SENTENZA N. 116
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi primo, secondo e terzo, e 14, comma secondo, u.p., della legge Il agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) promosso con ordinanze emesse il 17 febbraio ed il 6 aprile 1977 dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Bruscia Gerolamo ed altro e il Ministero di grazia e giustizia e nel procedimento civile vertente tra Avezzano Comes Giuseppe ed altro e il Ministero di grazia e giustizia, rispettivamente iscritte ai numeri 162 e 447 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 134 e 320 del 1977.
Visti l'atto di costituzione di Bruscia Gerolamo ed altro e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1981 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;
uditi l'avv. Giuseppe Avezzano Comes, per Bruscia Gerolamo ed altro e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso dei giudizi civili promossi da alcuni avvocati, per ottenere che fosse dichiarato il loro diritto al pagamento dei compensi professionali dal Ministero di grazia e giustizia, in relazione all'attività esplicata in numerosi processi di lavoro nei quali erano stati nominati difensori d'ufficio ex art. 13 della legge n. 533 del 1973 e nei quali avevano ottenuto dal pretore la liquidazione di tali onorari ex art. 14, secondo comma, della legge anzidetta, il Tribunale di Roma ha sollevato, con ordinanza emessa il 17 febbraio 1977, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, degli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14, secondo comma, ultima parte, della legge 11 agosto 1973, n. 533.
Nell'ordinanza si osserva che con sentenza non definitiva di pari data era stato affermato che il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato previsto nell'art. 13 della legge n. 533 del 1973, pur essendo un atto oggettivamente amministrativo è, da un punto di vista soggettivo, atto giurisdizionale, in quanto emesso da un giudice, mentre invece il provvedimento di nomina del difensore d'ufficio e quello di liquidazione del compenso, sono atti soggettivamente ed oggettivamente giurisdizionali. La liquidazione del compenso, in particolare, contenuta nella sentenza che conclude il giudizio nel quale il difensore d'ufficio abbia prestato la sua opera, è destinata a fare stato nei confronti dell'Amministrazione della giustizia che dovrà procedere al relativo pagamento, pur restando questa estranea a tutta la procedura di ammissione al gratuito patrocinio, di nomina del difensore e di liquidazione del compenso.
Ne deriva - secondo l'ordinanza - che le norme sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato contenute nella legge n. 533 del 1973, prevedono una procedura che si conclude con provvedimenti giurisdizionali che incidono sul patrimonio di un terzo (lo Stato) e fanno stato nei suoi confronti, senza che abbia alcuna possibilità di difesa o di gravame, in violazione all'art. 24 della Costituzione e con la possibilità di frodi e danni per l'Amministrazione dello Stato, a seguito di accaparramento di cause prive di fondamento, tanto più che l'ammesso al gratuito patrocinio ha diritto di scegliersi il difensore.
Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che ove venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale di una delle norme impugnate "potrebbe venire meno, in tutto o in parte, il diritto degli attori di pretendere le somme di cui in citazione sulla base della causa petendi da loro prospettata".
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito dinanzi a questa Corte esponendo che l'Amministrazione aveva già sostenuto nei giudizi a quibus l'inopponibilità ad essa di sentenze emesse in processi svoltisi tra altre parti ed assumendo che i crediti ex art. 14 della legge n. 533 dovevano essere, pur dopo la liquidazione da parte del pretore, accertati e verificati con decreto dell'Intendente di finanza, previa prenotazione a debito. Ha sostenuto quindi che la liquidazione ex art. 14 della legge n. 533 non può essere ritenuta una pronuncia coperta da giudicato nei confronti dell'Amministrazione dello Stato e come "titolo di spesa" impegnativo per il bilancio statale e che, sulla base di tale interpretazione, la questione deve essere dichiarata non fondata.
Davanti a questa Corte si sono costituite pure le parti private chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Esse hanno dedotto che l'atto di ammissione al gratuito patrocinio non è un atto di soluzione di una lite, che richieda il contraddittorio con lo Stato, ma pur essendo atto "formalmente e funzionalmente giurisdizionale" è un atto che accerta l'esistenza dei requisiti per godere di un pubblico servizio (il gratuito patrocinio), emanato dal giudice quale "portatore degli interessi generali e degli interessi dello Stato amministrazione rispetto alla richiesta del cittadino". L'esigenza di evitare possibili frodi sarebbe assicurata dal potere concesso all'Intendente di finanza dall'art. 11 della legge n. 533 di chiedere, nel corso della causa, la revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio.
Identica questione è stata proposta pure con altra ordinanza del 6 aprile 1977 dello stesso Tribunale di Roma e nel relativo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri svolgendo difese e conclusioni uguali a quelle sopra riportate.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze indicate in epigrafe sollevano entrambe questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533 (recante "Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie"), in riferimento all'art. 24 della Costituzione, sicché, avendo lo stesso oggetto, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - La Corte è chiamata a decidere se gli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533, siano in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, prevedendo l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, la nomina del difensore d'ufficio e la liquidazione del relativo compenso, con provvedimenti giurisdizionali che fanno stato nei confronti della pubblica Amministrazione senza che questa abbia partecipato al procedimento nei quali furono emessi e senza che abbia alcuna possibilità di difesa o di gravame.
3. - La questione non è fondata.
Ad avviso della Corte occorre prendere le mosse dall'esame del contenuto della legge n. 533 del 1973, nella parte che qui interessa.
Questa legge, nel dettare la nuova disciplina processuale delle controversie di lavoro e previdenziali, anticipando in parte la più generale normativa sul patrocinio statale per i non abbienti (Senato della Repubblica, VI legislatura, disegno di legge n. 453) ha per ora introdotto questa forma di patrocinio per le controversie indicate e, come risulta dai lavori preparatori, nell'organizzare il relativo servizio ha voluto seguire criteri di particolare semplicità e rapidità.
In omaggio a questi criteri, il legislatore ha abbandonato il sistema già seguito dal R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, in tema di gratuito patrocinio (preveduto anche dal suddetto progetto sul patrocinio statale per i non abbienti), consistente nell'affidare i relativi compiti ad appositi organi amministrativi ed ha ritenuto, invece, opportuno inserire la procedura predetta nel seno del procedimento giurisdizionale in ordine al quale deve svolgersi l'opera defensionale.
Perciò la legge ha affidato al giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio la attività all'uopo necessaria, che si concreta essenzialmente nella ammissione al beneficio, previo accertamento della esistenza delle condizioni sostanziali per la concessione del beneficio medesimo (art. 13, secondo comma), nella scelta del difensore (art. 13, terzo comma) e, infine, nella liquidazione dei diritti, delle competenze e degli onorari spettanti al difensore (art. 14, secondo comma).
Da tutta questa attività, come appare evidente, rimane estraniata l'Amministrazione dello Stato, ai cui organi sono affidati, dalla legge in esame, due soli compiti.
Il primo (art. 11, settimo comma) consiste nella facoltà accordata all'Intendente di finanza di prospettare al giudice, in qualsiasi stato della causa, gli elementi di cui egli sia in possesso in ordine alla esistenza ed alla persistenza dei requisiti di legge per l'ammissione al beneficio, chiedendo la revoca del relativo provvedimento: questo intervento (sebbene definito ricorso) si concreta in una forma di collaborazione, la quale, mentre ha lo scopo di fornire al giudice tutti gli elementi del caso e di conseguire la più esatta osservanza della legge, non intacca i poteri del giudice, al quale soltanto spetta di adottare le decisioni definitive in argomento (art. 11, settimo comma, cit.).
Il secondo compito, a sua volta, di carattere meramente esecutivo, è successivo e conseguenziale al provvedimento del giudice e consiste nel provvedere al pagamento della spesa liquidata dal giudice a norma dell'art. 14 nonché alla prenotazione a debito per la eventualità della ripetizione degli onorari a norma dello stesso art. 14, primo comma. É appena il caso di avvertire che quest'ultimo compito non poteva essere affidato al giudice, il quale non amministra i capitoli del bilancio della spesa: di conseguenza l'art. 14 ha posto la regola che il giudice fissa l'ammontare del credito del difensore ed i competenti organi amministrativi provvedono alla esecuzione, la quale, contrariamente a quanto rileva l'Avvocatura generale dello Stato, non consente alcun sindacato sul contenuto del provvedimento del giudice competente.
In questo contesto e se questa è l'organizzazione del servizio adottata dal legislatore in base ad una scelta discrezionale, le censure mosse dai giudici a quibus alla normativa esaminata, in quanto non consentirebbe alla Amministrazione dello Stato di intervenire nel procedimento e di impugnare i provvedimenti del giudice non hanno pregio: a parte che una qualche forma di intervento è preveduta dall'art. 11, penultimo comma, le censure stesse poggiano, infatti, su una pretesa contrapposizione fra il giudice e l'Amministrazione statale che invece non trova alcun riscontro nel sistema della legge n. 533, la quale, come si è visto, ha ritenuto più congruo ed opportuno affidare la applicazione delle norme in questione non alla Amministrazione attiva, ma al giudice, il quale agisce in luogo della medesima.
Né si possono condividere le considerazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato circa la possibilità che si verifichino frodi nella scelta dei difensori, trattandosi, se mai, di meri inconvenienti che, d'altro canto, non potrebbero essere eliminati da una qualsiasi ingerenza di Organi amministrativi.
Tutto ciò posto, è da escludere che si possa ravvisare nel sistema riferito una violazione dell'art. 24 della Costituzione a danno dell'Amministrazione dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533 (recante "Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie"), sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione con le ordinanze del Tribunale di Roma di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il7 luglio 1981.