SENTENZA N. 125
ANNO 1982
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Prof. Giovanni CONSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n. 1407 ("Modifiche alle disposizioni del testo unico sull'opera di previdenza per i personali civile e militare dello Stato, approvato con r.d. 26 febbraio 1928, n. 619") promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 giugno 1976 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Sensini Bianca e l'ENPAS, iscritta al n. 717 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1977;
2) ordinanza emessa il 9 giugno 1976 dal Tribunale amministrativo del Lazio sul ricorso proposto da Papandrea Angelo ed altri contro l'ENPAS, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 107 del 20 aprile 1977;
3) ordinanza emessa il 14 dicembre 1977 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra Maddalena Donata e l'ENPAS, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 154 del 5 giugno 1978.
udito nell'udienza pubblica dell'1 giugno 1982 il Giudice relatore Livio Paladin.
Ritenuto in fatto
1. - In un giudizio instaurato dalla madre superstite di un dipendente statale, per ottenere il pagamento dell'indennità di buonuscita da parte dell'ENPAS, il Pretore di Roma, ritenuta la propria giurisdizione e competenza, ha sollevato con ordinanza del 30 giugno 1976 - questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n.1407,in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38 della Costituzione.
Entrambi i parametri costituzionali sarebbero violati, nella parte in cui la norma impugnata esclude che l'indennità di buonuscita spetti ai genitori, "permanentemente inabili a qualsiasi proficuo lavoro e conviventi a carico dell'impiegato": così discriminandoli rispetto agli aventi diritto, ivi compresi i collaterali superstiti, cui questa Corte ha riconosciuto la spettanza del beneficio in esame, con sentenza n. 82 del 1973. Né la discriminazione sarebbe stata sanata dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, dal momento che esso - osserva il giudice a quo - "non ha efficacia retroattiva e fa esplicitamente salve le previgenti disposizioni".
2. - Nei medesimi termini, ma in riferimento al solo art. 3 Cost., l'art. 5 della legge n. 1407 del 1956 é stato impugnato dal TAR per il Lazio, con ordinanza emessa il 9 giugno 1976,su ricorso proposto dagli eredi della madre superstite di un dipendente pubblico, titolare di pensione indiretta a carico dello Stato. L'ingiustificatezza del deteriore trattamento dei genitori - sostiene infatti il TAR - sarebbe comprovata dalla circostanza che essi si trovano, secondo l'ordine già risultante dall'art. 12 della legge n. 46 del 1958 e poi ribadito dall'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, "in una posizione poziore rispetto alle sorelle e ai fratelli inabili", aventi diritto all'indennità di buonuscita per effetto della ricordata decisione della Corte.
Un'impugnativa sostanzialmente identica é stata poi sollevata dal Pretore di Bari, con ordinanza del 14 dicembre 1977, che fa per altro richiamo, oltre che al principio costituzionale di eguaglianza, anche agli artt. 36 e 38 Cost. Secondo il giudice a quo, le stesse ragioni enunciate dalla Corte nella sentenza n. 82 del 1973 sarebbero applicabili al caso dei genitori, in quanto anch'essi hanno diritto alla pensione di riversibilità,ed anzi "con precedenza rispetto alle sorelle e ai fratelli". Inoltre, dato il carattere lato sensu retributivo dell'indennità di buonuscita, la circostanza che essa non sia corrisposta ai genitori stessi verrebbe a menomare il "trattamento economico" spettante agli impiegati deceduti; né, d'altro canto, il diverso regime dell'indennità di buonuscita e della pensione potrebbe conciliarsi con le previsioni dell'art. 38.
3. - In nessuno dei tre giudizi vi sono stati interventi del Presidente del Consiglio dei ministri, né costituzioni di parte.
Considerato in diritto
1. - I giudizi predetti vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
Le tre ordinanze di rimessione sono infatti accomunate dall'impugnazione dell'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n. 1407 (sostitutivo dell'art. 52 del r.d. 26 febbraio 1928, n. 619), nella parte in cui tale normativa non prevede - come specifica il Pretore di Bari - che "l'indennità di buonuscita spetti, in caso di morte dell'impiegato, ai genitori inabili a qualsiasi proficuo lavoro e conviventi e a carico dell'impiegato". Disponendo che l'indennità in questione venga corrisposta "al coniuge superstite avente diritto a pensione indiretta", ovvero (in mancanza del coniuge o se questi non vi abbia diritto) "alla prole minore ed alle figlie nubili maggiorenni, nonché ai figli maggiorenni inabili a proficuo lavoro", ad esclusione dei genitori sia pure inabili, la normativa stessa violerebbe in primo luogo il principio di eguaglianza; e inoltre si porrebbe in contrasto con altri parametri costituzionali, rappresentati dall'art. 38, cui fanno riferimento i Pretori di Roma e di Bari, ed anche dall'art. 36, espressamente richiamato nell'ordinanza di quest'ultimo giudice.
2. - La questione é fondata.
Mediante la sentenza n. 82 del 1973, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5 della legge n. 1407 del 1956, "nella parte in cui esclude che l'indennità di buonuscita spetti alle sorelle ed ai fratelli inabili permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro conviventi a carico dell'impiegato". Quella mancata previsione dell'art. 5 é stata, cioè, ritenuta lesiva del principio generale di eguaglianza, in quanto discriminante fra i collaterali e le altre categorie di superstiti considerate a tal fine dalla legge, sebbene anche i primi presentassero "le stesse note caratterizzanti", ivi compreso il diritto al trattamento pensionistico.
Le medesime considerazioni impongono ora, a più forte ragione, che la Corte accolga la proposta impugnativa, anche per quanto concerne l'esclusione dei genitori. In base all'art. 12,penultimo comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46, si era già previsto che, ove non sopravvivessero né il coniuge né figli aventi diritto alla pensione, la reversibilità spettasse, "nella stessa misura stabilita per la vedova, al padre o, in mancanza, alla madre", sempre che di "età superiore ad anni sessanta" oppure "inabili al lavoro proficuo,... nullatenenti e... a carico del deceduto". Ed anzi, a questi effetti, i genitori avevano la precedenza sui collaterali inabili e conviventi a carico dell'impiegato, cui spettava la pensione in base all'ultimo comma del citato art. 12, ma solo ove mancasse ogni altro avente diritto.
Non a caso, subito dopo la ricordata decisione della Corte, é sopravvenuto il d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (recante il nuovo "testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato"), che all'art. 5, primo comma, ha coerentemente previsto: "In caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l'indennità di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al dipendente, compete, nell'ordine, al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle che conseguano il diritto alla pensione di riversibilità". Ma tale disposizione non vale a risolvere il problema in esame, vista l'applicabilità delle "norme anteriori", statuita dall'art. 52 del medesimo decreto, con espresso riferimento alle indennità di buonuscita oltre che agli assegni vitalizi, quanto alle cessazioni dal servizio ed ai decessi verificatisi "anteriormente alla data di entrata in vigore del presente testo unico".
Per il passato va dunque pronunciato l'annullamento dell'art. 5 della legge n. 1407 del 1956, in termini analoghi a quelli risultanti dalla sentenza n. 110 del 1981, circa l'art. 3 della legge 8 marzo 1968, n. 152 (in tema di previdenza per il personale degli enti locali). Allora, la Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale della norma in questione, nella parte in cui essa non comprendeva "tra le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità premio di servizio nella forma indiretta, rispettando l'ordine di precedenza indicato dall'art. 7 della legge 22 novembre 1962, n. 1646, i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo lavoro, nullatenenti e a carico dell'iscritto". Corrispondentemente, la norma impugnata va ora annullata nella parte in cui esclude i genitori, alle condizioni e secondo l'ordine di precedenza previsti dall'art. 12 della legge n. 46 del 1958, vigente al tempo in cui sono insorte le controversie che i giudici a quibus debbono risolvere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n. 1407, sostitutivo dell'art. 52 del r.d. 26 febbraio 1928, n. 619 (testo unico sull'opera di previdenza per i personali civile e militare dello stato), nella parte in cui non comprende tra le categorie dei superstiti aventi diritto all'indennità di buonuscita, rispettando l'ordine di precedenza indicato dall'art. 12, penultimo ed ultimo comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46, i genitori ultrasessantenni o inabili a proficuo lavoro, nullatenenti e a carico dell'iscritto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1982.
Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'8 luglio 1982.