SENTENZA N. 38
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 2 giugno 1930, n. 733, degli artt. 2,3 e 4 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dell'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Indennità premio di fine servizio dei dipendenti dell'INADEL e degli enti locali) promossi con le ordinanze emesse il 23 novembre 1977 e il 3 aprile ed il 16 giugno 1978 dal Pretore di Roma, il 22 aprile 1980 dal Pretore di Reggio Emilia e il 21 luglio 1980 dal Pretore di Messina, rispettivamente iscritte ai nn. 11 e 334 del registro ordinanze 1978, al n. 598 del registro ordinanze 1979, al n. 651 del registro ordinanze 1980 ed al n. 92 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 74 e 271 del 1978, n. 298 del 1979, n. 311 del 1980 e n. 123 del 1981.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
udito l'avvocato dello Stato Paolo D'Amico, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - L'art. 18 legge 2 giugno 1930 n. 733 stabiliva che, a decorrere dal 1 gennaio 1931, l'INADEL avrebbe corrisposto agli impiegati ad esso iscritti obbligatoriamente ai sensi del R.D. 23 luglio 1925 n. 1605 una "indennità premio di servizio" nella misura corrispondente a tanti centesimi dell'ultimo stipendio annuo goduto per quanti erano gli anni di servizio effettivamente prestati presso gli enti locali, disponendo, fra l'altro, come condizioni minime per il conseguimento del diritto, il periodo di 20 anni di servizio effettivo e di sei anni di iscrizione all'Istituto, ed escludendo dal beneficio i dimissionari, i radiati dai ruoli o comunque quelli che cessavano dall'impiego per provvedimenti disciplinari. Con il R.D. 2 novembre 1933 n. 2418 il beneficio veniva esteso ai salariati, alle stesse condizioni sopra ricordate.
Con l'art. 2 della l. 8 marzo 1968 n. 152 le condizioni suddette vennero modificate riducendo a due anni il periodo minimo di iscrizione, e richiedendo (lett. a) dello stesso articolo) 15 anni di servizio per coloro che cessavano dal servizio per limiti di età; 20 anni per coloro che cessavano dal servizio per una delle cause indicate nei numeri da 1 a 6 della lett. b); 25 anni per i dimissionari o per quelli che comunque cessavano dal servizio per cause diverse da quelle sopra indicate (lett. c). Lo stesso art. 2 esentava poi dal limite minimo di durata del servizio e di iscrizione coloro che cessavano per cause che comportavano il diritto alla pensione di privilegio. Inoltre, con l'art. 3, si estendeva il diritto all'indennità premio alla vedova o al vedovo non separati legalmente, a determinate condizioni, nonché alla prole, pure a determinate condizioni, sempreché il dante causa avesse maturato almeno 15 anni di servizio, salvo che concorressero i requisiti per la pensione di privilegio.
La misura dell'indennità, poi, con l'art. 4 veniva determinata, per ogni anno di iscrizione all'Istituto, in un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi considerata in ragione dell'80% ai sensi dell'art. 11 successivo, che stabiliva il contributo previdenziale dovuto per ogni iscritto. Con gli artt. 5, 6 e 7 veniva poi stabilito, a favore di coloro che cessavano dal servizio con almeno un triennio di iscrizione, ma senza diritto all'indennità premio, un assegno vitalizio riversibile, da corrispondere in concorso di determinate condizioni afferenti all'età, alle condizioni di salute, al servizio prestato.
2. - Sulla base delle menzionate disposizioni Elide De Simone ed altri già dipendenti dell'INADEL, chiedevano in un giudizio instaurato avanti al Pretore di Roma, la condanna dell'Istituto al pagamento a loro favore dell'indennità premio ma il convenuto deduceva, fra l'altro, che l'indennità stessa non spettava ai richiedenti, non essendo essa cumulabile con l'indennità di anzianità anche per essi introdotta con l'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70.
Il Pretore, con ordinanza del 23 novembre 1977, ha sollevato d'ufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18 legge 2 giugno 1930 n. 733; 2, 3, 4 della legge 8 marzo 1968 n. 152, nonché dell'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70 per assunto contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo le norme impugnate attribuiscono ai dipendenti dell'INADEL il diritto a percepire congiuntamente, all'atto della cessazione dal servizio, tanto l'indennità premio di fine servizio che l'indennità di anzianità, entrambe aventi funzioni sostanzialmente equivalenti anche se differiscono per natura e struttura.
Il Pretore osserva in particolare che con la norma impugnata si sancisce una duplicazione di trattamento di fine rapporto non potendosi ritenere abrogata la normativa precedente istitutiva dell'indennità premio di fine servizio, il che indurrebbe un irrazionale privilegio rispetto agli altri dipendenti pubblici in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Il Pretore di Roma in analogo giudizio vertente fra Cornetta Eugenio ed altri e l'INADEL, nonché il Pretore di Reggio Emilia nel giudizio vertente fra Borgonovo Emanuele e l'INADEL, con ordinanze emesse rispettivamente il 3 aprile 1978 e il 22 aprile 1980, hanno sollevato identiche questioni.
Lo stesso Pretore di Roma, nel giudizio vertente fra Quartapelle Alberto e l'INADEL, con ordinanza emessa il 16 giugno 1978, torna a sollevare la stessa questione, precisando che le due indennità, anche se in realtà diverse quanto a natura, presupposti e regime giuridico, avrebbero tuttavia l'identica funzione di trattamento economico di fine rapporto, come risulterebbe dall'art. 16 della legge n. 152 del 1968 che esclude, per i dipendenti non di ruolo iscritti all'INADEL, la corresponsione dell'indennità di cessazione dal servizio prevista dalle vigenti disposizioni a favore del personale non avente diritto a pensione, nonché dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che avrebbe escluso la cumulabilità dell'indennità di anzianità con il trattamento previdenziale del personale non di ruolo degli enti locali.
Anche il Pretore di Messina, nel giudizio fra Marzullo Tindaro Vittorio e l'INADEL, con ordinanza del 21 luglio 1980 ha sollevato questione di legittimità analoga alle precedenti, aggiungendo che la duplicazione censurata sarebbe oltre tutto in contrasto con l'esigenza di perequazione delle condizioni giuridiche ed economiche di tutti i dipendenti pubblici enunciata dall'art. 26 della legge n. 70 del 1975.
3. - II Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituito ritualmente nei giudizi provenienti dalle ordinanze del Pretore di Roma del 23 novembre 1977 e 16 giugno 1978, rassegnando identiche deduzioni.
L'Avvocatura sostiene che la legge n. 70 del 1975 avrebbe abrogato la normativa precedente, sia in forza dell'art. 41 della stessa legge che appunto espressamente abroga le "norme incompatibili", sia perché dovendosi comunque ritenere che l'indennità premio sarebbe in sostanza una indennità di anzianità, la legge stessa, da interpretare ovviamente nel senso più conforme alla Costituzione, dovrebbe ritenersi preclusiva della lamentata duplicazione.
In ogni caso rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore regolare il trattamento economico dei dipendenti di alcuni enti pubblici in modo diverso da quanto previsto per altri.
L'Avvocatura osserva altresì che in ogni caso, prima dell'entrata in vigore della legge n. 70 del 1975, la indennità in discorso era ritenuta cumulabile con quella di anzianità ai sensi dell'art. 137 del Regolamento organico dell'Istituto per cui, se mai, la legge impugnata avrebbe addirittura non introdotto ma eliminato la censurata duplicazione.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze sopra indicate riguardano tutte identica questione, ed i relativi giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Con le menzionate ordinanze si censurano l'art. 18 della legge 2 giugno 1930 n. 733, istitutivo dell'indennità premio di fine servizio a favore dei dipendenti dell'INADEL, e gli artt. 2, 3 e 4 della legge 8 marzo 1968 n. 152, che pongono le condizioni per il conseguimento dell'indennità stessa (periodo minimo di due anni di iscrizione all'INADEL e periodo di effettivo servizio variabile da 15 a 25 anni a seconda della causa di cessazione dal servizio), nonché l'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70 concernente l'indennità di anzianità da corrispondere ai dipendenti degli enti pubblici all'atto della cessazione dal servizio, affermandosi che tali norme contrasterebbero con l'art. 3 Cost. in quanto attribuirebbero irrazionalmente ai dipendenti dell'INADEL il diritto a percepire congiuntamente, all'atto della cessazione dal servizio, tanto l'indennità premio che l'indennità di anzianità.
L'esposta prospettazione della questione investe la normativa suddetta dando per ammesso che essa istituirebbe la lamentata duplicazione di indennità. Ciò peraltro deve escludersi perché, per quanto ora si dirà, le disposizioni di legge indicate non costituiscono la fonte della duplice attribuzione.
Invero la legge 2 giugno 1930 n. 733 e quella 8 marzo 1968 n. 152 regolano l'attribuzione dell'indennità premio di fine servizio ai pubblici dipendenti iscritti all'INADEL" mentre l'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70 si limita ad istituire una indennità di anzianità a favore del personale degli enti pubblici all'atto della cessazione dal servizio, nei limiti segnati dall'art. 1 della stessa legge che esclude alcuni enti dall'applicazione di essa. Tale complesso normativo non esprime di per sé l'attribuzione congiunta di entrambe le indennità a favore dei dipendenti dell'INADEL.
Per quanto riguarda detto personale deve ricordarsi infatti che esso fu iscritto obbligatoriamente all'Istituto in base all'art. 8 della successiva legge 14 aprile 1957 n. 259 e che soltanto a seguito di tale iscrizione conseguì titolo di legittimazione a percepire l'indennità premio di fine servizio.
L'indennità di anzianità fu poi attribuita dall'art. 137 del regolamento approvato con D.M. 26 marzo 1963 e confermata dall'art. 13 della legge n. 70 del 1975, essendo l'INADEL compreso fra gli enti pubblici cui la normativa si applica in base alla previsione dell'art. 1 della legge stessa.
Va pure ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto che, pur essendo stata con l'art. 41 della ripetuta legge del 1975 espressamente abrogata ogni contrastante e diversa disposizione, la duplice attribuzione di indennità a favore del personale dell'INADEL trovasse base non già nelle norme censurate ma nell'art. 14 della legge stessa, che fa salvi i diritti degli impiegati ad eventuali trattamenti previdenziali integrativi e nell'art. 137 del Regolamento così come modificato dalla delibera del Consiglio di Amministrazione dell'INADEL n. 342 del 1974, la quale sancì espressamente che "al personale che comunque cessi dal servizio compete una indennità di anzianità di importo pari ad un dodicesimo dell'ultima retribuzione annua commisurata a 15 mensilità dello stipendio lordo in godimento al momento della cessazione dal servizio per ogni anno di servizio prestato o frazione superiore a sei mesi". Ed il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che "in tal modo il personale dell'INADEL é venuto a cumulare due trattamenti di fine servizio: l'indennità di anzianità in quanto dipendente dell'istituto, l'indennità premio di servizio, in quanto iscritto all'Istituto ex art. 8 della legge del 1957 n. 259".
Pertanto le disposizioni di legge sulle quali si incentrano i dubbi di costituzionalità non costituiscono, singolarmente e nel loro complesso, la fonte della duplice attribuzione, potendo questa eventualmente identificarsi in norme diverse da quelle denunciate, attraverso un procedimento interpretativo riservato al giudice di merito.
D'altra parte i giudici a quibus non hanno dato ragione della decisività delle norme censurate, ai fini della definizione del giudizio pendente innanzi ad essi, mentre é costante giurisprudenza della Corte che il giudizio di rilevanza, certamente di competenza del giudice a quo, deve tuttavia essere sufficientemente motivato. Avendo i giudici a quibus indicato norme che non appaiono rilevanti ai fini del giudizio di costituzionalità, si impone la dichiarazione di inammissibiltà delle questioni proposte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 2 giugno 1930, n. 733; degli artt. 2, 3 e 4 della legge 8 marzo 1968 n. 152, nonché dell'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70, sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze del Pretore di Roma del 23 novembre 1977, del 3 aprile e del 16 giugno 1978; del Pretore di Reggio Emilia del 22 aprile 1980 e del Pretore di Messina del 21 luglio 1980.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1983.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO – Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 28 febbraio 1983.