Ordinanza n.153 del 1981
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ORDINANZA N. 153

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Dott. Giulio GIONFRIDA, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio), promosso con ordinanza emessa il 18 febbraio 1980 dal Pretore di Pistoia, nei procedimenti penali riuniti a carico di Petrucci Renzo ed altro, iscritta al n. 601 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 298 del 29 ottobre 1980.

Udito nella camera di consiglio del 14 maggio 1981 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto che il Pretore di Pistoia, con l'ordinanza in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge 18 dicembre 1973, n. 877 ("Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio"), in riferimento agli artt. 70, 72 e 73 Cost.; ed ha inoltre impugnato l'art. 13 della legge stessa, per preteso contrasto con l'art. 27 della Costituzione;

e che nel predetto giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte dichiari infondata la prima delle proposte questioni.

Considerato che nel giudizio a quo si tratta anzitutto di applicare l'art. 1, primo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877, per stabilire se la controversia in esame vada o meno assoggettata all'apposita disciplina del lavoro a domicilio: sicché la prima delle proposte questioni si appalesa con certezza rilevante - alla data di emissione dell'ordinanza di rinvio - limitatamente a questa sola parte dell'atto legislativo impugnato; che, d'altro canto, il vizio denunciato sarebbe precisamente imputabile alla discordanza del testo dell'art. 1, già approvato dalla Camera dei deputati, rispetto al testo approvato dal Senato e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica; che, secondo l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, tale discordanza andrebbe attribuita ad un errore materiale, verificatosi nella trascrizione dell'art. 1, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati e prima della corrispondente approvazione da parte dell'altro ramo del Parlamento;

considerato, però, che nel corso del presente giudizio è entrata in vigore la legge 16 dicembre 1980, n. 858 (intitolata "Interpretazione autentica e modificazione dell'art. 1 della legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio"): l'art. 1 della quale ha riaffermato - con effetto "dalla data di entrata in vigore della precedente legge 18 dicembre 1973, n. 877", secondo l'espressa disposizione dell'art. 3 - che "è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità... lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie e dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi" (mentre l'art. 2 reinserisce nella parte finale della definizione del lavoro a domicilio - ma con effetto per solo avvenire - la disgiuntiva "o" in luogo della congiuntiva "e"; e che, pertanto, si rende necessario restituire gli atti al giudice a quo, affinché accerti se la sollevata questione sia tuttora rilevante;

considerato, infine, che l'ordinanza accenna conclusivamente, accogliendo un'eccezione sollevata oralmente nel corso del dibattimento, alla "violazione del principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge in relazione al principio di cui all'art. 27 della Costituzione che sarebbero violati dall'art. 13 in relazione all'art. 2 legge n. 877/73 là dove equipara il trattamento punitivo dell'intermediario a quello del committente"; e che tale impugnativa risulta per altro manifestamente inammissibile, non essendo sorretta da alcuna motivazione contestuale, né quanto alla rilevanza, né quanto alla non manifesta infondatezza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge 18 dicembre 1973, n. 877, sollevata dal Pretore di Pistoia, in riferimento all'art. 27 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2) ordina la restituzione degli atti al Pretore di Pistoia.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1981.

Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1981.