che lo possiede. Ma, come si è affermato nella sentenza n. 179 del 1976, e si ribadisce in questa, è il legislatore che deve apprestare adeguati rimedi ai possibili effetti distorsivi del sistema, operando le più convenienti scelte normative nell'ambito di quel potere discrezionale, il cui esercizio si sottrae al sindacato di questa Corte tutte le volte che non sconfini nella irrazionalità e nell'arbitrio.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 898 R.O. 1980, 229 e 230 R.O. 1981,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5, comma primo, 17 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), 10 e 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), nel testo sostituito con gli artt. 5 e 6 della predetta legge n. 114 del 1977, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 26 aprile 1980 (R.O. n. 898 del 1980) dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 29 settembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 29 settemhre 1980 (R.O. n. 230 del 1981) dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 6 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza emessa il 29 settembre 1980 (R.O. n. 229 del 1981) dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma terzo, della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria), 19 e 20 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione, con le ordinanze emesse il 26 aprile 1980 (R.O. n. 898 del 1980) dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma, e il 29 settembre 1980 (R.O. n. 230 del 1981) dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA - ANTONINO DE STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN- ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere