Sentenza n.105 del 1981
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SENTENZA N. 105

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Dott. Giulio GIONFRIDA, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma primo, della legge della Regione Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2 (Norme per il trattamento di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale della Regione), promosso con ordinanza emessa il 15 luglio 1978 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, sui ricorsi proposti da Avila Lidia contro l'Assessore alla P.I. della Regione siciliana ed altro, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.87 del 1979.

Visti l'atto di costituzione di Avila Lidia e l'atto di intervento della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. M. Giovanna Vittorelli per Avila Lidia e l'avv. Guido Aula, per la Regione siciliana.

Ritenuto in fatto

1. - Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato - in riferimento all'art. 3 Cost. - l'art. 1, primo comma, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, "nella parte in cui non prevede in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza e assistenza per il personale di tale Regione".

Premesso che l'art. 36 della legge regionale siciliana n. 2 del 1962 rimanda alle norme relative al personale civile dell'Amministrazione dello Stato, in quanto compatibili con le norme dettate dalla legge stessa, l'ordinanza assume che il richiamo non potrebbe "ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilità del sistema normativo regionale con quello statale, per cui i ricorsi dovrebbero ritenersi infondati". Mentre nella legislazione statale si sarebbe manifestata (dall'art. 8 della legge 28 luglio 1961, n. 831, fino all'art. 1, ultimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) "la tendenza alla equiparazione, ai fini del trattamento di quiescenza, degli impiegati non di ruolo agli impiegati civili di ruolo", la legislazione siciliana esprimerebbe invece "una tendenza diversa e per certi versi opposta". Infatti, fino a quando le leggi nazionali diversificavano fra servizio di ruolo e servizio non di ruolo, richiedendo un contributo di riscatto per equiparare il secondo in sede di quiescenza ed anche subordinando la riscattabilità al previo inquadramento nei ruoli organici, il legislatore regionale avrebbe evitato di emanare apposite norme; mentre avrebbe cominciato a legiferare, con il chiaro intendimento di "mantenere la precedente distinzione", non appena mutato l'orientamento del legislatore statale.

In questi termini, dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell'art. 1 della legge regionale n. 2 del 1962 si desumerebbe il principio che i soli impiegati di ruolo abbiano diritto al trattamento di quiescenza a carico del "Fondo" di cui all'art. 16 della legge regionale n. 65 del 1950; laddove gli impiegati non di ruolo resterebbero assoggettati all'assicurazione obbligatoria presso l'INPS, di cui al r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827. E tale indirizzo sarebbe confermato da successive norme regionali (dall'art. 83, terzo comma, della legge n. 7 del 1971, agli artt. 21 della legge n. 7 del 1974 ed 8 della legge n. 38 del 1975, fino all'art. 4, quarto comma, della legge n. 87 del 1977): con particolare evidenza nel caso della legge 1 agosto 1974, n. 34, che confermerebbe ancora una volta - proprio nei riguardi del personale delle scuole professionali regionali - "la necessità del riscatto per la valutabilità ai fini di quiescenza dell'eventuale precedente servizio non di ruolo, subordinandone come sempre la possibilità al previo inquadramento nei ruoli organici".

Precisamente in tal senso, però, il giudice a quo considera rilevante e non manifestamente infondata la censura proposta dalla difesa delle ricorrenti, nella parte riguardante la dedotta violazione del principio di eguaglianza. I trattamenti pensionistici INPS sarebbero infatti inferiori a quelli erogati dalla Regione siciliana, tanto in materia di pensioni ordinarie, quanto e soprattutto in materia di pensioni privilegiate. E ciò introdurrebbe una discriminazione fra dipendenti che "svolgevano esattamente la stessa attività", con trattamenti economici identici o comunque correlati fra loro.

2. - "A sostegno della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti", è intervenuta nel giudizio la ricorrente Lidia Avila. Dopo aver assunto che la questione sarebbe "con certezza rilevante", in quanto l'accoglimento di essa comporterebbe - altresì - che venga accolto il ricorso in esame nel giudizio a quo, l'atto di intervento ne argomenta la fondatezza, richiamando non solo l'art. 3, ma anche gli artt. 51 e 97 Cost.: che congiuntamente imporrebbero allo Stato (come pure alla Regione siciliana) "di regolare in modo uniforme ed imparziale i rapporti con i propri dipendenti, evitando fra gli stessi qualunque disparità di trattamento che non abbia una logica giustificazione in una obiettiva differenza tra le varie prestazioni lavorative"; e così mirando, in particolar modo, "ad una sostanziale equiparazione tra dipendenti di ruolo e dipendenti non di ruolo". Ora - si afferma - mancherebbe una specifica ragione che giustifichi la mancata attribuzione della pensione, intesa quale "parte differita della retribuzione" al personale impiegatizio non di ruolo. E ne risulterebbe tanto più ingiusta ed illegittima la discriminazione introdotta dall'art. 1 della legge regionale siciliana n. 2 del 1962, nel limitare al personale di ruolo il diritto alla pensione privilegiata, che pure presuppone "la considerazione del danno permanente subito dal pubblico dipendente in vista di esigenze del servizio".

Con questo fondamento, inoltre, l'atto di intervento chiede che sia la Corte stessa, qualora l'impugnativa in esame venisse ritenuta non fondata, a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della predetta legge regionale, "per irrazionale disparità di trattamento tra gli impiegati non di ruolo ed i salariati non di ruolo" (il cui servizio è invece equiparato a quello dei salariati di ruolo); e ciò, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., nonché all'art. 14, lettera q), dello Statuto siciliano, che "impone al legislatore regionale di attribuire ai funzionari ed impiegati della Regione uno stato giuridico ed economico non inferiore a quello del personale statale".

3. - É anche intervenuto il Presidente della Regione siciliana, per chiedere invece che la Corte "dichiari non rilevante ed inammissibile la questione proposta", o che, in ogni caso, ne accerti la non fondatezza.

In prima linea, la difesa della Regione osserva che la questione sarebbe inammissibile perchè la norma da applicare nel giudizio a quo non consisterebbe nell'art. 1, bensì nell'art. 36 della legge regionale n. 2 del 1962: là dove si richiamano, in quanto compatibili, le norme relative al personale civile dell'Amministrazione dello Stato. In effetti - si osserva - sul disposto dell'art. 36 si erano basati il ricorso della parte privata e le conclusioni della Procura generale della Corte dei conti, favorevoli all'accoglimento del ricorso stesso.

Si aggiunge, comunque, che la norma impugnata non si presterebbe all'interpretazione datane dal giudice a quo. La espressa menzione dei "salariati di ruolo e non di ruolo", contenuta nel secondo comma dell'art. 1, si spiegherebbe perchè, all'atto dell'entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 1962, alcuni salariati non di ruolo risultavano tuttora in servizio; mentre gli impiegati non di ruolo erano stati "inquadrati in ruoli regionali transitori".

Quanto al caso specifico del personale di ruolo delle scuole professionali, già in base all'art. 21, sesto comma, della legge regionale n. 63 del 1950 (come sostituito dall'art. 1 della legge regionale n. 13 del 1959) si sarebbero dovute ritenere applicabili le disposizioni concernenti la quiescenza del corrispondente personale dello Stato. Conseguentemente, dovrebbe ora applicarsi il trattamento di quiescenza previsto dall'art. 8 della legge statale 28 luglio 1961, n. 831 (la cui disciplina è stata mantenuta ferma dall'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1077 del 1966).

Di qui la conclusione che la normativa regionale impugnata ben potrebbe interpretarsi in un senso "conforme ai dettami costituzionali"; e che pertanto ne deriverebbe l'infondatezza della questione in esame.

4. - Sia il Presidente della Regione siciliana, sia la parte privata, hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive tesi. Le argomentazioni addotte sono analoghe a quelle già esposte.

In particolare, la Regione siciliana ribadisce i dubbi sulla rilevanza della questione sollevata; e ciò, in quanto agli impiegati non di ruolo non sarebbe precluso l'accesso al trattamento di quiescenza a carico del Fondo regionale. La diversa interpretazione data dal giudice a quo si porrebbe in contrasto con tutta l'evoluzione della legislazione in materia; in ogni caso, essa non sarebbe giustificata né dalla lettera né dallo spirito della legge in esame.

A sua volta, la parte privata premette di non aver ovviamente

alcun interesse a contrastare la tesi della Regione. Ritiene, per altro, di dover fare qualche precisazione: in primo luogo, il mancato riferimento della norma impugnata agli impiegati non di ruolo non potrebbe farsi discendere dall'inesistenza - all'epoca - di appartenenti a tale categoria, dal momento che nelle scuole professionali regionali vi erano insegnanti non di ruolo. In secondo luogo, sarebbe più esatto dichiarare non fondata piuttosto che considerare inammissibile la proposta questione, dal momento che il giudice a quo avrebbe pur sempre effettuato il necessario giudizio di rilevanza.

Nel merito si ribadisce che, ove la Corte accogliesse l'interpretazione del giudice a quo, non vi dovrebbero essere dubbi sulla violazione dell'art. 3, come pure dell'art. 36 Cost. e dell'art. 14 lett. q) dello Statuto siciliano. L'estensione del sindacato di legittimità a questi ulteriori profili, sebbene trascurati dall'ordinanza di rimessione, soddisferebbe del resto l'esigenza dell'economia dei giudizi, evitando "la reiterata sottoposizione alla Corte stessa di questioni inerenti alla medesima norma ordinaria".

5. - Nella pubblica udienza, tuttavia, la difesa della parte privata ha fatto propria la conclusione dell'infondatezza, sulla base di una analitica esposizione dei motivi che indurrebbero a respingere l'interpretazione della norma impugnata e della complessiva legislazione regionale vigente in materia, posta a base dell'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. - La Corte è chiamata a decidere se in base al combinato disposto del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non di ruolo della Regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito fondo istituito dall'art. 16 della legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita ai soli "impiegati di ruolo dell'Amministrazione della Regione"), contrasti con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore condizione attribuita agli impiegati non di ruolo, i quali verrebbero in tal modo posti a carico dell'INPS, godendo perciò di un trattamento di quiescenza inferiore a quello erogato dalla Regione medesima.

La difesa della Regione eccepisce preliminarmente - come già si è ricordato in narrativa - che la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi della parte privata, tanto più che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. 1, bensì sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 1962: in virtù del quale - per tutto quanto non sia stato previsto dalla legge stessa - dovrebbero applicarsi "le norme relative al personale civile dell'Amministrazione dello Stato", ivi compreso il sopravvenuto principio di equiparazione fra il personale di ruolo e quello non di ruolo, ai fini del trattamento di quiescenza.

Ma la tesi non può esser condivisa. L'art. 36 della legge in questione rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione, "in quanto compatibili" con le corrispondenti norme regionali. E l'ordinanza di rimessione deduce appunto che "tale applicabilità non può ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilità del sistema normativo regionale con quello statale"; sicché le obiezioni avanzate dalla difesa della Regione rilevano - se mai - sul piano del merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne l'inammissibilità.

2. - Vero è, tuttavia, che il fulcro del problema - opportunamente messo in evidenza dallo stesso giudice a quo - consiste nel rapporto fra norme legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento di quiescenza del personale non di ruolo della Regione siciliana.

Di massima, per le Regioni differenziate qual è la Sicilia, dotate di una potestà legislativa primaria od "esclusiva" in materia di ordinamento dei propri uffici e di trattamento del proprio personale, il principio costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa essere diverso da quello spettante al personale statale. Ma, quanto alla Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione dell'art. 14 lett. q) dello Statuto speciale, per cui lo "stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione" dev'essere "in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato". Nel giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo dell'Amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'Amministrazione dello Stato, questa previsione non può essere ignorata o trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un esplicito riferimento, limitandosi a denunciare la violazione dell'art. 3 Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa.

Ora, il richiamo di tutte "le norme relative al personale civile dell'Amministrazione dello Stato" - presenti ed avvenire nel momento dell'entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 1962 - non è dunque il frutto di una libera scelta del legislatore siciliano; ma rappresenta lo strumento più idoneo ad assicurare una continua ed immediata osservanza del precetto stabilito dall'art. 14, lett. q) dello Statuto. Sotto questo aspetto, l'art. 36 della legge predetta assume perciò la portata di un principio generale, che non soffre interpretazioni restrittive.

D'altro canto, in ordine al caso in esame può considerarsi pacifico - tanto più che sul punto concordano il giudice a quo, la parte privata, il procuratore generale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana e la difesa della Regione medesima - che a favore degli impiegati civili non di ruolo dello Stato l'attribuzione del trattamento di quiescenza spettante al personale civile di ruolo, salvo il riscatto del servizio prestato anteriormente, è stata disposta a partire dagli artt. 1 e 2 della legge 6 dicembre 1966, n. 1077 (che ha generalizzato quanto già statuito dall'art. 8 della legge 28 luglio 1961, n. 831, limitatamente agli "insegnanti incaricati forniti di abilitazione all'insegnamento, nonché ai loro familiari in caso di morte"). Né può dubitarsi che anche sull'applicazione di una tale disciplina, a favore del personale non di ruolo della Regione Sicilia, incida la disposizione dell'art. 14 lett. q) dello Statuto: poiché in tal campo non si ravvisano caratteristiche distintive del pubblico impiego regionale, che impongano o giustifichino (come nel caso considerato dalla sentenza n. 12 del 1980) determinate peculiarità dello "stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione", non consentendo che li si metta a raffronto con il corrispondente personale dello Stato.

3. - Per tutte queste ragioni, la sola ricostruzione della norma impugnata che sia "conforme ai dettami costituzionali" (come espressamente osserva la difesa della Regione) è quella per cui la norma stessa non preclude l'operatività - nella specie - dei criteri desumibili dalla legge statale n. 1077 del 1966, ma lascia anche in tal senso fermo il richiamo effettuato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 1962. Ed è l'interpretazione adeguatrice che, nel dubbio, va preferita rispetto a quella adottata dall'ordinanza di rinvio, per contestare la legittimità costituzionale del trattamento di quiescenza che sarebbe stato riservato agli impiegati regionali non di ruolo.

In verità, la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana sostiene che l'art. 1, primo comma, della legge regionale n. 2 del 1962 non lascerebbe margine ad incertezze interpretative di sorta, bensì comporterebbe una evidente discriminazione degli impiegati non di ruolo. Ma l'assunto non si dimostra fondato.

In primo luogo, non è certo decisivo l'argomento testuale, per cui l'art. 1, primo comma, della legge in esame non riguarda se non gli "impiegati di ruolo dell'Amministrazione della Regione" (in contrapposizione, anzi, ai "salariati" della Regione medesima, che il secondo comma considera complessivamente, tanto "di ruolo" quanto "non di ruolo"). Senza che occorra verificare se al momento dell'entrata in vigore di quella legge esistessero impiegati regionali non di ruolo (ciò che la difesa della Regione ha negato), sta di fatto che allora non vigeva, per lo stesso personale civile dell'Amministrazione dello Stato, l'equiparazione del trattamento di quiescenza senza distinzione fra dipendenti di ruolo e non di ruolo. Il che, tuttavia, non vale ad escludere che il criterio introdotto dall'art. 1 della legge statale n. 1077 del 1966 dovesse trovare immediata applicazione circa il personale della Regione Sicilia, dato il carattere mobile o formale - anziché recettizio - del rinvio configurato dalla disposizione finale dell'art. 36.

In secondo luogo, non si possono trarre indicazioni univoche e risolutive nemmeno dalla serie delle leggi regionali posteriori a quella in esame (n. 7 del 1971, n. 7 e n. 34 del 1974, n. 38 del 1975, n. 87 del 1977), dalle quali il giudice a quo desume l'intendimento di mantenere - in sede di quiescenza - la distinzione già in atto fra gli impiegati regionali di ruolo e non di ruolo. Trattasi, infatti, di leggi largamente successive nel tempo (ed anzi conseguenti, nella maggior parte delle ipotesi, alla stessa cessazione del rapporto di cui si controverte dinanzi alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana): nessuna delle quali ha comunque abrogato o modificato gli artt. 1 e 36 della legge regionale n. 2 del 1962. In altre parole, le leggi indicate dall'ordinanza di rinvio si pongono tutte su piani diversi da quella che attualmente è in discussione; ed anche quando dettano norme di portata generale anziché settoriale, esse richiedono - a loro volta - di venire interpretate ed eventualmente sindacate (come questa Corte ha già fatto - mediante la sentenza n. 21 del 1978 - quanto all'art. 4 della legge regionale approvata il 7 luglio 1977 e poi promulgata con il n. 87 del 17 ottobre 1977).

Conclusivamente, né dal testo della disposizione impugnata né dall'insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice a quo, anziché alla predetta interpretazione adeguatrice. Ed in questi termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 23 febbraio 1962, n. 2, della Regione Sicilia - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1981.

Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1981.