Sentenza n. 110 del 1982
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SENTENZA N. 110

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 112,comma 2, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) promossi dal Pretore di Salerno con ordinanza emessa il 23 giugno 1975 e dal Tribunale di Torino con due ordinanze emesse il 17 ottobre 1979 e con due altre emesse il 15 novembre 1979 e il 29 febbraio 1980,rispettivamente iscritte al n. 35 del registro ordinanze 1976,ai nn. 918 e 922 del registro ordinanze 1979 ed ai nn. 90 e 286 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 1976 e nn. 50, 43, 98 e 159 del 1980.

Visti gli atti di costituzione dell'INAIL e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi l'avv. Pasquale Napolitano, per l'INAIL e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 23 giugno 1975 nel procedimento civile vertente fra Bisogno Antonino e l'INAIL, il Pretore di Salerno ha sollevato, in relazione agli artt. 76, 77 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 112, secondo comma, del T.U. 30 giugno 1965, n. 1124, che prevede il termine di un anno per la prescrizione dell'azione dell'INAIL per la riscossione dei premi di assicurazione dovuti dai datori di lavoro, prescrizione invocata appunto dal Bisogno, opponente contro l'ingiunzione di pagamento della somma di L. 139.143 intimatagli dall'INAIL al detto titolo.

Il giudice a quo, a fondamento della censura, osserva che la norma impugnata, emanata in base alla legge di delegazione19 gennaio 1963, n. 15, avrebbe ecceduto dai principi e criteri direttivi contenuti nella delega, concernenti, tra l'altro secondo il giudice: "le esigenze di coordinamento e di rispetto dei principi generali che presiedono alla legislazione previdenziale, ispirati alla realizzazione di un equilibrio fra la tutela garantita all'Istituto per il conseguimento dei mezzi di finanziamento necessari ad assicurare le prestazioni e la tutela garantita al titolare delle prestazioni medesime". Invero, mentre in attuazione della delega, con il d.P.R. n. 1124, i termini per l'esercizio delle azioni derivanti dal rapporto assicurativo e in particolare quelle per l'azione dell'assicurato per ottenere la prestazione sono stati portati a tre anni, solo quello per la riscossione dei premi di assicurazione sarebbe rimasto di un solo anno, ingenerando appunto lo squilibrio lamentato.

Inoltre la norma impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 24 della Costituzione perché il termine di un anno sarebbe incongruo e renderebbe particolarmente difficile all'Istituto l'esercizio dell'azione, non considerando la struttura e l'ambito di operatività dell'ente in correlazione all'interesse pubblico particolarmente rilevante in materia.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla G.U. n. 65 del 10 marzo 1976.

In questa sede si é costituito l'INAIL in persona del presidente "pro tempore" rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Cataldi e Tommaso Fontana, che hanno depositato tempestivamente le proprie deduzioni con cui, condividendo sostanzialmente le censure esposte nell'ordinanza di rinvio, fanno espresso riferimento alla formula testuale della legge n. 15 del 1963, che, nel conferire la delega (art. 30), espressamente assegnava al governo il fine di conseguire "più idonei controlli sugli obblighi assicurativi più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempimenti", fine col quale contrasterebbe appunto la mancata estensione a tre anni anche del termine in questione.

É intervenuto ritualmente il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva anzitutto che in effetti, il legislatore delegato, mentre ha allineato al termine di tre anni, stabilito peraltro direttamente dalla legge delega per l'esercizio del diritto al conseguimento delle prestazioni, i termini per l'esercizio delle azioni di responsabilità civile contro il datore di lavoro e contro il lavoratore in dolo nonché dell'azione di regresso esperibile nei loro confronti, non ha modificato il termine in questione, la cui misura é rimasta la stessa prevista dall'art. 67 del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765. Tuttavia, prosegue l'Avvocatura, dovrebbe dubitarsi che nella mancata modifica del termine in questione possa configurarsi una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

A tutto concedere, invero, potrebbe ritenersi che il Governo ha esercitato il potere conferitogli in modo incompleto, ma non che abbia violato i precetti di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione, difettando una concreta violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delegazione.

La questione comunque sarebbe infondata.

Infatti, non esisterebbe un parallelismo necessario fra l'azione per la riscossione dei premi e quella per conseguire le prestazioni assicurative. il prolungamento del termine di esercizio di quest'ultima rendeva necessaria solo una misura analoga per l'azione di regresso la cui esperibilità é legata ovviamente all'avvenuto esercizio dell'azione dell'assicurato ma nessun consimile rapporto di dipendenza invece esisterebbe fra l'azione per il conseguimento delle prestazioni e quella per la riscossione dei premi.

Né potrebbe configurarsi una violazione dell'art. 24 della Costituzione poiché la costante giurisprudenza di questa Corte avrebbe stabilito che lesione del diritto di difesa si ha solo quando l'irrazionale brevità del termine renda meramente apparente o estremamente difficile la possibilità del suo esercizio, mentre ciò non potrebbe dirsi del termine in questione, in vigore da molti decenni senza che inconvenienti del genere si siano verificati.

Nel corso di altri quattro analoghi giudizi, pendenti fra Vispi Antonio, Vergini Maria Luisa, Coffano Lucia, Altilia Pasquale e l'INAIL, il Tribunale di Torino, con ordinanze emesse rispettivamente il 17 ottobre 1979 per quanto riguarda i primi due giudizi, nonché il 15 novembre 1979 ed il 29 febbraio 1980, ha sollevato questione identica alla precedente, limitatamente alla pretesa violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, riproponendo le argomentazioni già esposte nell'ordinanza del Pretore di Salerno, con puntuale riferimento alla formula letterale dell'art. 30 della legge delega.

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate rispettivamente sulla G.U. n. 50 del 20 febbraio 1980 la prima, n. 43 del 13 febbraio 1980 la seconda, n. 98 del 9 aprile 1980 la terza e n. 159 dell'11 giugno 1980 la quarta.

Si é in questa sede costituito l'INAIL in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Cataldi e Pasquale Napolitano, che in tutti i predetti giudizi hanno depositato tempestivamente deduzioni con le quali ribadiscono le argomentazioni già svolte nelle difese relative al giudizio proveniente dal Pretore di Salerno.

In particolare, nelle difese concernenti il giudizio istituito con l'ordinanza 29 febbraio 1980, si ricorda che la norma impugnata é stata modificata con la 1. 29 febbraio 1980, n. 33 che ha portato a tre anni anche il termine in questione, "eliminando la lamentata discrasia" e sostiene che ciò confermerebbe la fondatezza della censura.

In tutti i giudizi suddetti, tranne quello vertente fra Vispi Antonio e l'INAIL é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente deduzioni di identico tenore con le quali insiste sull'infondatezza della questione svolgendo ulteriori argomentazioni.

Afferma l'Avvocatura, in primo luogo, che la norma impugnata costituirebbe una mera riproduzione dell'art. 67 del R.D. n. 1765 del 1935, per cui non sarebbe pertinente il richiamo all'art. 30 della legge delega n. 15 del 1963, che avrebbe posto principi e criteri direttivi con riguardo soltanto alle "innovazioni" che il Governo avesse inteso apportare in sede di attuazione della delega.

Comunque, non sarebbe discutibile la congruità del termine, anche in vista della interpretazione giurisprudenziale secondo cui la prescrizione annuale si riferisce alla sola azione diretta al soddisfacimento di crediti già accertati e liquidati, mentre l'azione rivolta all'accertamento e alla liquidazione é soggetta alla ordinaria prescrizione decennale. Inoltre l'Avvocatura ribadisce la esclusione di una immediata e diretta correlazione fra l'azione dell'Istituto contro il datore di lavoro inerente al rapporto contributivo, e l'azione dell'assicurato per ottenere le prestazioni, inerente al rapporto previdenziale e, come tali, ispirate ad esigenze diverse; onde il diverso termine prescrizionale non comprometterebbe l'equilibrio fra contribuzione e prestazione e non frustrerebbe quindi i più idonei controlli sugli obblighi assicurativi e sulle più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempienti di cui all'art. 30 della legge di delega.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di cui in narrativa sollevano questioni sostanzialmente identiche, ed i relativi giudizi vanno quindi riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Nel R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 (art. 67), conformemente alla precedente legislazione in materia di assicurazioni sociali contro gli infortuni sul lavoro, era previsto il termine unico di un anno per la prescrizione delle azioni nascenti dal rapporto assicurativo, coincidente con quello previsto dall'art. 924 del Codice di commercio e riprodotto dall'art. 2952 del Codice civile per le azioni in materia di assicurazioni.

Intervenne poi la L. 19 gennaio 1963, n. 15 che, innovando sotto vari aspetti la precedente disciplina, prolungò a tre anni il termine di prescrizione dell'azione dell'assicurato tendente ad ottenere le prestazioni e conferì (art. 30), altresì, al Governo una delega legislativa per apportare "modifiche, correzioni, ampliamenti, e ove occorra soppressioni delle norme vigenti, riordinandole e riunendole in un solo procedimento legislativo".

In esecuzione della delega, il Governo emanò il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, allineando fra l'altro i termini per l'esercizio delle varie azioni derivanti dal rapporto assicurativo, portati a tre anni, con esclusione di quello concernente l'azione dell'Istituto per la riscossione dei premi assicurativi, rimasto di un anno.

3. - La Corte é chiamata ora a decidere anzitutto dell'art. 112, secondo comma, del detto T.U., che stabilisce appunto la permanenza del detto termine più breve, abbia ecceduto dai principi e criteri direttivi contenuti nella delega e sia così in contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Sostanzialmente i giudici a quibus osservano che, mentre il menzionato art. 30 prescriveva specificamente che il Governo attuasse la delega in modo che "ogni innovazione", tra l'altro, tendesse a conseguire "più idonei controlli sugli obblighi assicurativi e più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempienti", il Governo stesso, col riprodurre letteralmente quanto disposto dal 2 comma del citato art. 67, lungi dall'osservare l'esigenza di coordinamento, connaturata ai criteri direttivi suddetti, avrebbe determinato una rottura dell'equilibrio fra la tutela garantita all'Istituto per il conseguimento dei mezzi di finanziamento necessari ad assicurare le prestazioni e la tutela garantita ai destinatari delle prestazioni stesse.

4. - Occorre premettere che, secondo l'Avvocatura, sarebbe fuori luogo il richiamo alle norme costituzionali in materia di delega legislativa giacché, se mai, nella specie potrebbe ravvisarsi una forma di esercizio incompleto della delega, che non potrebbe comportare violazione degli artt. 76 e 77 e non potrebbe quindi dar luogo ad una concreta violazione dei principi e criteri direttivi della delegazione. E ciò tenuto anche conto che la norma impugnata si limiterebbe a riprodurre letteralmente il 2 comma dell'art. 67 sopra richiamato, mentre i criteri e principi direttivi avrebbero riguardato soltanto le "innovazioni" che il Governo avesse effettivamente apportato nell'esercizio del suo potere delegato.

In contrario peraltro deve obbiettarsi che, se é pur vero che la norma impugnata riproduce quella a suo tempo sancita dal 2 comma dell'art. 67 del R.D. del 1935, non per questo può affermarsi che, sul punto, la delega non sia stata esercitata o sia stata esercitata in modo incompleto, giacché la disposizione della legge delegata crea una norma nuova, anche se riproduttiva di quella precedente. Secondo la migliore dottrina, invero, non é dubbio che il testo unico, come le altre norme delegate, é testo legislativo ed ha effetto abrogante della disciplina precedente nel campo da esso regolato.

5. - La questione peraltro non é fondata.

Al riguardo occorre anzitutto rilevare che, come sopra si é detto, il legislatore delegante ha direttamente elevato a tre anni il termine di prescrizione dell'azione spettante all'assicurato per conseguire le prestazioni a carico dell'Istituto. Ciò dimostra che il legislatore stesso non considerava essenziale mantenere un trattamento identico per tutte le azioni derivanti dal rapporto assicurativo, quanto ai termini di prescrizione, poiché, ove ciò avesse ritenuto, avrebbe provveduto in quella sede ad elevare nella stessa misura tutti i termini relativi. Né, d'altra parte, nella formula di delegazione sopra riferita é dato rinvenire uno specifico indirizzo in tal senso, non potendosi ovviamente attribuire consimile significato alle espressioni ivi contenute, che si limitano a prescrivere l'adozione di "più idonei controlli sugli obblighi assicurativi" e di "più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempienti"; il che non necessariamente comporta il prolungamento del termine di prescrizione in esame, prolungamento che ovviamente non può qualificarsi come una misura più o meno strettamente indispensabile al conseguimento dei fini prescritti dal legislatore delegante e, come tale, pertanto restava nell'ambito della discrezionalità del Governo. E se questo ultimo ha portato a tre anni anche il termine di prescrizione dell'azione di regresso dell'Istituto nei confronti dell'eventuale responsabile civile, ciò si é reso necessario per coordinare il termine dell'anzidetta prescrizione con quello dell'altra riguardante l'azione dell'assicurato per conseguire le prestazioni, al fine di impedire pregiudizi all'assicuratore.

Come già questa Corte ha avuto occasione di affermare, "si rendeva invero necessario eliminare la discordanza sorta fra i termini temporali dell'azione relativa al conseguimento delle prestazioni (tre anni) e dell'azione di regresso (un anno) giacché l'esperimento di questa veniva reso impossibile tutte le volte che la prima fosse stata proposta dopo la data di scadenza del termine previsto per esercitare il regresso; termine che inizia dalla pubblicazione della sentenza emessa nel giudizio penale istituito contro chi abbia causato l'infortunio. Il che avrebbe potuto facilmente verificarsi quando il processo penale, specie se venisse a estinguersi per amnistia o per morte dell'imputato, avesse avuto breve o brevissima durata" (v. sent. n. 78 del 27 aprile 1972).

Né il prospettato squilibrio che deriverebbe dalla differenza fra i termini di prescrizione delle azioni dell'Istituto e degli assicurati può considerarsi argomento valido a contrastare le esposte considerazioni.

Invero, secondo le ordinanze di rimessione il supposto squilibrio si sostanzierebbe in una ridotta possibilità dell'Istituto di reperire i mezzi finanziari necessari alla somministrazione delle prestazioni, a fronte del più ampio spazio concesso all'assicurato per conseguirle, mentre é evidente che la comparazione delle due situazioni é fuori luogo, in quanto presuppone una interdipendenza funzionale fra richiesta e prestazioni che non sussiste, trattandosi di situazioni autonome, posto che l'Istituto é tenuto alle prestazioni anche in difetto del pagamento dei premi da parte del datore di lavoro.

Se poi il legislatore, recentemente, (L. 29 febbraio 1980, n. 33 art. 4) ha elevato a tre anni il termine censurato, ciò rientra nelle sue valutazioni discrezionali e non comporta inosservanza dei criteri e principi direttivi sanciti dalla legge delega.

6. - Del pari non fondata é l'altra censura mossa dal solo Pretore di Salerno in riferimento alla pretesa violazione dell'art. 24 della Costituzione.

É invero giurisprudenza costante di questa Corte che l'incongruità di un termine di prescrizione può ammettersi quando esso sia di tale durata da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, appaia inoperante la tutela accordata al soggetto titolare del diritto.

Ora non può dirsi, ad avviso della Corte, che il termine in contestazione sia talmente breve da frustrare le esigenze della protezione giuridica dell'Istituto. E ciò tanto più che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la prescrizione annuale in esame si riferisce alla sola azione diretta al recupero dei crediti già accertati e liquidati, mentre l'azione rivolta all'accertamento ed alla liquidazione di essi deve considerarsi soggetta alla prescrizione ordinaria di dieci anni, decorrenti dall'inizio dei lavori cui attenga l'obbligo assicurativo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 112, secondo comma, del T.U. approvato cond. P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), proposte in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione dal Pretore di Salerno ed in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione dal Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 giugno 1982.