SENTENZA N. 167
ANNO 1982
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 697 e 699 cod. pen., e successive modificazioni contenute nelle leggi 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), e 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), e degli artt. 5 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e 10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, promossi dal Pretore di Chiavenna con tre ordinanze emesse il 22 giugno 1976 e con una ordinanza emessa il 23 novembre 1976, e dal Pretore di Napoli con ordinanza emessa l'8 giugno 1979, rispettivamente iscritte ai nn. 718, 719 e 720 del registro ordinanze 1976, al n. 6 del registro ordinanze 1977 e al n. 937 del registro ordinanze 1979, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4 e 59 del 1977 e n. 50 del 1980.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso dei procedimenti penali a carico di Olivo Enrico, Pasquale Guglielmo e Baldo Lorenzo, imputati di detenzione e porto abusivi di un coltello a serramanico, il Pretore di Chiavenna, con tre ordinanze emesse il 22 giugno 1976, ha denunciato l'illegittimità costituzionale degli artt. 697 e 699 c.p. (modificati dalla legge 2 ottobre 1967, n. 895, e dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato dal combinato disposto della normativa censurata perché, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 497 del 1974, le contravvenzioni concernenti le armi non da sparo verrebbero punite più severamente, pur nella diversità formale delle pene comminate (arresto da un lato e reclusione dall'altro), rispetto ai delitti di detenzione e porto illegale di armi comuni da sparo, per i quali le pene possono essere ridotte di un terzo ai sensi dell'art. 14 legge n. 497 del 1974 ed ulteriormente ridotte, in misura non eccedente i due terzi, in applicazione dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967, quando il fatto debba ritenersi di lieve entità.
Rileva il Pretore (la denuncia investe soprattutto il reato di porto di arma propria da punta e da taglio, pur se nella motivazione e nel dispositivo delle ordinanze si fa cenno anche alla relativa detenzione) che, mentre per colui che porta fuori della propria abitazione o delle adiacenze di essa un coltello a serramanico (arma propria non da sparo per cui non é ammessa la licenza) la pena in concreto da irrogare non può essere inferiore (con la concessione delle circostanze attenuanti generiche) ad un anno d'arresto, per colui che invece porta in luogo pubblico o aperto al pubblico un'arma comune da sparo senza essere in possesso della relativa licenza la pena detentiva minima (tenuto conto delle attenuanti generiche e della attenuante speciale) può scendere fino a soli quattro mesi di reclusione.
Sussiste, quindi, conclude il giudice a quo, una disparità di trattamento fra le due ipotesi sopra considerate in quanto il porto illegale di un'arma da taglio (oggettivamente considerata meno pericolosa di un'arma da sparo) viene ad essere punito con una pena detentiva minima che é il triplo di quella comminata per il porto illegale di arma comune da sparo (e, inoltre, il doppio di quella comminata per il porto di arma da guerra): e "ciò in quanto l'art. 14 della legge n. 497 del 1974, nell'aumentare le pene per le contravvenzioni previste dal codice penale concernenti le armi, non ha previsto l'applicabilità ad esse della speciale attenuante di cui all'art. 5 della legge n. 895 del 1967".
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Deduce l'Avvocatura che le ordinanze di rimessione trascurano un dato "formale" di decisivo rilievo: e cioè che la pena dell'arresto, prevista per la detenzione ed il porto abusivo di armi non da sparo, é qualitativamente meno grave della pena della reclusione prevista per la detenzione e il porto abusivo di armi da sparo. Non é il solo caso, infatti, quello sottoposto all'esame del Pretore, di reato contravvenzionale punito con pena "concretamente" più grave "di altro reato delittuoso": gli stessi artt. 25 e 26 c.p. contemplano per le pene dell'arresto e dell'ammenda massimi ben superiori ai minimi fissati dagli artt. 23 e 24 per la reclusione e per la multa. Ne consegue che, con la proposta questione, il giudice a quo chiede che venga sindacato l'esercizio del potere discrezionale del legislatore di valutare la proporzionale gravità dei diversi fatti criminosi e di graduare le pene rispettivamente applicabili.
Inoltre, il raffronto operato dal Pretore tra il delitto di porto illegale di un'arma comune da sparo e la contravvenzione di porto di un'arma non da sparo per la quale non é ammessa licenza, sulla base esclusivamente della oggettiva pericolosità delle armi considerate, non é "esauriente" perché non tiene conto di altri elementi che rendono le due fattispecie in esame essenzialmente diverse. Nel caso contemplato dall'art. 12 della legge n. 497 (porto illegale di arma da sparo) viene punito il fatto di portare l'arma senza la prescritta licenza, mentre nel caso prefigurato dal secondo comma dell'art. 699 c.p. é punito proprio il fatto di portare l'arma perché la stessa rientra fra quelle di cui é vietato il porto in modo assoluto. Appare del tutto logico, quindi, conclude l'Avvocatura, che il legislatore ordinario abbia valutato diversamente situazioni che si presentano con caratteristiche dissimili.
Gli artt. 697 e 699 c.p. e successive modifiche contenute nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e nella legge 11 ottobre (rectius: 14 ottobre) 1974, n. 497, sono stati di nuovo denunciati dallo stesso Pretore di Chiavenna con ordinanza 23 novembre 1976 emessa nel procedimento penale a carico di Spelzini Gabriele. La motivazione del provvedimento di rimessione é, peraltro, in questo caso, del tutto sommaria facendo il giudice a quo riferimento esclusivo all'ordinanza da lui stesso pronunciata il 22 giugno 1976 nel corso del procedimento penale a carico di Pasquale Guglielmo.
L'Avvocatura dello Stato, intervenuta anche nel presente giudizio, ha svolto deduzioni identiche a quelle sopra illustrate.
2. - Questione analoga ha sollevato il Pretore di Napoli, con ordinanza 8 giugno 1979 pronunciata nel corso del processo penale a carico di De Chiara Mario, imputato di porto abusivo di una "molletta": viene denunciata l'illegittimità costituzionale dell'art. 699, secondo comma, c.p. e degli artt. 5 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, "in quanto tali norme escludono la possibilità di concedere la doppia attenuante (diminuzione della pena fino ai due terzi) per le armi comuni da punta o da taglio per le quali non sia prevista licenza, laddove detta diminuente si applica ai reati in materia di armi comuni da sparo ed armi da guerra (per le quali ultime, pure, non é ammessa licenza), di potenzialità offensiva di gran lunga superiore".
Rileva il giudice a quo che, ai sensi dell'art. 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895, le pene stabilite per i reati concernenti le armi da guerra o parti di esse, munizioni da guerra, esplosivi, di cui al precedente art. 1, possono essere diminuite in misura non eccedente i due terzi; in ogni caso la reclusione non può essere minore a sei mesi.
Per tale limite la Corte di cassazione, dopo contrastanti indirizzi, ha recentemente ritenuto che "lo stesso, invalicabile nel concorso della sola circostanza di cui all'art. 5 legge n. 895 del 1967, deve servire come base per operare la riduzione conseguente alle concesse attenuanti generiche: quindi, possibilità di scendere al di sotto dei sei mesi, con il solo limite di cui all'art. 67, ultimo comma, c.p.". La diminuente - di notevolissima portata in quanto ha effetti pratici superiori a due attenuanti, operandosi in un sol calcolo la riduzione della pena fino a due terzi - si applica anche ai reati in materia di armi comuni da sparo o parti di esse (art. 7 legge n. 895 del 1967).
La Corte di cassazione ha, al riguardo, con costante indirizzo, osservato che "un'interpretazione diversa porterebbe alla assurda conseguenza che fatti aventi ad oggetto armi da guerra o tipo guerra o parti di esse atte all'impiego, qualora debbano ritenersi - per la qualità o quantità delle armi stesse - di lieve entità, sarebbero puniti meno gravemente dei medesimi fatti caratterizzati da un'eguale lieve entità e che abbiano ad oggetto armi comuni da sparo o parti di esse... Ciò non può essere stato voluto dal legislatore del 1974, perché una sì grande disparità di trattamento, oltre che irrazionale ed illogica, sarebbe anche estremamente ingiusta".
La diversità, prosegue il Pretore, risolto il problema perle armi comuni da sparo, si evidenzia palesemente per gli unici reati ai quali, per il difettoso coordinamento delle varie leggi, non si può, in sede interpretativa, applicare la diminuente di cui all'art. 5 legge n. 895 del 1967: i reati in materia di armi comuni da punta e da taglio e, precisamente, di armi che hanno come unica destinazione l'offesa alle persone e che non rientrano, perciò, nell'ambito di operatività dell'art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, armi per le quali non é ammessa licenza e che, ciò non di meno, non rientrano tra quelle da guerra, difettando gli ulteriori requisiti richiesti per tali tipi di arma (il pugnale, ad esempio, che per determinate caratteristiche, presenti spiccata potenzialità offensiva, é arma da guerra, dato che é ancora in dotazione di speciali reparti di azioni di assalto).
Fra le armi da punta e da taglio per le quali non é ammessa licenza rientra certamente la "molletta", il cui porto, secondo la costante giurisprudenza, é punibile ai sensi dell'art. 699, secondo comma, c.p., "in quanto che agli effetti dell'art. 39 t.u. della legge di p.s., sono considerate armi proprie, oltre alle armi da sparo, tutte le altre la cui destinazione é l'offesa alla persona" (l'art. 45 del regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di p.s. comprende espressamente fra gli strumenti da punta e da taglio, la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona, i pugnali e gli stiletti per i quali non è ammessa licenza).
Per il porto di molletta, quindi, la pena minima, in forza del combinato disposto dell'art. 699, secondo comma, c.p. e dell'art. 7 legge n. 895 del 1967 (pena aumentata al triplo) è di diciotto mesi di arresto, "pena assai prossima a quella minima prevista - due anni di reclusione - per il porto di armi da guerra e dei micidiali oggetti elencati nell'art. 1 legge n. 895 del 1967, sulla cui maggiore potenzialità offensiva nemmeno si può fare confronto".
Ma il paradosso - prosegue il giudice a quo - é rappresentato dall'attenuante di cui all'art. 5 che trova applicazione per le armi da guerra, "che sono, sì, armi per le quali non é consentita la licenza, ma con l'ulteriore elemento della loro maggiore potenzialità offensiva; non si applica invece ai reati in materia di armi che presentano solo il primo elemento (non ammissibilità della licenza)".
In sede di applicazione pratica, poi, tra le varie assurdità, é da segnalare quella che, ad esempio, si avrà in materia diporto abusivo di sciabola, se tale arma sarà ritenuta, nel contrasto giurisprudenziale, da guerra: la pena minima, in virtù dell'applicazione della diminuente oggettiva di cui all'art. 5 legge n. 895 del 1967, fuori discussione in casi del genere, sarà notevolmente inferiore (otto mesi di reclusione) a quella che si potrà irrogare nel caso che la detta arma fosse ritenuta non da guerra.
"La conseguenza assurda é, dunque, che, in casi del genere, l'inquadramento del reato fra quelli di cui agli artt. 1, 2, 3, 4 legge n. 895 del 1967 determina una situazione di maggior favore, contrariamente allo spirito della stessa legge che intese, invece, proprio prevedere pene più severe per i reati concernenti le armi da guerra, armi originariamente comprese tutte nell'art. 699, secondo comma, c.p. (armi per le quali non é prevista licenza)".
Anche in tale giudizio ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto - riportandosi sostanzialmente alle deduzioni sub 1 - che la questione venga dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - Le cinque ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche; i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere definiti con un'unica sentenza.
2. - La Corte é chiamata a decidere se il combinato disposto degli artt. 697 e 699, secondo comma, c.p., 5 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, nelle parti concernenti le pene in materia di detenzione e porto abusivo (o illegale) di armi, contrasti con l'art. 3 della Costituzione, in quanto, a seguito dei citati artt. 5 e 7 della legge n. 895 del 1967 (quest'ultimo nel testo sostituito dall'art. 14 della legge n. 497 del 1974), la speciale diminuente prevista dall'art. 5 "in misura non eccedente i due terzi quando, per la quantità o per la qualità delle armi, delle munizioni, esplosivi e aggressivi chimici, il fatto debba ritenersi di lieve entità", é applicabile nei confronti delle armi da guerra o tipo guerra e delle armi comuni da sparo, ma non anche nei confronti delle armi da punta e taglio di cui al secondo comma dell'art. 699 c.p., cioè di quelle armi da punta e taglio per le quali non é ammessa licenza (artt. 42 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e 4 legge 18 aprile 1975, n. 110). Si tratta, in particolare, degli "strumenti da punta e taglio la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili" (v. art. 45 regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di p.s., in relazione all'art. 30 di quest'ultimo, nonché gli artt. 585, secondo comma, n. 1, e 704, n. 1, c.p.), espressamente qualificati armi proprie dallo stesso art. 30 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, cit., a differenza degli strumenti da punta e taglio occasionalmente utilizzati per l'offesa alla persona, nei cui confronti trova ora autonoma applicazione, almeno per il porto non giustificato, l'art. 4, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110.
Ad avviso dei giudici a quibus, la minore potenzialità offensiva, rispetto alle armi comuni da sparo e, più ancora, rispetto alle armi da guerra o tipo guerra, delle armi da punta e taglio, comprese quelle la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona, lungi dal giustificare la disparità di trattamento derivante dalla inapplicabilità a queste ultime della diminuente di cui al citato art. 5, starebbe a dimostrare l'arbitrarietà del maggior favore accordato sotto tale profilo alle armi comuni da sparo (ordinanze del Pretore di Chiavenna) e dalle armi da guerra (ordinanza del Pretore di Napoli): un'arbitrarietà da cui deriverebbero conseguenze assurde, dato che, grazie all'art. 5, la pena detentiva minima applicabile a reati concernenti le armi da guerra o le armi comuni da sparo può scendere al di sotto della pena detentiva minima applicabile ai corrispondenti reati concernenti le armi da punta e taglio la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona.
3. - Va, anzitutto, rilevato che una delle quattro ordinanze emesse dal Pretore di Chivenna, quella del 23 novembre 1976, essendo motivata esclusivamente per relationem ad altra dello stesso Pretore, senza contenere, per giunta, alcun accenno all'art. 5 della legge n. 895 del 1967, ma soltanto un generico, non meglio determinato richiamo ad "una pena di gran lunga superiore" che l'art. 699 c.p. contemplerebbe rispetto "a quella stabilita per un porto di arma da fuoco", manca di riferire sui termini e sui motivi della questione proposta, come é, invece, prescritto dall'art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. In ordine a tale ordinanza si impone, quindi, una declaratoria di inammissibilità.
4. - Quanto alle altre ordinanze, tutte relative a procedimenti penali per detenzione e (o) porto abusivo di coltelli a serramanico o tipo molletta, coltelli ricompresi tra le armi da punta e taglio la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona, i termini, oltreché i motivi, della questione proposta emergono con sufficiente chiarezza, almeno per ciò che attiene alla ricostruzione della normativa vigente.
Va, tuttavia, subito osservato che la questione si pone assai diversamente a seconda che si tratti di detenzione abusiva (o illegale) oppure di porto abusivo (o illegale). Infatti, in ordine al primo tipo di comportamento, la non estensibilità dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967 alle armi da punta e taglio aventi come destinazione naturale l'offesa alla persona non comporta affatto che le pene minime rispettivamente applicabili nei confronti delle armi da guerra e delle armi comuni da sparo attingano livelli inferiori alle pene minime applicabili nei confronti delle predette armi da punta e taglio. Al contrario, quelle pene resteranno pur sempre superiori a queste, anche in caso di applicazione nel massimo della diminuente in esame. Per di più, l'art. 697 c.p. prevede alternativamente la pena dell'arresto o la pena dell'ammenda per la detenzione abusiva di armi da punta e taglio, reato tuttora contravvenzionale, mentre gli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967, nei testi modificati dalla legge n. 497 del 1974, prevedono congiuntamente la pena della reclusione e la pena della multa sia per il delitto di detenzione illegale di un'arma da guerra sia per il delitto di detenzione illegale di un'arma comune da sparo. Donde la non fondatezza della questione per la parte riguardante l'art. 697 c.p. e le altre disposizioni concernenti la detenzione abusiva (o illegale) di armi.
5. - Più complessa si presenta la normativa vigente per quanto concerne le fattispecie di porto abusivo (o illegale) di armi.
A) Sotto una prima prospettiva, attenta alle cosiddette fattispecie - base, il porto abusivo di armi da punta e taglio quali i coltelli a serramanico o tipo molletta, in quanto "armi per cui non é ammessa la licenza", appare tuttora previsto come reato contravvenzionale dall'art. 699, secondo comma, c.p., il quale, dopo il raddoppio e la triplicazione delle pene rispettivamente operati dall'art. 7 della legge n. 895 del 1967 e dall'art. 14 della legge n. 497 del 1974, commina la sanzione dell'arresto da diciotto mesi a tre anni.
A loro volta, il porto illegale di un'arma da guerra ed il porto illegale di un'arma da sparo, in origine punibile anch'essi come contravvenzioni ai sensi dell'art. 699 c.p., sono considerati delitti, il primo a datare dalla legge n. 895 del 1967 (art. 4) e il secondo a datare dalla legge n. 497 del 1974 (art. 14), con la comminatoria, per le armi da guerra, della reclusione da due a dieci anni, oltreché di una multa, e, per le armi comuni da sparo, della reclusione da un anno e quattro mesi a sei anni ed otto mesi, oltreché di una multa ridotta di un terzo rispetto alla multa prevista per il porto illegale di un'arma da guerra. Tutto ciò starebbe a denotare l'adozione di un atteggiamento legislativo ben più severo di quello rivolto alle armi da punta e taglio, anche se non si può non rimarcare che la pena detentiva prevista per il porto illegale di un'arma comune da sparo é inferiore nel minimo alla pena detentiva prevista per il porto abusivo di un'arma da punta e taglio la cui destinazione naturale é l'offesa alla persona. Nel che si ritrova un residuo della normativa anteriore alla legge n. 497 del 1974, allorché il porto abusivo di un'arma comune da sparo, in quanto arma per la quale era (ed é) ammesso richiedere la licenza, veniva punito ai sensi dell'art. 699, primo comma, c.p. e, quindi, meno gravemente del porto abusivo di un'arma da punta e taglio avente come destinazione naturale l'offesa alla persona.
B) Sotto una seconda prospettiva, attenta alle fattispecie circostanziate, il porto abusivo di un'arma da punta e taglio quale un coltello a serramanico o tipo molletta appare, in ogni senso, trattato meno favorevolmente non solo del porto illegale di un'arma comune da sparo, ma addirittura del porto illegale di un'arma da guerra. É questa la prospettiva che agevolmente si coglie dall'angolo visuale della diminuente "in misura non eccedente i due terzi" inizialmente prevista dall'art. 5 della legge n. 895 del 1967 per (fra l'altro) il porto illegale di un'arma da guerra e poi estesa dall'art. 14 della legge n. 497 del1974, che ha sostituito l'originario art. 7 della legge n. 895 del 1967, sino a ricomprendere (fra l'altro), come é ormai pacifico in giurisprudenza, il porto illegale di un'arma comune da sparo, e non anche il porto abusivo di un'arma da punta e taglio avente per destinazione naturale l'offesa alla persona; con la conseguenza che, di fronte ad un fatto da ritenersi di lieve entità, la pena detentiva minima applicabile a quest'ultima figura di reato (diciotto mesi di arresto, riducibili, in caso di concessione delle attenuanti generiche, a dodici mesi) corrisponde ad oltre il triplo della pena detentiva minima comminata per il porto illegale di un'arma comune da sparo (cinque mesi e dieci giorni di reclusione, riducibili, in caso di ulteriore concessione delle attenuanti generiche, a quattro mesi: limite risultante dal rinvio dell'art. 7 della legge n. 895 del 1967, quale modificato dall'art. 14 della legge n. 497 del 1974, all'art. 5 della legge n. 895 del 1967) e ad oltre il doppio della pena detentiva minima comminata per il porto illegale di un'arma da guerra (otto mesi di reclusione, riducibili, in caso di ulteriore concessione delle attenuanti generiche, a sei mesi: limite espressamente previsto dall'art. 5 della legge n. 895 del 1967). Pena, quest'ultima, applicabile anche al porto illegale di un pugnale in dotazione di speciali reparti d'assalto, di per sé arma da punta e taglio, per chi segue la corrente giurisprudenziale che vi ravvisa un'arma da guerra.
6. - La questione non é fondata.
La disparità di trattamento é innegabile, ma essa non appare così palesemente irrazionale da attingere l'arbitrarietà che vorrebbero ravvisarvi le ordinanze di rimessione. La stessa eterogeneità delle fattispecie a confronto, derivante dal nuovo tipo di approccio sanzionatorio messo in atto dal legislatore, dapprima in ordine alle armi da guerra (artt. 1 - 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895) e poi in ordine alle armi comuni da sparo (art. 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, sostitutivo dell'art. 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, particolarmente per quanto riguarda l'attuale primo comma), con il trasformare in delitti comportamenti fino ad allora considerati semplici contravvenzioni, impedisce di qualificare arbitraria una disparità di trattamento che non si estrinseca nel solo elemento differenziatore denunciato.
L'omessa estensione della circostanza prevista dall'art. 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895, ai reati in materia di armi da punta e taglio aventi come destinazione naturale l'offesa alla persona, può ritenersi bilanciata, almeno parzialmente, proprio dalla perdurante classificazione quali contravvenzioni di tali reati: infatti, il trattamento assai più favorevole che, sotto molteplici profili, il legislatore riserva alle contravvenzioni impone di non trascurare, nella comparazione, il peso di tali differenze. E, se é vero che queste sono di portata generale, non mancano neppure alcune differenze specifiche, inerenti all'entità quantitativa delle pene comminate: basta tener presente non tanto il fatto che, per il porto abusivo di armi da punta e taglio aventi come destinazione naturale l'offesa alla persona, é prevista solamente la pena detentiva, mentre per il porto illegale di armi da guerra o di armi comuni da sparo sono previste congiuntamente sia la pena detentiva sia la pena pecuniaria, quanto e soprattutto il fatto che nel massimo le pene detentive comminate per questi delitti sono ben superiori alla pena comminata per quella contravvenzione.
Tutto ciò rispecchia, in definitiva, la ratio che ha indotto il legislatore a prevedere come delitti comportamenti in precedenza sempre considerati contravvenzionali: una scelta politica ispirata, per quanto riguarda le armi da guerra e le armi comuni da sparo, fonti le une e le altre delle più gravi preoccupazioni per la loro indiscriminata diffusione, ad un atteggiamento di deciso rigore, nell'ambito di una normativa eccezionale, anticipatrice della legislazione d'emergenza: un atteggiamento contrassegnato, come si é detto, dal superamento di tutte le più favorevoli prescrizioni operanti nei confronti delle contravvenzioni e dal brusco inasprimento qualitativo e quantitativo delle pene. Ed é appunto tale sensibile inasprimento ad avere suggerito al legislatore di prevedere, per i fatti di lieve entità, meritevoli di indulgenza, un'attenuante del tutto particolare, di portata doppia rispetto alle consuete attenuanti.
Poiché, per quanto riguarda le armi da punta e taglio aventi quale destinazione naturale l'offesa alla persona (come era accaduto, del resto, per le armi comuni da sparo nel periodo intercorso fra l'entrata in vigore della legge n. 895 del 1967 e l'entrata in vigore della legge n. 497 del 1974), il maggior rigore si é limitato ad un semplice aumento quantitativo della pena nella forma indiretta del raddoppio e poi della triplicazione della misura precedente, un'attenuante pari ai due terzi avrebbe, a ben guardare, per buona parte svuotato il fatto dello stesso aumento, unica innovazione in materia. Il che conferma la non arbitrarietà delle sopra indicate differenze prese in considerazione nel loro complesso e, quindi, la non fondatezza della questione.
Provvedere ad un migliore coordinamento della disciplina esaminata compete al legislatore, e non a questa Corte, trattandosi di un'operazione che richiederebbe comunque un intervento complesso, di risistemazione normativa, diretto ad incidere sulla natura e sulla valutazione di fattispecie al momento nettamente disomogenee.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 697 e 699 C.P., e successive modificazioni contenute nelle leggi 2 ottobre 1967, n. 895, e 14 ottobre 1974, n. 497, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dall'ordinanza emessa il 23 novembre 1976 dal Pretore di Chiavenna;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 697 e 699 C.P., 5 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e 10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalle tre ordinanze emesse il 22 giugno 1976 dal Pretore di Chiavenna e dall'ordinanza emessa l'8 giugno 1979 dal Pretore di Napoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.
Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1982.