SENTENZA N. 179
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Edoardo VOLTERRA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma terzo, del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324 (Modificazioni al r.d.l. 9 novembre 1919, n. 2239, sulla Cassa nazionale del notariato) convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1975 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Brucato Maria Pia ved. Turchio e la Cassa nazionale del notariato, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 17 settembre 1975.
Visti gli atti di costituzione di Brucato Maria Pia ved. Turchio, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Cacciavillani, e della Cassa nazionale del notariato, rappresentata e difesa dall'avv. Emilio Sivieri;
udito, nell'udienza pubblica del 21 settembre 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi gli avvocati Luigi Cacciavillani per Brucato Maria Pia ved. Turchio ed Emilio Sivieri per la Cassa nazionale del notariato.
Ritenuto in fatto
1. - Sul presupposto che il trattamento di quiescenza previsto dall'art. 3, terzo comma, del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, sulla Cassa nazionale del notariato, convertito in legge dalla legge 17 aprile 1925, n. 473, si applichi esclusivamente ai notai e non sia suscettibile di estensione alle persone temporaneamente autorizzate, ai sensi dell'art. 6 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, sull'ordinamento del notariato, all'esercizio delle funzioni notarili, e ritenendo che ciò dia luogo ad una possibile violazione degli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, il tribunale di Roma, con ordinanza 23 maggio 1975, ha promosso, nei confronti della suddetta disposizione, giudizio di legittimità costituzionale.
La questione è sorta nel corso di una controversia fra la sig.ra Maria Pia Brucato e la Cassa del notariato, in seguito al rigetto, con deliberazione della Commissione amministratrice dell'ente, della domanda di pensione che la sig.ra Brucato aveva inoltrato, per sé e per tre figli minori, come vedova del dott. Aldo Turchio, già esercente funzioni notarili in Ustica ai sensi del citato art. 6 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, il quale prevede che nelle isole, dove non esiste alcun notaro, possa essere temporaneamente autorizzato ad esercitarne le funzioni uno degli aspiranti al notariato che, fornito dei requisiti necessari per la nomina (come appunto il dott. Turchio), ne faccia domanda.
In seguito a decreto di autorizzazione del Presidente della Repubblica, emesso il 1 novembre 1956, il dott. Turchio aveva ininterrottamente esercitato, nella suddetta località, le funzioni notarili, fino alla sua morte avvenuta, dopo quasi tredici anni, il 7 luglio 1969. Fin da principio egli era stato iscritto, d'ufficio, alla Cassa del notariato, ed aveva versato i relativi contributi. Col rigetto della domanda di pensione avanzata dalla vedova, però, tali contributi le erano stati restituiti. Con lo stesso provvedimento la Cassa del notariato decideva tuttavia di corrispondere alla sig.ra Brucato, a partire dal 1 gennaio 1970, un assegno assistenziale annuo a tempo indeterminato, di lire 960.000, ripartibile in dodici rate mensili.
Contro il diniego della pensione, motivato dalla Cassa in base al citato art. 3, terzo comma, del decreto-legge n. 1324 del 1923, che prevedeva la costituzione di una cassa pensioni a favore dei notai cessati dall'esercizio e delle loro famiglie, la sig.ra Brucato, respinto un suo primo ricorso, in via amministrativa, dal Ministro per la grazia e giustizia, che aveva confermato i provvedimenti della Cassa, e dichiarato dal Consiglio di Stato, successivamente adito, il proprio difetto di giurisdizione, aveva citato la Cassa innanzi al pretore di Palermo, in qualità di giudice del lavoro, perchè le fosse riconosciuto il diritto alla pensione. Il pretore, però, avendo escluso che la causa proposta rientrasse fra quelle riguardanti forme di previdenza e assistenza obbligatorie demandate al giudice del lavoro, rimetteva le parti per la trattazione del giudizio nelle forme ordinarie davanti al tribunale di Roma, sede della Cassa del notariato.
Riassunta la causa dinanzi al tribunale di Roma, la sig.ra Brucato, nel riproporre, in via principale, l'istanza di pensione, aveva in via subordinata formulato, riguardo al citato art. 3, terzo comma, del decreto-legge n. 1324 del 1923, con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, eccezione di illegittimità costituzionale. Il tribunale, ritenuta la questione rilevante, e, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, non manifestamente infondata, con la menzionata ordinanza, sospeso il giudizio, ha ordinato la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Nel motivare l'ordinanza di rinvio, il giudice a quo, dopo avere sottolineato che nella norma impugnata sono testualmente indicati, quali destinatari della pensione, i "notari" cessati dall'esercizio della loro attività e le loro famiglie, osserva che nell'ordinamento del notariato la qualità di notaro appare riservata, in via esclusiva, a coloro che, in possesso dei requisiti previsti, e riusciti vincitori nel pubblico concorso nazionale, abbiano ottenuto la nomina a notaro. Lo confermano, stabilendo fra "notai" ed "esercenti" una netta contrapposizione, sia l'art. 6 della legge notarile, nel prevedere che l'autorizzazione all'esercizio delle funzioni notarili è consentita solo con riguardo a località "dove non esiste alcun notaro", sia l'art. 93 del regolamento di esecuzione (approvato con r.d. 10 settembre 1914, n. 1326) col disporre che fanno parte del Collegio notarile ed hanno diritto di intervenire alle adunanze, "quantunque non rivestano la qualità di notaro", anche coloro che sono autorizzati ad esercitarne temporaneamente le funzioni giusta il disposto dell'art. 6 della legge.
Pertanto, non potendo, a giudizio del tribunale, la disposizione dell'art. 3 della legge sulla Cassa del notariato interpretarsi in modo da suffragare un immediato accoglimento della domanda dell'attrice, diventa decisiva, e perciò rilevante, la sollevata eccezione di incostituzionalità.
In proposito, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il tribunale osserva, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, che l'esclusione degli esercenti le funzioni notarili dalle forme di previdenza assicurate ai notai, sembra travalicare i limiti della razionale discrezionalità spettante in materia al legislatore. Se è vero infatti che gli esercenti le funzioni notarili non posseggono lo status professionale del notaio, è innegabile che dal giorno della loro iscrizione nel ruolo dei notari esercenti nel Collegio, previa gli adempimenti (prestazione di idonea cauzione, giuramento, ricevimento del sigillo notarile, ecc.), richiesti, come per i notai, anche per essi, dagli artt. 18 e 24 della legge notarile, ne esercitano "nomine proprio" tutte le funzioni. Il diverso trattamento delle due categorie ai fini previdenziali non sarebbe quindi giustificato.
Ad avviso del tribunale, il prospettato contrasto della denunciata disposizione con le norme della Costituzione appare ancor più evidente se si fa riferimento all'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Secondo il giudice a quo tale precetto, immediatamente operativo nell'ordinamento giuridico, non si riferisce soltanto ai lavoratori subordinati, dovendo piuttosto ritenersi, anche in considerazione della generalità del principio di solidarietà sociale a cui si ispira, che abbracci nel suo ambito anche i lavoratori autonomi. Categoria, questa, nella quale non sembra illogico comprendere gli esercenti le funzioni notarili, i quali prestano attività intellettuale in corrispettivo di onorari stabiliti dalla legge ed in modo continuativo, sin quando, almeno, l'autorizzazione temporanea non venga revocata, o intervenga altra causa di cessazione dall'ufficio.
In questa prospettiva la norma impugnata, in quanto non prevede il trattamento di quiescenza a favore degli esercenti funzioni notarili e delle loro famiglie, è sospetta di illegittimità costituzionale.
2. - Adempiute le formalità di rito per le comunicazioni e la pubblicazione dell'ordinanza di rinvio, sia la sig.ra Brucato sia la Cassa del notariato si sono costituite innanzi a questa Corte.
Nell'atto di deduzioni, in data 10 luglio 1975, la difesa della sig.ra Brucato si riporta integralmente ai motivi esposti nel provvedimento di rimessione, nonché agli scritti difensivi da essa già presentati nel giudizio di merito, concludendo per la dichiarazione di incostituzionalità della disposizione impugnata, e con essa di ogni altra norma connessa e comunque rilevante ai fini del giudizio di merito, in quanto in contrasto con i principi fissati dagli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione.
Dal suo canto la difesa della Cassa del notariato, nell'atto di costituzione in data 4 agosto 1975, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Secondo la Cassa, il tribunale, nel sollevare la questione di costituzionalità dell'art. 3, terzo comma, del decreto-legge n; 1324 del 1923, in quanto non prevede trattamento di quiescenza a favore degli esercenti funzioni notarili e delle loro famiglie, avrebbe tralasciato di considerare, agli effetti della rilevanza, che il sindacato che si è chiesto alla Corte costituzionale di esercitare, sostanzialmente rivolto contro il mancato esercizio di un'attività legislativa intesa a regolare la posizione di previdenza degli appartenenti a quella categoria, non poteva essere introdotto attraverso l'impugnazione di una norma posta in essere per regolare la materia della previdenza dei notai e delle loro famiglie, e cioè di una categoria di soggetti distinta e diversa dai suddetti incaricati, che notai non sono perchè non ne posseggono lo stato ed operano solo per il tempo, essenzialmente limitato, di durata dell'incarico.
Cosicché, in mancanza, nel caso, di una norma di legge ordinaria impugnabile per contrasto con i precetti della Costituzione, il requisito della rilevanza si dimostrerebbe insussistente, erroneo il giudizio espresso dal giudice a quo nell'affermarlo, e la questione di legittimità costituzionale conseguentemente inammissibile.
Riguardo al merito della questione, la difesa della Cassa sostiene che l'esclusione degli esercenti temporanei di funzioni notarili dalle forme di previdenza obbligatorie per i notai, risponde alla intrinseca diversità delle situazioni considerate, e non può quindi ritenersi frutto di scelte arbitrarie od irrazionali, ma rientra nei modi legittimi di esercizio del potere legislativo.
Oltre alla diversità dei sistemi di nomina da cui i notai, da una parte, e gl'incaricati, dall'altra, traggono la legittimazione della loro attività, va infatti considerato che, se anche i secondi esercitano, sotto il controllo dell'autorità di vigilanza, con assunzione di responsabilità civili, penali e amministrative, e con percezione di onorari, le funzioni notarili, le esercitano nondimeno soltanto in via precaria e transitoria, e senza mai assumere quella posizione di stabilità e permanenza nell'ufficio, che caratterizza lo status di notaio.
Lungi dal perdere valore per il fatto che si verte in materia previdenziale, l'elemento della temporaneità e precarietà dell'incarico svolto dagli esercenti funzioni notarili, costituirebbe, secondo la difesa della Cassa, il vero criterio discriminativo fra le due categorie, ed avrebbe un valore determinante proprio ai fini del previsto trattamento di quiescenza. É chiaro infatti - si sostiene - che chi, come il notaio, assolve un'attività permanente di durata prestabilita, destinata a proseguire fino al verificarsi di determinate condizioni, tassativamente previste, deve fruire di un trattamento previdenziale che si rifà a precisi criteri di probabilità e a coefficienti fissati in relazione agli anni di esercizio, nell'ambito di un quarantennio di attività professionale, mentre non può aspirare al medesimo trattamento chi, come l'esercente funzioni notarili, svolge un'attività iniziatasi sotto il segno della precarietà e dell'accidentalità, che prosegue finché non sia fatta cessare, e può durare o meno, non essendo previsto, né prevedibile, per essa un normale periodo di permanenza e giuridica continuità.
Oltre al motivo di illegittimità costituzionale prospettato nell'ordinanza di rinvio in base all'art. 3, anche quello accolto in riferimento all'art. 38, comma secondo, della Costituzione, sarebbe destituito di fondamento. Secondo la Cassa, infatti, anche ammesso che, come affermato dal tribunale, questo precetto costituzionale abbia valore di principio fondamentale e immediatamente operativo, sarebbe innegabile che esso si limita a porre una direttiva per il legislatore ai finì degl'interventi che esso deve compiere, ai sensi del quarto comma dello stesso art. 38, per predisporre o integrare organi od istituti per i compiti previsti dallo stesso articolo. Il che consente di denunciare la illegittimità costituzionale della legge che in materia di previdenza detti norme in contrasto con i principi enunciati, a tutela dei lavoratori, nell'art. 38, secondo comma, ma non implica la possibilità di far luogo ad un sindacato di costituzionalità per il mancato esercizio di un'attività legislativa diretta ad attuare i principi medesimi.
La difesa della Cassa contesta anche le altre affermazioni del provvedimento di rimessione circa l'applicabilità dei principi dell'art. 38 della Costituzione ai lavoratori autonomi, e la possibilità di considerare tali gli esercenti le funzioni notarili. Ed in particolare, quanto alla "continuità", con cui, secondo il giudice a quo, può svolgersi l'attività di questi ultimi, la difesa della Cassa sottolinea come, anche quando, di fatto, l'attività dell'esercente temporaneo di funzioni notarili si protragga senza subire interruzioni, ciò avviene pur sempre nella condizione di precarietà della loro posizione.
3. - In una successiva memoria, in data 4 marzo 1980, la difesa della sig.ra Brucato insiste nella tesi sostenuta in via principale nel giudizio di merito, che cioè la norma denunciata può e deve interpretarsi nel senso di consentire l'estensione del trattamento di quiescenza, previsto espressamente per i notai, anche alle persone autorizzate all'esercizio delle funzioni notarili. In via subordinata, osserva che la norma impugnata, se intesa in senso restrittivo, non potrebbe sfuggire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, sia sotto il profilo dedotto con richiamo all’ art. 3, sia sotto quello svolto in riferimento all'art. 38, comma secondo, della Costituzione.
Riguardo al primo, la differenza del trattamento riservato ai notai, da una parte, e, dall'altra, agli incaricati dell'esercizio delle funzioni notarili non trova giustificazione nella oggettiva realtà delle rispettive situazioni. Nei riguardi delle due categorie (a parte i diversi presupposti dei sistemi di nomina, che peraltro per entrambe avviene pur sempre con provvedimento del Presidente della Repubblica), sussiste una sostanziale identità, non soltanto per quel che attiene alle funzioni esercitate, ma anche per lo stato professionale.
A parte gli eguali adempimenti che sono prescritti perchè possano legittimamente esercitare, tanto per i notai che abbiano vinto il concorso, quanto per gl'incaricati dell'esercizio delle funzioni notarili, e a parte le responsabilità (civili, penali, disciplinari) comuni agli uni ed agli altri, nella memoria si osserva che, al pari dei notai, e a differenza dai "coadiutori", che svolgono la loro attività a nome e per conto del notaio impedito, anche gl'incaricati dell'esercizio delle funzioni notarili, negli atti pubblici che raccolgono, si qualificano "notai". Gli onorari che essi percepiscono (anche in ciò differenziandosi dai "coadiutori" per i quali gli onorari sono ridotti alla metà) sono gli stessi previsti per i notai.
Non diversamente dai notai, inoltre, in base all'art. 93 del citato regolamento per la esecuzione della legge notarile, anche gl'incaricati dell'esercizio delle funzioni notarili fanno parte del Collegio notarile, il che comporta, anche per essi, con il diritto di intervenire alle adunanze, di votare per la costituzione del Consiglio e di essere persino prescelti come componenti del Consiglio stesso, l'acquisizione di tutti gli obblighi e diritti inerenti alla posizione di notaio.
La sostanziale identità di status delle due categorie trova conferma in diverse disposizioni che, avendo come destinatari, in genere, i notai, sono applicabili indistintamente, in modo automatico ed obbligatorio, sia ai notai in senso stretto sia agli esercenti funzioni notarili. Un significativo esempio è dato dalla disposizione dell'art. 2 dello stesso decreto-legge n. 1324 del 1923 sulla Cassa del notariato, secondo cui la quinta parte degli onorari dei notai va devoluta, per i suoi fini istituzionali, alla Cassa. Poiché è pacifico che questa disposizione, come per i notai, è applicabile anche nei confronti degl'incaricati dell'esercizio delle funzioni notarili, sembra arduo ammettere che in base allo stesso contesto legislativo gli esercenti le funzioni notarili, costretti per un verso a cedere parte dei loro proventi a favore della Cassa, non abbiano poi, per altro verso, diritto a pensione.
Secondo la difesa della sig.ra Brucato va inoltre considerato che quando il legislatore ha emanato disposizioni modificative o abrogative riguardanti, in particolari ipotesi, "persone autorizzate ad esercitare funzioni notarili in luogo dei notai" (come, per esempio, nel r.d. 3 giugno 1940, n. 1344, che prevede appunto, in certi casi, la revoca di tali autorizzazioni) si è sempre riferito a determinati atti o a determinate categorie di persone (funzionari dello Stato, di aziende autonome, dell'Automobil Club e così via). Anche in queste ipotesi la mancanza di riferimenti ai soggetti autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili ai sensi dell'art. 6 della legge sul notariato, dimostra l'intento del legislatore di comprenderli, generalmente, fra i notai.
A giustificare la lamentata diversità di trattamento sul piano previdenziale fra i notai e gl'incaricati ex art. 6 della legge notarile - prosegue la memoria - non avrebbe quindi senso rifarsi all'argomento della "incompatibilità" dello status di notaio con impieghi, professioni ed altre attività. A tale incompatibilità (che peraltro anche per i notai in senso stretto è pur sempre relativa e non assoluta) non si sottraggono infatti gl'incaricati di funzioni notarili.
Riguardo al contrasto della disposizione impugnata con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, richiamati i motivi svolti in proposito dal giudice a quo, la difesa della sig.ra Brucato osserva che questo precetto costituzionale, visto nel suo intero contesto, trae spunto dall'affermazione fondamentale che ogni cittadino inabile al lavoro ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. In forza di esso, dunque, l'assicurazione, in caso di invalidità e vecchiaia, di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, va garantita, senza distinzioni, a tutti i lavoratori. Anche sotto questo profilo, perciò, la censura di incostituzionalità investe concretamente la condizione giuridica e di fatto degli esercenti le funzioni notarili.
4. - La causa è stata chiamata e discussa nell'udienza del 19 marzo 1980. Rinviata a nuovo ruolo con ordinanza n. 145 del 1980, è stata fissata per l'udienza del 21 settembre 1981.
In una memoria, in data 8 settembre 1981, la difesa della sig.ra Brucato ha fatto presente che nei rapporti fra la ricorrente e la Cassa del notariato venuti a crearsi, con caratteri: sostanzialmente anomali, in seguito al provvedimento del 9 gennaio 1970 con cui la Cassa, pur respingendo la domanda di pensione, aveva accordato alla Brucato ed ai suoi figli allora minori, un assegno assistenziale, di lire 960.000 (previsto dall'art. 28 della deliberazione della Cassa del 21 ottobre 1955 per le vedove dei notai, in aggiunta alla pensione, ovvero per i figli inabili al lavoro e per le figlie nubili), si sarebbero verificati di recente, nel comportamento dell'ente, dei notevoli mutamenti, che verrebbero a convalidare la fondatezza delle eccezioni di incostituzionalità. A prova di ciò sono state allegate copie di una circolare e di una lettera della Cassa del notariato dalle quali risulterebbe il convincimento della Cassa, di poter definire "pensione" l'assegno assistenziale, corrisposto alla Brucato, e, altresì, di poter praticare, nel caso, attraverso l'adeguamento al trattamento riservato ai congiunti dei dipendenti dello Stato, anche degli aumenti. Per il resto, nella memoria si insiste in tutti gli altri argomenti già svolti nei precedenti scritti.
5. - All'udienza pubblica, la difesa della sig.ra Brucato ha ribadito e ulteriormente illustrato i motivi dedotti a sostegno della fondatezza della questione; mentre la difesa della Cassa ha insistito perchè la questione sia dichiarata infondata.
Considerato in diritto
1. - L'art. 3, comma terzo, del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, sulla Cassa nazionale del notariato, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, prevede, nell'interpretazione accolta dal giudice a quo, che soltanto i notai nominati a seguito di concorso, e le loro famiglie, abbiano diritto, cessando dall'esercizio, al trattamento pensionistico corrisposto dalla Cassa. Ne rimangono, quindi, esclusi quegli "aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina" (come, nel caso per cui la questione è sorta, il defunto dott. Turchio), che su loro domanda, in applicazione dell'art. 6 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, sull'ordinamento del notariato, siano stati temporaneamente autorizzati ad esercitare le funzioni notarili nelle isole dove non esista alcun notaio, o in altre località, egualmente prive di sede notarile, che, per le condizioni topografiche o di viabilità, non possano agevolmente, anche solo per certi periodi dell'anno, comunicare con i luoghi viciniori provvisti di notaio. Ma non riconoscendo anche a tali soggetti il diritto a trattamento pensionistico, la norma contrasterebbe - secondo quanto prospetta l'ordinanza di rimessione del tribunale di Roma - con gli artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione. Si concreterebbe, infatti, una ingiustificata diversità di trattamento rispetto ai notai, in quanto gl'incaricati di funzioni notarili ex art. 6 della legge n. 89 del 1913, pur non possedendo lo status professionale di notaio, ne esercitano, nomine proprio, tutte le funzioni. Essi, per l'attività svolta, in corrispettivo di onorari stabiliti dalla legge ed in modo continuativo (quanto meno sino a quando non sia revocata l'autorizzazione temporanea, o intervenga altra causa di cessazione dall'ufficio), dovrebbero venir considerati come "lavoratori autonomi", rientrando perciò fra i soggetti cui non può essere negato un trattamento previdenziale.
2. - La difesa della Cassa nazionale del notariato, costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito, come esposto in narrativa, che la denuncia di illegittimità costituzionale, essendo in realtà rivolta contro il mancato esercizio di un'attività legislativa intesa ad assicurare un trattamento previdenziale agli esercenti funzioni notarili in via temporanea, non poteva investire la norma emanata dal legislatore per regolare la materia della previdenza dei notai, e cioè di una categoria di soggetti distinta e diversa dai suddetti incaricati: donde la carenza del requisito della rilevanza, per effetto della quale carenza la Corte dovrebbe dichiarare la inammissibilità della questione che le è stata deferita.
L'eccezione va disattesa. Il giudice a quo assume la sostanziale omogeneità delle due categorie, sotto il profilo dell'esercizio "nomine proprio", che ad entrambe compete, delle funzioni notarili, ed in relazione alla comune esigenza, costituzionalmente garantita, di un trattamento previdenziale a seguito della cessazione dell'attività lavorativa. Conseguentemente, imputa alla denunciata norma di avere operato una irrazionale ed ingiustificata discriminazione fra le due categorie anzidette, riconoscendo il diritto al trattamento pensionistico soltanto ai notai, e non anche agl'incaricati di funzioni notarili; i quali, invece, versando, ad avviso del giudice a quo, nella medesima situazione giuridica dei notai, avrebbero diritto al medesimo trattamento. E questo loro spetterebbe qualora la Corte dichiarasse la illegittimità costituzionale, in parte qua, della norma in parola. La questione è perciò ammissibile e va decisa nel merito.
3. - La questione è fondata.
Giova premettere che la Cassa nazionale del notariato è compresa nel novero degli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza ed assistenza (cfr. tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70). Tutti i notai, in concomitanza con la loro iscrizione nel ruolo collegiale dei notai in esercizio, sono iscritti di ufficio alla Cassa, cui sono tenuti a versare (tramite l'Archivio notarile del distretto), per gli atti soggetti ad annotamento nei repertori, il 20 per cento degli onorari loro spettanti, nonché quote supplementari progressive degli onorari medesimi, nella misura stabilita dagli artt. 17 e 18 della legge 22 novembre 1954, n. 1158, e dalla Tariffa notarile. I notai devono inoltre corrispondere alla Cassa un contributo per ogni atto iscritto nei repertori (art. 27 della legge n. 1158 del 1954). Spetta, infine, alla Cassa per intero la quota di onorario (liquidata dall'Ufficio del registro), corrispondente alla differenza fra il valore accertato ai fini tributari e quello risultante dall'atto o dichiarato dalle parti (artt. 18 della legge n. 1158 del 1954 e 17 della vigente Tariffa notarile). In corrispettivo del versamento dei contributi imposti dalla legge a loro carico la Cassa (unitamente ad altre provvidenze) corrisponde ai notai cessati dall'esercizio ed alle loro famiglie un trattamento di quiescenza, la cui misura e le cui modalità sono determinate con deliberazioni della Commissione amministratrice, soggette all'approvazione del Ministro per la grazia e giustizia (art. 13 della legge 3 agosto 1949, n. 577).
L'esercente funzioni notarili in virtù del menzionato art. 6 della legge n. 89 del 1913, autorizzato all'uopo con decreto del Presidente della Repubblica, è "considerato come notaio rispetto alla responsabilità civile, penale e disciplinare dipendente dai suoi atti". Prima di assumere le funzioni, egli è tenuto - come esplicitamente viene ribadito nel relativo decreto di nomina - ad adempiere agli stessi obblighi stabiliti per il notaio dagli artt. 18 e 24 della ripetuta legge n. 89 del 1913. I quali si concretano, tra l'altro, nel dare cauzione; nel prestare giuramento davanti al tribunale civile nella cui giurisdizione trovasi la sede; nel ricevere dal Consiglio notarile il "sigillo" (con la dizione "notaio"); nello scrivere nell'apposito registro la propria firma accompagnata dall'impronta del sigillo; nell'aprire l'ufficio nel luogo assegnato. Adempiuto quanto prescritto, l'incaricato ottiene la "iscrizione nel ruolo dei notai esercenti del collegio", e con ciò è investito delle funzioni. Funzioni, che non possono venir esplicate fuori dell'isola, del comune o della frazione assegnati, ma il cui esercizio, entro tale ambito, non si differenzia in alcun modo da quello commesso ad un notaio. Al pari di quest'ultimo, l'incaricato ex art. 6 esercita le sue funzioni nomine proprio (mentre il coadiutore, ex art. 45 della legge n. 89 del 1913, esercita le funzioni notarili in nome e nell'interesse del notaio impedito); fa parte del Collegio notarile ed ha diritto di intervenire alle sue adunanze (art. 93 del regolamento per l'esecuzione della legge n. 89 del 1913, approvato con r.d. 10 settembre 1914, n. 1326); è sottoposto alle ispezioni biennali; riscuote, per gli atti e per le prestazioni notarili, gli onorari, i diritti accessori, le indennità ed i compensi secondo quanto determinato dalla Tariffa, nella stessa misura prevista per il notaio. Al cessar dall'esercizio gli atti da lui ricevuti devono - come per il notaio - essere depositati e conservati nell'archivio del distretto notarile (artt. 6 e 106, n. 6, della legge n. 89 del 1913).
In conclusione, pur non acquisendo lo status professionale dei notai nominati a seguito di pubblico concorso, gl'incaricati ex art. 6 sono ad essi pienamente accomunati nell'esercizio delle funzioni, e quindi sul piano concreto dell'attività lavorativa: alla quale fa appunto riferimento, ai fini previdenziali, la norma di carattere generale dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione (cfr. sentenza di questa Corte n. 108 del 1977). Lo stesso congegno previdenziale, come instaurato dal denunciato art. 3, comma terzo, del r.d.l. n. 1324 del 1923 e come strutturato dalla conseguente normativa, innanzi richiamata, sulla obbligatoria devoluzione alla Cassa di quote degli onorari spettanti per gli atti soggetti ad annotamento nei repertori notarili, rende evidente il fondamentale nesso tra prestazione dell'attività lavorativa e concessione del trattamento di quiescenza ai notai e loro familiari.
Priva di persuasiva giustificazione, e perciò arbitraria, appare dunque la discriminazione operata dalla denunciata norma con l'escludere, nell'interpretazione propugnata dalla Cassa ed accolta dal giudice a quo, i su indicati soggetti che abbiano esercitato funzioni notarili ex art. 6, da quel trattamento di quiescenza che viene invece riconosciuto ai notai al cessar dall'esercizio delle funzioni, che sono, ripetesi, le medesime per entrambe le categorie.
Sotto l'anzidetto profilo, ed in relazione alla primaria esigenza, costituzionalmente garantita, di assicurare a tutti i lavoratori un trattamento previdenziale in caso di invalidità e vecchiaia, non può assurgere a ragionevole motivo della disparità di trattamento operata dalla denunciata norma il diverso "sistema di nomina" cui fa riferimento la difesa della Cassa. Invero, non è determinante nè sufficiente la conseguita nomina a seguito di pubblico concorso, per qualificare i notai come lavoratori ed applicare ad essi la normativa previdenziale, richiedendosi invece - come si è già ricordato - che essi abbiano iniziato ad esercitare concretamente le relative funzioni e siano stati all'uopo iscritti, curati i necessari adempimenti, nel ruolo collegiale dei "notai in esercizio" (art. 3 del testo delle disposizioni sulla previdenza e sull'assistenza ai notai ed alle loro famiglie, deliberate il 21 ottobre 1955 dalla Commissione amministratrice della Cassa ed approvate il 10 novembre 1955 dal Ministro per la grazia e giustizia). Requisito questo, afferente all'esercizio delle funzioni notarili, prescritto tanto per i notai quanto per gl'incaricati ex art. 6.
Del pari non rilevano, sempre al perseguito fine di giustificare il denegato riconoscimento del diritto al trattamento di quiescenza, la "precarietà" e la "temporaneità", sottolineate dalla difesa della Cassa, dell'incarico conferito ai sensi del più volte citato art. 6 della legge n. 89 del 1913. Pur non assistito, come per i notai, dal connotato della stabile permanenza nell'ufficio, tale incarico si concreta sempre in un'attività lavorativa che non si differenzia in veruno modo da quella svolta dai notai, e che di fatto - come per l'appunto è avvenuto nel caso oggetto del giudizio a quo - può, nonostante la suddetta "precarietà", protrarsi anche per diversi anni. D'altronde, la equiparazione ai notai, ai fini del trattamento di quiescenza, degl'incaricati ex art. 6 - equiparazione, la cui mancata previsione il giudice a quo imputa alla denunciata norma - comporta che il relativo diritto venga a maturazione, oltre che nei casi di morte o di inabilità permanente ed assoluta, solo con il raggiungimento di determinati traguardi di anzianità di esercizio: il che conferisce all'esercizio medesimo un carattere di continuità professionale.
L'esigenza di porre riparo all'ingiustificata discriminazione, sul piano previdenziale, fra notai ed incaricati ex art. 6, al cessar dall'esercizio delle loro funzioni, è stata avvertita anche in sede parlamentare, come è dato rilevare sia da una proposta di legge presentata alla Camera il 15 ottobre 1975 (doc. n. 4057) e decaduta per fine legislatura, sia da un disegno di legge d'iniziativa parlamentare, presentato il 25 giugno 1980 (doc. n. 967) e tuttora all'esame del Senato. In entrambe le relazioni che accompagnano i due atti, si trae occasione proprio dall'ordinanza di rimessione alla Corte della questione de qua agitur per proporre che il trattamento previdenziale previsto a favore dei notai e delle loro famiglie sia esteso anche a favore di coloro che abbiano esercitato con continuità e professionalmente le funzioni notarili ai sensi dell'art. 6 della legge sul notariato. All'uopo si sottolinea che "l'equiparazione di questa categoria a quella dei notai è totale ed assoluta non solo nell'esercizio delle funzioni, ma anche per l'adempimento di tutti gli altri obblighi che incombono ai notai e per le responsabilità civili, penali ed amministrative derivanti dall'esercizio delle funzioni". E si soggiunge che essi "per di più sono costretti a pagare i contributi nelle forme obbligatorie previste dagli artt. 17 e 18 della legge 22 novembre 1954, n. 1158; queste norme, infatti, stabiliscono che il pagamento dei contributi previdenziali notarili deve avvenire mediante versamento di una quota degli onorari percetti all'Archivio notarile al momento della presentazione degli estratti mensili dei repertori degli atti stipulati, nonché mediante trattenuta diretta di parte dell'onorario effettuata dall'Ufficio del registro nell'ipotesi di atti notarili soggetti a rettifica di valore".
Per le sue esposte considerazioni la Corte ritiene che il denunciato art. 3, comma terzo, del r.d.l. n. 1324 del 1923 contrasti con l'art. 3, comma primo, posto in relazione con l'art. 38, comma secondo, della Costituzione, e che debba pertanto dichiararsene l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, debba esser corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili in virtù dell'art. 6 della legge n. 89 del 1913, cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma terzo, del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324 (Modificazioni al r.d.l. 9 novembre 1919, n. 2239, sulla Cassa nazionale del notariato), convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, debba esser corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili in virtù dell'art. 6 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 1981.
Edoardo VOLTERRA - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 26 ottobre 1981.